Cerciello: "Riqualificare il teatro formando il nuovo pubblico"

Il regista apre la stagione del suo Elicantropo con un testo di Josè Saramago
Servizio di Anita Curci

Con Tempo pessimo per votare da Saggio sulla lucidità di Josè Saramago, nell´adattamento e regia di Carlo Cerciello, in scena fino al 24 novembre, si apre la stagione 2013/2014 del Teatro Elicantropo di Napoli, che giunge, nonostante le difficoltà, al diciottesimo anno di attività.
 
Cerciello, come mai questa scelta per inaugurare il cartellone?
Nel 1999 misi già scena Saramago, intitolando Il Contagio la versione teatrale di "Cecità", il suo romanzo-parabola sulla cecità dell´uomo contemporaneo. Ora ci torno con la riduzione di Saggio sulla lucidità, dove lo scrittore portoghese porta ad amara conclusione le vicende iniziate nell´altro libro. Ma questo non è il solo motivo della mia scelta. In realtà, con Tempo pessimo per votare porto a teatro una lucida e tragica analisi sul potere e sul suo cinico esercizio.

Al principio della stagione si può anche fare una riflessione su
quella passata.

 

In genere seguo quelli poco ufficiali, che fanno meno parte dell´establishment, perché in questo momento c´è una ferita dentro di me. Sono arrabbiato per quello che sta succedendo nel teatro in generale. Anche in questo campo, come nel Paese, sì è creata una spaccatura tra ricchezza e povertà, dove ricchezza non significa necessariamente produrre qualità, e povertà generare prodotti scadenti. Si tratta, piuttosto, di una ricchezza che ha, invece, la possibilità di gestire un potere e quindi di imporre un marchio culturale. Ecco perché non ho buona opinione dei cartelloni  napoletani.

 

Esiste una soluzione?

 

Sì, una rivoluzione. Contro le deficienze del sistema. Esempio: se una persona che fa l´assessore regionale alla Cultura siede su altre tre, quattro poltrone, si crea un conflitto di interessi che lede la popolazione stessa. Ecco una tra le prime deficienze da sanare.

 

Che cosa manca alla programmazione teatrale campana?

 

Una distribuzione e una produzione che non siano commerciali. Perché il teatro commerciale non ha bisogno della distribuzione, si ripaga da solo; mentre c´è un teatro che, da sempre e in tutto il mondo, ha dei canali di sostentamento che non sono legati alla commerciabilità del prodotto. E qui questo non avviene.

 

Che cosa bisognerebbe portare in scena perché sia utile al pubblico?

 

Prima di tutto bisognerebbe formare gli spettatori che, invece, stanno diventando sempre di più, come per la lirica, un pubblico di addetti ai lavori. Siamo come dentro a un imbuto. La diminuzione di platee è il prodotto della demolizione culturale generata in questo Paese in tanti anni. La vera cultura è sovversione, provocazione. Strehler  riportava spesso quanto detto da Brecht: il teatro non deve unire ma dividere.

Invece, noi tendiamo a massificare. Nella piattezza di oggi, la cosa che funziona e che piace a tutti deve soddisfare tutti. Al contrario, se non vogliamo far morire quel teatro che evita l´intrattenimento, punta sulla provocazione e fa riflettere, allora dobbiamo riformare il pubblico. A cominciare dalla scuola, dove si dovrebbe insegnare non la storia dell´arte, ma la "storia delle arti".

 

26 novembre 2013

 
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