Umberto Orsini con "La leggenda del grande inquisitore"
Dal mondo di Dostoevskij una riflessione moderna che porta in scena i dubbi
Servizio di Anita Curci
"Vivo da quarant´anni col Grande Inquisitore di Dostoevskij.
Da quando cominciai ad occuparmene in occasione dello sceneggiato realizzato da Bolchi. Qualcosa di inimmaginabile oggi. Interpretavo il fratello Ivan e per anni mi sono sentito dire da generazioni di spettatori che venivano ad incontrarmi nei camerini dei teatri: "Ma quell´Ivan Karamazov! Cose così perché non ne fanno più?". Umberto Orsini si misura con un testo tratto da I fratelli Karamazov che è soprattutto un manifesto sulla autoprodotta mancanza di libertà degli uomini. Al teatro Troisi dal 13 al 17 dicembre per la regia di Pietro Babina. Prossimi appuntamenti: Sondrio 29 aprile, Bergamo 3 maggio, Milano dal 5 al 18 maggio.
Orsini, Il Grande Inquisitore continua in qualche modo a "ossessionarla" fin dai tempi dello sceneggiato tv di Sandro Bolchi. Era il 1969, visto da 15 milioni di telespettatori in ognuna delle sette puntate…
Non ossessionato, ma certamente interessato agli argomenti di Dostoevskij. Ai concetti contenuti nei Fratelli Karamazov o nei Demoni, dove c´è intelligenza… c´è praticamente tutto. Il brano più importante era Il grande inquisitore, con un tema molto attuale, dibattuto da intellettuali di oggi e di allora, sul potere e sulla libertà. Diceva Ivan Karamazov, ipotizzando che Cristo ridiscenda sulla Terra: "Deve tornarsene indietro poiché la libertà non è possibile, essendone noi privati nelle manifestazioni della vita". L´uomo, infatti, può far sentire la propria opinione ma non può veramente agire in libertà: deve comunque assoggettarsi a qualcuno che diriga la sua libertà. Il nostro spettacolo si concentra su queste riflessioni.
Io racconto quello che direbbe il Grande Inquisitore.
Egli fa una serie di considerazioni sul perché Cristo non sarebbe dovuto venire. E lo dice in una forma televisiva, come in una Ted Conference, dove si può in 18 minuti dire quello che deve essere detto. La seconda parte è una meravigliosa invenzione del regista. Assieme a me e a l´altro autore Leonardo Capuano, Pietro Babina ha elaborato una drammaturgia che tocca le questioni della fede e della libertà, ma anche della sessualità, visti attraverso l´ossessione del demonio e attraverso quadri scenici molto belli, con l´apertura al tema della violenza sui bambini; e delle colpe dei padri che ricadono sui figli. Lo spettacolo non è facile, ma penetrabile, anche nella prima parte, dove noi non parliamo poiché è la nostra stessa faccia, i nostri stessi movimenti a richiamare ciò che diremo dopo, quando parleremo. Il pubblico all´inizio appare sconcertato. Poi comprende e rimane appagato.
Dunque, sintetizzando, nel capitolo sul "Grande inquisitore" dei "Fratelli Karamazov" l´ateo Ivan Karamazov rivela al fratello Alioscia di aver immaginato un "poema" in cui racconta che Gesù nel XVI secolo torna sulla terra e incontra il Grande Inquisitore che, però, gli chiede: "Perché sei tornato? Perché sei venuto a disturbare il nostro lavoro?". Secondo lui, infatti, gli uomini non hanno bisogno di libertà. Allora, la domanda è: lei crede che l´uomo sia in grado di gestire la propria libertà?
Credo che alcuni uomini possano gestirla liberamente. Ma sono degli eletti. Non è facile per tutti.
Generalmente l´uomo deve essere guidato. Lo vediamo nella realtà di oggi. Tutti legati da una situazione collettiva che dirige e costringe a riunirsi in un confortevole formicaio. Siamo condizionati dalla vita, dagli acquisti, dalla pubblicità. In cosa possiamo operare delle scelte? Compriamo un capo e non un altro ma… il libero arbitrio è cosa diversa.
La sua è una rilettura moderna di un argomento antico, che coinvolge la coscienza della realtà del male, il bisogno della fede in Dio, ma anche quello del dubbio: per esempio, com´è possibile che un Dio giusto abbia creato il dolore…
Infatti, lo dice apertamente il nostro adattamento. C´è una fede che traballa, ed è un segno evidente. Si illumina e si spegne. Si illumina e si rispegne. È una presenza ambigua e discontinua".
Come si dipana lo spettacolo? Lei assume un doppio ruolo, quello del narratore e quello dell´Inquisitore, mentre a Leonardo Capuano è affidato quello di Mefisto. Come entrano in relazione i tre personaggi?
Entrano in relazione magicamente. In verità non vi sono ruoli assegnati. All´improvviso sono Ivan Karamazov invecchiato. Io faccio tutti i personaggi dei Karamazov. Lo spettacolo è molto complesso ed è sbagliato semplificarlo in spiegazioni. Bisogna vederlo più che illustrarlo. È particolare, intenso, con tanti quadri virtuali, disseminati e sfiorati in modo diverso. Una messa in scena molto contemporanea, dove si sentono rumori, suoni. Dove esistono luoghi e non luoghi. Di certo, non è la classica rappresentazione col salotto borghese; siamo lontani dal teatro del Novecento. Lo definirei, anzi, postmoderno. Ma non terrorizza il pubblico come quelli dell´avanguardia, dove non si
capisce niente.
Lei lo ha definito uno "spettacolo europeo".
Ho parlato di tono ´europeo´ perché è simile a quel teatro non borghese ma più dinamico che si vede in una certa Europa, in Germania per esempio. E poi perché il tema è universale, non ha rapporto con la realtà, la famiglia o la spesa corrente italiana. Non è legato a nulla che sia soltanto di una nazione.
Intanto, prepara "Il giuoco delle parti" di Pirandello, dove è il conflitto tra ragione e sentimento il tema dominante. Come mai questa scelta?
Eh sì, perché sono costretto a fare delle scelte anche più popolari. La gente oggi compra i titoli e Pirandello è uno interessante. È una commedia che avevo già fatto con Lavia. Oggi la porto in scena con Roberto Valeri. Il pubblico, però, vuole anche essere sorpreso e io spero di riuscirci con una rilettura differente e, credo, più credibile. ´Il giuoco delle parti´ è un dramma della gelosia che finisce con la morte dell´amante. Però è una morte filosofica, sopraffina, che avviene, cioè, attraverso un ragionamento filosofico. Io proverò a rendere il tutto un po´ più drammatico e problematico. Pirandello, per esempio, mette in scena un modello teatrale che è quello dell´alta borghesia, mentre io l´ho rielaborato più verso il basso, con toni ora realistici, ora anche onirici.
Guarda l´intervista video di Federica De Cesare
http://www.youtube.com/watch?v=Efh2Kt9gsCA&feature=youtu.be
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