History

Il Diana di Napoli

di Antonio La Gala

Verso la fine degli anni Venti del Novecento un appassionato di teatro e di cinema, Giovanni De Gaudio, ebbe l’idea di aprire al Vomero un teatro all’altezza della borghesia vomerese, che in quel periodo era notevolmente cresciuta, in numero ed in qualità.  
Assieme ai fratelli Federico, Ettore e Vincenzo egli comprò un suolo in Via Luca Giordano e vi costruì, come si diceva allora, una "Sala". 
L'apertura del locale non fu gradita dai proprietari di un palazzo adiacente, i quali si lamentavano per i fastidi loro provocati dalla contiguità del teatro: rumori, confusione per afflussi di persone, ecc. Alla fine ottennero la chiusura della Sala. 
De Gaudio risolse la vertenza giudiziaria tagliando la testa al toro, ovvero tagliando una fetta del locale per lasciare un cortile fra il teatro ed il palazzo dei protestatari. 
Per far ciò, però, egli dovette rifare parzialmente il teatro per poterlo riaprire. 
Fu molto sollecito a farlo, tant'è che già nel marzo del 1933 si ebbe la nuova inaugurazione:  un elegante locale di spettacolo andò a rallegrare le serate dei napoletani e dei vomeresi in particolare: il teatro Diana. 
Il Diana, di concezione allora modernissima, con 2.000 posti e tetto apribile, progettato dal noto architetto Gino Avena, partì alla grande: fu inaugurato nientemeno che dal futuro Re, il Principe Umberto, che in quel periodo si faceva vedere spesso per Napoli in veste di principe farfallone, anche perché ai Savoia interessava far simpatizzare i napoletani con la monarchia sabauda,  la quale nella capitale dell'ex regno borbonico non godeva delle simpatie proprio di tutti, per la diffusa convinzione che i Piemontesi “avevano usurpato” il loro Regno. 

Fin dall’inizio sul palcoscenico del Diana cominciarono a passare spettacoli ed artisti di primario livello nazionale. I nomi degli artisti che hanno calcato le tavole del Diana, dalla nascita fino ad oggi, non li elenchiamo perché sono quelli di tutti i più grandi e noti protagonisti della scena del Novecento, nazionale ed extranazionale, sia della commedia, che della rivista, della prosa, della musica e della canzone. 

Il Diana diventò subito occasione di mondanità per il quartiere e portava in collina i personaggi dello spettacolo più noti del momento, che si potevano incontrare per le strade del Vomero, assieme a giornalisti, commediografi ed altri. Inoltre li si incontravano ai tavoli delle trattorie e dei Ristoranti del dopoteatro, che crebbero in notorietà proprio per questo; in primis D’Angelo in Via Aniello Falcone e Sica in Via Bernini. 

Durante il periodo bellico il Diana era l'unico teatro aperto in città che riusciva a dare ai napoletani un po’ di consolazione. 

Poco dopo il Diana “fu teatro” (è il caso di dire) della clamorosa rottura fra i fratelli de Filippo. Peppino, stanco di essere redarguito dal fratello, salì su una sedia, batté le mani e gridò, ritmando:” Duce..duce..duce”.   

La mattina del due agosto del 1945, all'improvviso, crollò il soffitto del locale, per il cedimento di un pilastro, senza provocare vittime, perché avvenuto a sala vuota. Giovanni De Gaudio, con la solita solerzia e caparbietà, nel 1948 lo riaprì più moderno e più bello di prima. 

Nell’ambito degli stravolgimenti avvenuti nel secondo dopoguerra, pure il mondo del teatro napoletano subì trasformazioni, chiusure, nuove aperture. 

Questi eventi colpirono anche il Diana che per alcuni anni funzionò prevalentemente come sala cinematografica 

Il 4 marzo 1973 un altro incendio distrusse il Diana. Fra gli artisti accorsi addolorati sul luogo dell’incendio molti ricordano Nino Taranto.   

La figlia di Giovanni De Gaudio, Mariolina, che nel frattempo era succeduta al padre nella proprietà del Diana, dotata anche lei della stessa determinazione nel superamento delle avversità, lo riaprì, migliorato, a tempo di record, dopo appena sei mesi, il dodici settembre dello stesso anno, il giorno del suo onomastico. 

Proprio in quei giorni Napoli usciva da un’ennesima calamità, un colera. Tornare a teatro per molti significava tornare alla normalità.

Da allora, dedicandosi solo all'attività teatrale, il Diana ha ospitato di nuovo i più grandi nomi dello spettacolo, collocandosi fra le primarie realtà  teatrali nazionali, per numero di spettatori e per qualità di spettacoli. 

Il Diana vanta anche un record: è l'unico importante teatro d'Italia ad essere gestito dalla stessa famiglia, fin dai lontani inizi: stiamo parlando di oltre ottant'anni di attività.




 
La storia del Politeama di Napoli
La sala di via Monte di Dio,  edificata nel  1870 col nome di Politeama Giacosa, ha visto tra i suoi spettatori il principe Umberto di Savoia che andava per applaudire Milly; ha ospitato per molti anni il ballo di Carnevale, organizzato da piu' circoli, quando questi ultimi non avevano ancora sedi prestigiose ma rappresentavano l'élite della città; ha assistito al debutto nazionale di "Filumena Marturano"; haospitato addirittura il Circo Orfei, seguendo l'uso che in teatro si presentasse ogni genere di spettacoolo dal vivo.
Brucio' nell'autunno del 1957, appena conclusasi la prima dello spettacolo di rivista con Wanda Osiris, la diva della rivista. La compagnia era appena giunta al ristorante "La Bersagliera", quando il portiere del teatro corse ad avvisare che "se steva appiccianno tutte cose". Si racconta che Raimondo Vianello, nel cast della rivista in cartellone, raccontando l'indomani al suo amico Ugo Tognazzi, che chiedeva come fosse andato il debutto, gli disse che il successo era stato talmente caldo che il teatro bruciava ancora. Purtroppo la Wandissima perse tutto, perche' l'incendio danneggio' maggiormente il palcoscenico ed i suoi camerini. Quella sera cadde il buio sul Politeama, che resto' chiuso per molti anni.
Finalmente, il 23 dicembre del 61, in un tripudio di fiori, di tappeti rossi e di uno sfavillio di luci, il grande Nino Taranto, con uno sforzo economico non indifferente, restitui' agli spettatori napoletani il glorioso Politeama completamente rifatto con tecniche che per l'epoca erano all'avanguardia, con un grande palcoscenico capace di ospitare i piu' grandi spettacoli dell'epoca; nella ristrutturazione la pianta della sala fu concepita a gradini per dare migliore visibilita' agli spettatori; le comode poltrone in velluto blu facevano risaltare il giallo ocra del sipario, mentre le pareti erano rivestite in legno. Lo spettacolo inaugurale fu ''Rinaldo in Campo'' della premiata ditta Garinei&Giovannini, con Domenico Modugno Delia Scala, Paolo Panelli, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia. Fu  emozionante il momento in cui  le luci delle appliques che adornavano i palchi iniziarono a spegnersi lentamente, mentre piano piano veniva tirato il sipario e compariva Delia Scala. Un fragoroso applauso coinvolse tutta la sala, tanto da stupire anche la famosa attrice che pero' si riprese subito con professionalita' per dare inizio allo spettacolo. La stagione 61/62 prosegui' con uno spettacolo del padrone di casa, Nino Taranto, che rappresento' prima ''Vado per vedove'' e subito dopo ''Pensaci Giacomino'', seguirono Ornella Vanoni in ''L'idiota'', i concerti di Dalida e Chet Baker, il teatro Mediterraneo diretto da Mico Galdieri portò al Politeama ''Liola' '' con Achille Millo e regia di Vittorio De Sica, e ''De Pretore Vincenzo'' di Eduardo De Filippo, che ne curò anche la regia.
Ma nonostante i successi, la gestione non riusci' a fare fronte ai tantissimi impegni finanziari assunti per la ricostruzione (pensare che il solo lampadario che troneggia al centro della cupola fu pagato dieci milioni delle vecchie lire nel 61!) e seguì il fallimento.
Il 18 marzo del 1964 si riaccesero le luci del Politeama. Questa volta la gestione era del Commendatore Giuseppe Scarano, affiancato dal direttore Cozzolino, dai fratelli Carosone al botteghino ed in sala la mascherina Susy, tutti entrati nella storia del teatro. Lo spettacolo scelto per la riapertura fu ''Trecentosessantacinque'', con Marisa del Frate e Raffaele Pisu; nello scorcio di quella stagione teatrale torno' al Politeama Carlo Dapporto con le sue 24 Bluebell,  e fu ripreso ''La Gioia'', rivista di Michele Galdieri, ospitata qualche mese prima al teatro Mediterraneo. Ma il vero trionfo di quella mini stagione fu ''My fair lady'' con Gianrico Tedeschi, Mario Carotenuto e Delia Scala, un trionfo con dieci giorni di esauriti e posti aggiunti, sebbene il teatro Politeama avesse una capienza di 1100 posti. Ormai era diventato un fiore all'occhiello per Napoli, tanto che nel settembre 1964 si decise di trasferire su quel palcoscenico anche il Festival della canzone Napoletana, che allora godeva ottima salute. Quell'anno vinse ''Tu si na' cosa grande'', cantata da Ornella Vanoni e da Domenico Modugno che ne era anche l'autore.
Da quell'anno il Politeama e il  San Ferdinando furono gli unici teatri di Napoli ad avere una programmazione continua e sempre più importante: nella stagione 64/65, per il periodo natalizio, fu applaudito ''Rugantino'' con Aldo Fabrizi, Toni Ucci ed Ornella Vanoni; seguirono Nino Taranto Luisa Conte e Dolores Palumbo in ''Miseria e Nobilta' '', in febbraio furono in scena Renato Rascel e Delia Scala in ''Il Giorno della Tartaruga'' ancora di Garinei&Giovannini; Dario Fo' e Franca Rame in ''Settimo: ruba un po' meno'', Marisa del Frate e Gino Bramieri in ''Italiani si nasce''; Erminio Macario e le sue donnine in ''Febbre Azzurra 65'', ed infine Carlo Dapporto con Miranda Martino in ''I Trionfi''. Piatto forte della stagione 65/66 fu la coppia Monica Vitti e Giorgio Albertazzi in ''Dopo la caduta'' di A. Miller, presente in sala alla prima seduto in una poltrona di quinta fila; ancora Dapporto e la Martino in ''L'Onorevole''; poi un giovane Pippo Baudo con Carla Puccini per uno spettacolo di musica leggera, e torno' anche l'operetta, con Elvio Calderoni Carlo Campanini ed Aurora Banfi. La stagione 66/67 vide protagonista fra i 24 spettacoli in cartellone Alighiero Noschese in uno spettacolo della ditta G &G, ''La voce dei padroni''; tornarono Gino Bramieri e Marisa del Frate in ''L'Assillo infantile'', e a  Natale Ermino Macario presentò ''Pop a tempo di Beat''. Torno' anche ''Rinaldo in campo'' sempre con Domenico Modugno e Delia Scala, che concluse la sua carriera teatrale proprio con questo spettacolo, ed a fine stagione una rivista strepitosa, ''La Minidonna'', con Sandra Mondaini, Antonella Steni ed Ave Nichi. Il successo fu tale che, essendo il teatro libero ed anche la compagnia, le recite furono procrastinate per un'altra settimana. Ormai andare al Politema era un rito, e per un certo tipo di societa' napoletana rappresentava uno status symbol avere l'abbonamento a questo teatro. Quando a maggio esponeva il cartello chiusura estiva veniva un po' di magone, ma per ovviare questa tristezza nel luglio del 67, nonostante il gran caldo, la Direzione decise di riaprirlo per ospitare, reduce dai trionfi al Sistina, ''Brasiliana 67 show'', che trascinava e coinvolgeva il pubblico in sala invitandolo a ballare. Ad inaugurare, invece, la stagione 67/68 ci pensarono Erminio Macario e Raffaella Carra' in ''Non sparate al reverendo''; seguirono Valeria Moriconi, Paolo Ferrari e Mario Scaccia, Luciano Salce, Laura Adani, Lia Zoppelli e Tino Carrano in ''Questa sera si recita a soggetto'', ed ancora Ernes Zacconi, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Sarah Ferrati diretti da F. Zeffirelli in ''Un Equilibrio delicato''; come al solito G & G presentarono il musical dell'anno, ''Viola Violino e Viola d'Amore'', con Alice ed Ellen Kessler ed Enrico Maria Salerno; la stagione si concluse con due grandi: Raf Vallone ed Alida Valli in ''Uno Sguardo dal ponte''. Per la stagione 68/69 il pubblico applaudì ''Aspettando Jo'', con Catherine Spaak ed Jonny Dorelli, che tornarono, superinnamorati, anche nella stagione 69/70 con ''Promesse Promesse''. Lanciato ormai nell'Olimpo dei grandi teatri italiani, nel Gennaio 1970 al Politeama arrivò il grande evento: una serie di concerti di Mina e Giorgio Gaber. Parlare di trionfo e' riduttivo, non c'era mai un posto libero, il pubblico li rivedeva più volte, non sarebbero bastati mesi di programmazione, tanto che i due big tornarono anche nel gennaio 71. In quegli anni Valeria Moriconi recitava "Filumena Marturano", Mariangela Melato "Anna dei miracoli", Carmelo Bene scandalizzava la città.
Dal 1994, cambiando varie gestioni, il Politeama perse il suo predominio, e tende da quest'anno a ridiventare uno dei più importanti locali di Napoli.




Teatro Mercadante di Napoli
Napoli - Il Teatro Mercadante nasce come Teatro del Fondo, dal nome d’una società militare (Fondo di separazione dei lucri) che, con i proventi confiscati al Disciolto Ordine dei Gesuiti, mise in opera la struttura nel 1777-’78, affidandone la progettazione al colonello siciliano Francesco Securo. Aperto al pubblico nel 1779 con l’opera di Giovambattista Lorenzi, L’infedele fedele, musicata da Domenico Cimarosa, fu consacrato prevalentemente al genere operistico (“Opera buffa” e “Opera seria”).Attivamente partecipe dei cambiamenti politici e culturali avviati dalla Repubblica Partenopea nel 1799, fu rinominato “Teatro Patriottico” e inaugurato con la rappresentazione dell’Aristodemo di Monti alla presenza del generale Championnet, acclamatissimo dal pubblico. Successivamente continuò ad ospitare drammi politici, tra cui quello che costò a Cimarosa la possibilità di rimanere a Napoli una volta ripristinata la monarchia.
Con la Restaurazione il Mercadante recuperò la propria vocazione operistica e - specialmente nel periodo in cui fu diretto dall’impresario Domenico Barbaja - accolse musicisti come Rossini, Bellini, Donizetti, Mozart e Verdi.
Nel 1870 il teatro cambiò nome in onore di Francesco Saverio Mercadante, musicista pugliese formatosi a Napoli, e fu oggetto di diversi restauri (al 1893 risale la facciata dell’ing. Pietro Pulli).
Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento diede accoglienza alla grande prosa italiana e internazionale: Adelaide Ristori, Fanny Sadowski, Ermete Zacconi, Eleonora Duse, Sarah Bernardt e Coquelin furono gli acclamati protagonisti di quella fertile stagione, insieme con gli esponenti di punta del teatro napoletano (Antonio Petito, Eduardo Scarpetta, Roberto Bracco), amatissimi dal pubblico.
Con un occhio sempre rivolto alle novità, il Mercadante ospitò nel 1914 una discussa “Serata Futurista” organizzata da Marinetti. Qualche tempo dopo suoi prestigiosi ospiti furono Marta Abba e Luigi Pirandello.
Nel corso dei restauri effettuati tra il 1920 ed il 1938 il soffitto si arricchì d’un pregevole dipinto a tempera raffigurante Napoli marinara di Francesco Galante.
Diretto per circa un triennio da Franco Enriquez, nel 1963 il Teatro chiuse i battenti per inagibilità. Riaprì soltanto dieci anni dopo, quando - passato dal controllo demaniale a quello comunale – fu portato a termine l’ultimo restauro.
Dalla metà degli anni Ottanta vi furono allestiti mostre e diverse rappresentazioni, ma solo dal 1995 in poi il Mercadante ha dato il via a stagioni teatrali regolari ospitando spettacoli, progetti di teatro contemporaneo, videorassegne, teatro scuola, e diventando una realtà culturalmente operativa sul territorio cittadino.
Dalla stagione teatrale 2003-2004 il Mercadante è gestito dall´Associazione Teatro Stabile della città di Napoli.




 
http://www.teatrostabilenapoli.it/info/teatri/teatro-mercadante


 


TEATRO OLIMPICO DI ROMA 
Roma - Grandi nomi hanno da sempre fatto grande il Teatro Olimpico, il Palcoscenico di Roma che da molti anni si conferma tra i primi teatri d´Italia per affluenza di pubblico. Dario Fo, Nicola Piovani, Giorgio Gaber, Mikhail Baryshnikov, Gigi Proietti, Lucio Dalla, Joaquin Cortès, Marco Travaglio, Neri Marcorè, Pooh, Momix, Lindsay Kemp, Enrico Brignano, Cinzia Leone, Gioele Dix, Vincenzo Salemme, Maurizio Battista, Lillo e Greg, Ale e Franz, Massimo Ranieri e Max Giusti, sono solo alcuni dei protagonisti dello spettacolo che hanno calcato le scene del palcoscenico d´elezione della capitale.

Presieduto da una direzione tutta al femminile, è definito nelle parole del suo Amministratore Delegato e Direttore Artistico Lucia Bocca Montefoschi: "il Teatro Olimpico è moderno anche nelle scelte più tradizionali: all´avanguardia per vocazione".

Nato negli anni ´30, dopo quasi ottant´anni dedicati alla musica e allo spettacolo, il Teatro Olimpico è ancora una delle realtà culturali più eclettiche e interessanti della Capitale: la sua programmazione spazia dalla danza alla musica, dal cabaret alle opere d´autore fino alla musica classica, ospite fissa del Teatro dal 1980 con i concerti dell´Accademia Filarmonica Romana.

Punto di forza del Teatro Olimpico è anche la sua insolita architettura, concepita tra l´idea del teatro di varietà e la sala cinematografica. Grazie al suo palcoscenico multifunzionale e alla sala da 1400 posti, come disse Orson Welles, il Teatro Olimpico è l´unico posto a Roma in grado di ricordare l´atmosfera dei teatri di Broadway. A richiamare i più grandi teatri del mondo come quelli di Covent Garden e di Leicester Square a Londra, anche la sua collocazione nel quartiere Flaminio, sempre più polo di riferimento per l´arte e lo spettacolo con la creazione di nuovi luoghi della cultura, quali l´Auditorium Parco della Musica, il Maxxi e il Ponte della Musica sorto proprio di fronte a Piazza Gentile da Fabriano.


 


 

 

 
Teatro Della Pergola tra storia e futuro
di
Riccardo Ventrella


Firenze - Passione e modernità, tradizione e spinta all´innovazione, fascino e mistero: tutto questo è il Teatro della Pergola, il teatro di Firenze per la sua posizione centrale e l´indissolubile legame che si è creato con la storia della città. La Pergola si avvia a compiere un compleanno importante, i 350 anni dall´inaugurazione con l´opera buffa Il podestà di Colognole di Giovanni Andrea Moneglia, che diede inizio ad una lunga teoria di spettacoli ancor oggi ininterrotta. Furono gli Accademici Immobili, un gruppo di nobili dediti alla coltivazione delle arti, ad individuare nell´area ove sorgeva un tiratoio dell´Arte della Lana il sito ideale ove edificare un edificio in grado di sostituire il Teatro del Cocomero (che sorgeva ove adesso si trova il purtroppo chiuso Niccolini), giudicato troppo piccolo per le attività accademiche. Su progetto di Ferdinando Tacca, figlio di quel Pietro che ci ha regalato le fontane di SS.Annunziata, nacque una sala unica, che si ispirò probabilmente alle modalità di visione degli spettacoli che si verificavano nei cortili dei palazzi rinascimentali, il cui modello e l´Ammannati di Palazzo Pitti: affacciandosi alle finestre, i nobili potevano ammirare giochi, battaglie e naumachie agite più in basso. Sorsero così i palchi, caratteristica peculiare del teatro all´italiana che nasce proprio con la Pergola: piccoli spazi separati che permettono ad ogni famiglia di ammirare lo spettacolo da una posizione privilegiata. I malevoli attribuiscono questa origine, più che alle citate modalità di visione, alla litigiosità proverbiale dei fiorentini: assegnando un palco ad ogni famiglia si evitavano spiacevoli frizioni tra gruppi rivali. A testimonianza di questa maliziosa ipotesi rimangono nell´atrio del teatro alcuni degli stemmi lignei che identificavano, sulla porta dei palchi, la proprietà di ciascuna famiglia. Attualmente sono solo due i palchi di proprietà: il numero 1 del primo ordine, rimasto agli ultimi eredi degli Immobili, e il 25 sempre del primo ordine, riservato al direttore del teatro.

Insieme al grande palcoscenico, e alla platea, altra caratteristica distintiva della Pergola è l´inimitabile acustica, che la rende perfetta per ospitare la musica e esalta le doti di voce degli attori più grandi, ed è in gran parte dovuta alla pianta a ferro di cavallo.
A chiudere il palcoscenico un grande sipario dipinto raffigurante Firenze e l´Arno che a partire dal 1661 si aprì sul teatro finalmente completato. In breve iniziò però un lungo periodo di chiusura, forse l´unico nelle storia del teatro, durato oltre ventisette anni, e iniziato in segno di lutto per la morte del cardinale Giovan Carlo de´Medici.

Inizialmente riservato alla corte, il teatro viene aperto a partire dal 1718 al pubblico pagante. Rappresentava già allora le opere di compositori grandissimi, come Antonio Vivaldi. L´edificio, rimaneggiato più volte, è arricchito di decorazioni e aumentato in capienza. Vengono eretti i primi appartamenti, nucleo vitale della "Città del Teatro" che riuniva in sé tutti i mestieri e le competenze dell´arte scenica. Nel 1801 al primo piano si aprì su progetto dell´architetto Ristorini il Saloncino, grande ambiente con stucchi dedicato alla musica e alla danza. Completamente restaurato nel 2000, ancora oggi è la seconda sala del teatro. Lo stesso Ristorini aveva qualche anno prima, nel 1789, portato a termine i lavori per il rinnovamento della sala grande, con l´edificazione del palco reale e l´aumento del numero dei pachi. Questi ampliamenti sono il preludio ad uno dei periodi più fecondi della storia della Pergola, quello segnato tra il 1823 e il 1855 dalla gestione dell´impresario Alessandro Lanari. Sotto il suo impulso Firenze diviene uno dei palcoscenici più importanti del melodramma classico italiano. I più importanti compositori, a cominciare da Bellini, sostano in via della Pergola e Giuseppe Verdi vi fa debuttare nel 1847 il suo Macbeth, lasciando come imperitura testimonianza lo sgabello sul quale riposava durante le prove, ancora oggi conservato nel museo del teatro. Nel 1826 Martellini dipinge il sipario storico raffigurante l´incoronazione di Petrarca in Campidoglio, tuttora usato nelle occasioni di gala; il macchinista Canovetti costruisce l´affascinante macchina per il sollevamento della platea, usata nelle feste da ballo per creare un piano unico col palcoscenico; l´architetto Baccani presiede ad importanti lavori di ammodernamento, che donano all´edificio l´Atrio delle Colonne con le sue caratteristiche decorazioni in polvere di marmo; e un giovane apprendista di palcoscenico, Antonio Meucci, sperimenta un sistema di comunicazione a voce tra la graticcia e la superficie del palcoscenico: è l´antenato del telefono, che Meucci perfezionerà poi, ingegnosamente ma senza fortuna, una volta emigrato negli Stati Uniti.

Il teatro è rischiarato dai lumi a gas, e Firenze gode del rango di capitale d´Italia. Quando, nel 1898, arriverà la luce elettrica, getterà i propri raggi su un teatro in crisi. Al melodramma, emigrato verso i più grandi Politeama e Pagliano, si è sostituita la prosa; alla gestione degli Immobili quella di una società privata che dal 1913 al 1929 si occupa della programmazione della Sala. In questo periodo il loggione è sostituito dalla galleria, e viene posto in opera il sipario in velluto rosso. Nel 1925 lo Stato dichiara la Pergola monumento nazionale. Incombe la guerra, e gli Immobili, che hanno riassunto la gestione del teatro affidandone la direzione ad Aladino Tofanelli, decidono di cedere la proprietà proprio allo Stato, che lo annette al neonato Ente Teatrale Italiano. Il palcoscenico continua ad ospitare la prosa, non disdegnando la rivista e lo spettacolo leggero. Morto all´improvviso Tofanelli, giunge a Firenze da Reggio Emilia un giovane funzionario, Alfonso Spadoni. Brillante, e dotato di idee innovative, Spadoni rivitalizza la Pergola facendone il tempo della grande prosa. Si radica profondamente nel tessuto cittadino, divenendo presto protagonista della vita culturale dell´epoca. Con l´ETI 21 porta frotte di giovani a teatro; con la Bottega di Gassman e la scuola di Eduardo afferma il valore della formazione d´alto livello a teatro. Spadoni rimane al timone per oltre trent´anni, fin quando nel 1993 una grave malattia se lo porta via. Suo degno erede alla guida della Pergola è un altro giovane brillante, Marco Giorgetti. Già attore con Gabriele Lavia, Glauco Mauri e Salvo Randone, Giorgetti dal 1999 riallaccia i legami tra teatro e città, promuovendo un uso anche extraspettacolare e più moderno della struttura, fin quando nel 2004 è chiamato alla Direzione Generale dell´Ente. Rientra a Firenze nel 2007 come Direttore Manager della Pergola, e recentissima è la nomina a Direttore Generale della Fondazione Teatro della Pergola creata per gestire il futuro della storica sala dopo il decreto di soppressione dell´Ente Teatrale Italiano.

Oggi la Pergola è molto più di un teatro. È un centro culturale vivo, che utilizza come principale potenzialità la sua storia, e il prestigio dei suoi spazi. Ha un´attività multiforme, che trova il proprio culmine nella grande stagione di prosa, ma ospita centinaia di eventi diversi e tutti importanti, a cominciare dalla stagione degli Amici della Musica, una delle più importanti d´Europa per il genere cameristico. Rivive sempre più spesso la "Città del Teatro", quest´idea dell´arte scenica non solo come fatto estetico, ma come importante tessuto connettivo della società. Durante le visite guidate sfilano gli ambienti più suggestivi, e di solito nascosti all´occhio del pubblico: i sotterranei, e il Vicolo delle Carrozze che originariamente univa Via della Pergola a Borgo Pinti e dove si trovavano le botteghe degli artigiani che facevano i mestieri del teatro; la Salita dei Cavalli, percorsa un tempo dai carri con le scenografie dirette il palcoscenico; il Pozzo, usato dalle lavandaie per attingere l´acqua utile a lavare e tingere le stoffe; le vecchie stanze dei macchinisti, con i lunghi chiodi ai quali si appendevano le vesti e i nomi scritti sui muri, riempiti anche di disegni goliardici come su una nave; il Primo Camerino, costruito nel 1906 per la divina Eleonora Duse in occasione di una rappresentazione del Rosmersholm di Ibsen; il Museo del Teatro, che riunisce nel sotto platea intorno alla macchina ideata da Cesare Canovetti oltre trecento anni di storia della tecnica teatrale, e la mitica sedia che fu costruita per Giuseppe Verdi durante le prove di Macbeth; gli appartamenti degli scenografi, con le decorazioni pompeiane alle pareti; le due sale da ballo, dove si riscaldavano mimi e danzatori, con il pavimento originale ottocentesco lavorato ad ascia che ha lo stesso declivio del palcoscenico, il cinque per cento; il grande modello del teatro, così grande che non può più uscire dalla stanza in cui è stato montato; e su in alto, fino alla graticcia, il luogo sacro del teatro dal quale partono le corde che sorreggono e muovono scenografie e luci. A oltre diciotto metri d´altezza, su travicelli sottili, quasi sospesi nel vuoto camminano i principi dei macchinisti, i soffittisti.

Ogni sera in teatro si celebra un rito, quello dello spettacolo. Vocazione della Pergola è quella di ospitare i grandi allestimenti, i grandi testi degli autori più grandi; i grandi attori, e i grandi registi. Le stelle più luminose del firmamento della scena brillano alla Pergola. Senza dimenticare il teatro contemporaneo, le scritture più curiose, gli spettacoli più intimi. Passeggiare nei corridoi del teatro è come leggere un libro cosparso di nomi immortali. Tutti gli oggetti raccontano una storia, le singole fibre di tessuto o particelle di legno sono testimoni di un evento memorabile. Poi il rito termina. Ogni sera il teatro cessa di essere se stesso. Ma non si perde mai. Come un corpo, anche di notte respira e trasmette tutto intorno la magia.

La Pergola guarda già al futuro, tenendo ben presente la sua storia come inestimabile ricchezza. Riafferma il suo ruolo di tempio della prosa, e teatro della città alla quale si vuole offrire come insostituibile punto d´incontro. Perché la Pergola, a Firenze, è il Teatro.

Fonte:
http://www.fondazioneteatrodellapergola.it
 
 
 
 
 
 
Elenco degli edifici teatrali greci e romani in uso in Italia
a cura di Anna Banfi

Il recente censimento dei teatri antichi greci e romani, pubblicato nel 2002 nel volume Memoria del teatro, a cura di Paola Ciancio Rossetto e Giuseppina Pisani Sartorio, ha individuato in Italia 191 strutture teatrali. Determinare quante e quali di esse siamo oggi utilizzate per la rappresentazione di spettacoli teatrali o in generale per la realizzazione di eventi culturali è impresa tutt´altro che semplice.

Se alcuni teatri antichi conoscono un utilizzo ormai iterato e consolidato nel tempo – è il caso questo, ad esempio, dei teatri di Siracusa, di Verona e di Fiesole – ci sono altri teatri, anfiteatri o odeia che vengono solo saltuariamente utilizzati – è il caso ad esempio del teatro romano di Ventimiglia – e altri che solo recentemente hanno recuperato la loro antica funzione di luogo di spettacolo.

La tendenza degli ultimi anni è quella di creare delle realtà più complesse che mettano in rete alcune strutture teatrali di diverse città, in cui organizzare spettacoli ed eventi culturali. È il caso questo di Teatri di Pietra, associazione nata nel 1998 allo scopo di riportare il teatro nei siti archeologico-monumentali esclusi dai grandi flussi turistici. Al momento della sua fondazione, l´associazione comprendeva i comuni di Santa Maria Capua Vetere, Sessa Aurunca, Teano e Calvi Risorta. Dal 2000 il modello sperimentato nel casertano è stato esportato in altre regioni del Centro-Sud, e oggi le regioni coinvolte sono Toscana, Lazio, Campania, Basilicata e Sicilia.



Nel 2009 è giunta alla sua undicesima edizione anche la rassegna di teatro classico organizzato dal TAU (Teatri Antichi Uniti) e promosso dal Ministero per i Beni Culturali, dalla Regione Marche, dall´Amat, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, dalla Provincia di Ascoli Piceno e di Macerata e dai Comuni delle città di Urbusaglia, Falerone, Cupra Marittima e Monte Rinaldo. Teatri Antichi Uniti coordina l´attività nei teatri antichi e nei siti archeologici delle città di Urbisaglia, Falerone, Cupra Marittima, Monte Rinaldo, Ripatransone e Ascoli Piceno.

Alla sesta edizione, invece, il Magna Graecia Teatro Festival, itinerario teatrale nei siti archeologici della Calabria, organizzato dall´Assessorato alla Cultura della Regione Calabria. Nell´estate 2009, le città coinvolte in questo progetto sono state: Borgia, Cassano allo Ionio, Crotone, Diamante, Lamezia Terme, Monasterace, Palmi, Reggio Calabria, Ricardi, Rosario e Vibo Valentia.

Il censimento qui pubblicato costituisce un tentativo di fotografare la situazione dell´uso performativo dei teatri antichi a oggi in Italia: nell´elenco sono state inserite anche quelle strutture teatrali in cui solo occasionalmente vengono organizzati eventi e quelle che costituiscono solo lo sfondo scenografico per spettacoli allestiti all´esterno.

A completare le informazioni per ogni teatro, anfiteatro, odeon (dati cronologici, notizie sul festival), alcune immagini del locus spectaculi.


FONTE: http://www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=395


 

 

TEATRO VERDI DI FIRENZE STORIA ED EVOLUZIONI
 
Costruito nella Firenze granducale sul luogo del trecentesco carcere delle Stinche, il Teatro Pagliano, che prende il nome di Teatro Verdi nel 1901, è l´unico tra i numerosi teatri edificati nella Firenze dell´800, eletta anche a capitale d´Italia, che, attraverso i grossi mutamenti di un secolo e mezzo di storia, arriva ai giorni nostri in piena attività continuando ad essere, per Firenze e per la Toscana, la sede per le grandi occasioni, per gli appuntamenti musicali e gli spettacoli popolari.Sogno realizzato da Girolamo Pagliano, ex baritono e fortunato farmacista inventore di un elisir di lunga vita, il teatro, che apparve da subito imponente (era tra i sette più grandi d´Italia) inaugurò il 10 settembre del 1854 con Il Viscardello, primo titolo del Rigoletto verdiano. La prevalente vocazione lirica, con opere di repertorio e nuovi titoli, caratterizzò per un lungo periodo le felici stagioni dirette da Pagliano.
Arrivarono poi gli anni delle manifestazioni patriottiche e umanitarie, i primi memorabili allestimenti teatrali con i grandi interpreti dell´800 e spettatori d´eccezione come Vittorio Emanuele II.
Nel 1865 il Teatro rischiò di sparire in un incendio, passò poi di mano da un proprietario all´altro;dopo la prima guerra mondiale apre all´operetta popolare e con la proprietà Castellani arrivano i più grandi attori del Novecento.
Il primo serio restauro a cura di Nello Baroni e Maurizio Tempestini risale al 1950; e poi con i favolosi anni 60 il teatro ospita le star internazionali della musica leggera, jazz, pop e rock e le celebrità del teatro leggero e della rivista.
Così si susseguono le stagioni, arrivano gli spettacoli del Maggio Musicale Fiorentino, le rassegne cinematografiche, i balletti e insieme arrivano anche i problemi: l´alluvione del 1966 e i necessari lavori di adeguamento alle norme di sicurezza.
Nel gennaio del 1998 il Teatro passa alla Fondazione Orchestra Regionale Toscana, diventando dunque la sede di prove e concerti dell´ORT e allo stesso tempo mantenendo la singolare eterogeneità delle proposte teatrali, l´immagine di uno spazio culturale aperto, vivace nelle proposte e attento alle esigenze del suo variegato pubblico.
Per la festa dei 150 anni del Teatro Verdi (ottobre 2004) la Fondazione ORT ha realizzato una serie di interventi mirati a migliorarne l´acustica, l´estetica e l´accoglienza del pubblico: la pavimentazione della platea e della galleria è completamente rifatta in legno e le nuove poltroncine, rigorosamente rosse, sono state studiate appositamente da Poltrona Frau.

 


 

LA STORIA DEL TEATRO DI SAN CARLO 

Napoli - Il Teatro di San Carlo è stato costruito nel 1737, per volontà del Re Carlo di Borbone di dare alla città di Napoli un nuovo teatro che rappresentasse il potere regio. Il San Carlo, nell´ambito del rinnovamento urbanistico della città, prende il posto del piccolo Teatro San Bartolomeo. Il progetto è affidato all´architetto Giovanni Antonio Medrano, Colonnello del Reale Esercito, e ad Angelo Carasale, già direttore del San Bartolomeo.


Il disegno di Medrano prevedeva una sala lunga 28,6 metri e larga 22,5 metri, con 184 palchi, compresi quelli di proscenio, disposti in sei ordini, più un palco reale capace di ospitare dieci persone, per un totale di 1379 posti.

Otto mesi dopo l´inizio dei lavori, il 4 novembre, il teatro è già ultimato. L´opera d´inaugurazione è Achille in Sciro di Metastasio, con musica di Domenico Sarro, direttore d´orchestra e dei tre balli creati da Gaetano Grossatesta, mentre le scene sono di Pietro Righini.
Come era usanza dell´epoca, Achille è interpretato da una donna, Vittoria Tesi, detta «la Moretta», con accanto la prima donna soprano Anna Peruzzi, detta «la Parrucchierina» e il tenore Angelo Amorevoli.

L´interno della struttura è, oggi, ricostruibile sulla base di un dipinto di Michele Foschini e di alcuni rilievi eseguiti da architetti europei in visita alla sala, come lo svedese Carl Fredrik Adelcrantz, autore dei teatri delle residenze reali di Ulriksdal e Drottningholm e il francese Gabriel-Pierre-Martin Dumont.
Quest´ultimo, giunto a Napoli nel 1751 al seguito di Abel Poisson, fratello di Madame de Pompadour e futuro marchese di Marigny, contribuisce alla notorietà internazionale della fabbrica pubblicando il volume di disegni «Parallèle des plans des plus belles salles de spectacle d´Italie et de France...» e le incisioni edite nel decimo volume dell´Encyclopédie di Diderot e D´Alembert (1772).

Le numerose testimonianze tramandate da viaggiatori e visitatori sono concordi nel celebrare la vastità della sala e dei palchi, pur se a discapito dell´acustica e della sontuosità delle decorazioni. Non di rado si riscontrano singolari osservazioni, come quella del chirurgo inglese Samuel Sharp che nel 1765 nota le originali poltroncine della platea dotate di schienali pieghevoli e chiudibili con serrature.

Durante il Settecento, l´edificio vede diversi ammodernamenti sollecitati dalle mutate esigenze del gusto o dalla necessità di migliorarne l´acustica, come l´intervento del 1742 diretto da Giovanni Maria Galli Bibiena il Giovane.
Per eventi particolari, l´intera sala poteva essere trasformata con strutture e decorazioni provvisorie: nel 1747 ad esempio, in occasione della nascita del primogenito reale, Vincenzo Re organizza in teatro la «Gran Festa da Ballo».

Ristrutturazioni permanenti sono eseguite da Ferdinando Fuga (1699-1782), prima nel 1767-68 in occasione del matrimonio di Ferdinando IV con Maria Carolina e poi nel 1777-78.

Con i primi lavori l´architetto toscano rinnova la decorazione dell´auditorio e inserisce nei palchi grandi specchi provvisti di torciere con candele che, sfruttando l´effetto di riflessione, moltiplicano l´illuminazione della sala producendo, secondo il compositore inglese Charles Burney, «uno splendore troppo abbagliante per gli occhi».

Il successivo intervento riguarda quasi esclusivamente il boccascena, ricostruito con il raddoppio dei pilastri e l´inserimento dei palchi di proscenio.
Nel 1797 la sala viene sottoposta ad un nuovo restauro decorativo sotto la direzione dello scenografo del teatro Domenico Chelli (1746-1820). Questo intervento è però poco apprezzato dalla critica settecentesca soprattutto per la soluzione adottata nel soffitto con un finto pubblico dipinto sul velario.
La breve parentesi della Repubblica Partenopea del 1799 non porta particolari modifiche alla struttura, ad eccezione di alcuni danni provocati dall´uso improprio della sala, ribattezzata Teatro Nazionale e «profanata» da spettacoli equestri.

Con l´ascesa al trono di Murat nel 1808 e la gestione di Domenico Barbaja, dal luglio del 1809, si apre un nuovo capitolo nella storia del Teatro di San Carlo.

Domenico Barbaja è particolarmente interessato ad avviare una ristrutturazione del Teatro volta all´inserimento di nuovi ambienti adibiti alla sua attività di appaltatore di giochi d´azzardo.

Regista delle trasformazioni è Antonio Niccolini (1772-1850). Il caposcuola del Neoclassicismo a Napoli interviene a più riprese sull´edificio, che progressivamente acquisisce la fisionomia odierna.
La prima fase della metamorfosi riguarda la facciata, con la conseguente aggiunta del ridotto e degli ambienti di ricreazione e ristoro.
I lavori, avviati già nel dicembre 1809, si concludono due anni dopo.

Il portico carrozzabile sostenuto da pilastri si ispira al modello offerto dalla Scala (1776-78) di Giuseppe Piermarini, modificato tuttavia dall´inserimento, al secondo registro della facciata, della loggia ionica corrispondente agli ambienti del ridotto.

Con Niccolini il Teatro acquisisce, così, le connotazioni del tempio diventando monumento-simbolo della città. La facciata, infatti, ingloba elementi della grammatica classicista e una decorazione ellenizzante allusiva alla poesia drammatica e alla musica.

Altrettanto interessante è il ridotto: una grande sala tetrastila, con una decorazione vegetale in oro, fiancheggiata da ambienti minori destinati alle sale da gioco. Attraverso la loggia ionica si affaccia sulla via di San Carlo ed è oggi sede del Circolo dell´Unione.

Un anno dopo la conclusione dei lavori dell´avancorpo, l´architetto toscano adegua la sala alla nuova decorazione del vestibolo e delle scale. Tra le innovazioni eseguite, si ricordano le coppie di semicolonne addossate ai pilastri già realizzati da Fuga nel proscenio, il lampadario sospeso nella zona più oscura della sala e il rifacimento del velario sostenuto da aste con cariatidi.
Al centro di questo è raffigurata l´apoteosi degli uomini illustri con Minerva circondata dalla Muse e da Apollo, soggetto conservato anche nelle successive edizioni della sala.

 

Nella notte del 13 febbraio del 1816 un incendio devasta l´edificio del Massimo napoletano. Rimangono intatti soltanto i muri perimetrali e il corpo aggiunto.

La ricostruzione, compiuta nell´arco di nove mesi, è sempre diretta da Antonio Niccolini, che ripropone a grandi linee la sala del 1812. L´architetto toscano ne conserva, infatti, l´impianto a ferro di cavallo e la configurazione del boccascena, sebbene allargato e ornato nella superficie interna dal bassorilievo raffigurante il Tempo e le Ore, ancor oggi esistente.

Il disegno dei rilievi delle balaustre si ispira alle tavole contenute nel primo tomo delle Antichità di Ercolano (1757), alternate a fregi in oro e argento.
Nella copertura Niccolini semplifica il dispositivo messo in opera nel 1812, utilizzando aste raccordate ad un velario «all´antica», soluzione già adottata dall´architetto dieci anni prima nel Teatro degli Avvalorati a Livorno (1806).

Quale «Architetto decoratore de´ Reali Teatri», Niccolini dirige anche i successivi interventi di manutenzione e di restauro. Fra questi si ricorda l´ammodernamento compiuto nel 1844, insieme al figlio Fausto e a Francesco Maria dei Giudice, di cui rimane testimonianza in una memoria autografa pubblicata nello stesso anno.

I lavori riguardano la trasformazione della tappezzeria dei palchi da azzurro in rosso e il rifacimento delle decorazioni per adeguarle alla nuova tonalità dominante nella sala.
A tal fine anche il tondo centrale del velario viene ridipinto da Antonio, Giuseppe e Giovanni Cammarano riprendendo il soggetto delle precedenti edizioni. Il sipario completa l´arredo fisso della sala: più volte ridipinto da Giuseppe Cammarano, è sostituito nel 1854 dall´attuale esemplare dovuto a Giuseppe Mancinelli e Salvatore Fergola, raffigurante un «simbolico Parnaso» con ottanta poeti e musicisti.
Ma la fabbrica del Teatro non può dirsi completa senza menzionare la facciata laterale realizzata su progetto di Francesco Gavaudan e Pietro Gesuè a seguito dell´abbattimento dell´ultimo baluardo del Palazzo Vecchio (1838-42).

L´attuale foyer, realizzato nella zona orientale del giardino di Palazzo Reale è, invece, realizzato nel 1937 su disegno di Michele Platania. Distrutto da un bombardamento nel 1943 è stato ricostruito nell´immediato dopoguerra.



Accanto alle riprese del repertorio melodrammatico e dei capolavori dell´Ottocento, il Teatro di San Carlo ha svolto anche un´attività tesa al recupero dell´opera buffa.


Accanto alle puntuali riprese del grande repertorio melodrammatico e alla riproposta di capolavori dimenticati dell´Ottocento, ha anche svolto negli ultimi anni un´intensa attività tesa al recupero dell´opera buffa settecentesca di scuola napoletana, anche con la collaborazione del Maestro
Roberto De Simone.

Le opere tornate alla luce e al successo:

Li Sposi per accidenti
di Domenico Cimarosa
Stagione d´opera 1979
Interpreti: Valeria Mariconda, Gloria Guida Borrelli, Gennaro Sica e Silvano Pagliuca.
Direttore Giuliano Silveri; Regia, scene e costumi Vittorio Patané.

Il Flaminio
di Giovan Battista Pergolesi
Stagione d´opera 1982/1983
Interpreti: Daniela Dessì, Valeria Baiano, Gennaro Sica, Silvano Pagliuca.
Direttore Marcello Panni; Regia Roberto De Simone; Scene Mauro Carosi; Costumi Odette Nicoletti.

Crispino e la Comare
di Luigi e Federico Ricci
Stagione d´opera 1983/84
Interpreti: Lucia Aliberti, Patricia Adkins Chiti, Silvano Pagliuca
Direttore Edoardo Muller; Regia Roberto De Simone; Scene Mauro Carosi; Costumi Odette Nicoletti.

La serva padrona
di Giovanni Battista Pergolesi
Stagione d´opera 1983/84
Interpreti: Valeria Baiano, Simone Alaimo.
Direttore Herbert Handt; Regia Roberto De Simone; Scene e Costumi Mauro Carosi.

La schiava liberata
di Nicolò Jommelli
Stagione d´opera 1983/84
Interpreti: Daniela Dessì, Gloria Banditelli, Max René Cosotti.
Direttore Alan Curtis; Regia Roberto De Simone; Scene Mauro Carosi; Costumi Odette Nicoletti.

La Dirindina
di Domenico Scarlatti
Stagione d´opera 1984/85
Interpreti: Andrea Snarski, Antonella Manotti, Daniela Mazzuccato, Max René Cosotti.
Direttore Herbert Handt; Regia Roberto De Simone; Scene e Costumi Nicola Rubertelli.

Festa teatrale per il giorno onomastico del Teatro di San Carlo
Nel 250° Anniversario della Fondazione
Stagione d´opera 1987/1988
Musiche di Cimarosa, Vinci, Pergolesi, Jommelli, Paisiello, Haydn, Piccinni, Mozart, Beethoven, Paganini.
Tra gli interpreti: Kathleen Kuhlmann, Jeannette Pilou, Katia Ricciarelli, Giusy Devinu, Ezio Di Cesare.
Direttore Gustav Kuhn; Regia e ideazione Roberto De Simone; Scene Mauro Carosi; Costumi Odette Nicoletti.

L´idolo cinese
di Giovanni Paisiello
Stagione d´opera 1992/1993
Interpreti: Alessandro Corbelli, Bruno De Simone, Barbara Frittoli, Raul Gimenez.
Direttore Zoltan Pesko; Regia Roberto De Simone; Scene e costumi Emanuele Luzzati.

Il mondo della Luna
di Joseph Haydn
Stagione d´opera 1993/1994
Interpreti: Susanna Anselmi, Paola Antonucci, Francesco Piccoli, Bruno De Simone.
Direttore Salvatore Accardo; Regia Costa Gavras; Scene Gae Aulenti; Costumi Giovanna Buzzi.

Il maestro di cappella
di Domenico Cimarosa
Stagione d´opera 1994/95
Direttore e interprete Claudio Desderi; Regia Roberto De Simone; Scene e costumi Mauro Carosi.

Il convitato di pietra
di Giacomo Tritto
Stagione d´opera 1994/1995
Interpreti: Monica Bacelli, Bruno De Simone, Ezio Di Cesare, Paola Antonucci, Rossella Ragatzu, Bruno Praticò.
Direttore Peter Maag; Regia Roberto De Simone; Scene Nicola Rubertelli; Costumi Odette Nicoletti.

Il matrimonio segreto

di Domenico Cimarosa
Stagione d´opera 1994/1995
Interpreti: Bruno De Simone, Paola Antonucci, Eva Mei, Susanna Anselmi, Carlo Lepore, Luigi Petroni.
Direttore Lü Jia; Regia Giancarlo Cobelli; Scene Maurizio Balò; Costumi Zaira de Vincentiis.

Stabat Mater
di Roberto De Simone e Giovan Battista Pergolesi
Stagione d´opera 1995/1996
Interpreti: Irene Papas, Anna Caterina Antonacci e Patrizia Pace.
Direttore Lü Jia; Regia Roberto De Simone; Scene Mauro Carosi; Costumi Odette Nicoletti.

Il divertimento de´ Numi
di Giovanni Paisiello, scherzo rappresentativo per musica su testo di Giovanbattista Lorenzi
Stagione di concerti 1996/97
Interpreti: Monica Bacelli, Alessandro Corbelli, Carlo Lepore, Michael Aspinall.
Direttore Claudio Scimone; Regia Roberto De Simone; Scene Mauro Carosi; Costumi Odette Nicoletti.

Il marito disperato
di Domenico Cimarosa, dramma giocoso in tre atti su testo di Giambattista Lorenzi
Stagione d´opera 2001
Interpreti: Elena Monti, Sonia Corsini, Anna Bonitatibus, Bruno De Simone.
Direttore Giancarlo Andretta; Regia Toni Servillo, Scene Toni Servillo e Daniele Spisa; Costumi Ortensia De Francesco.

Pulcinella vendicato nel ritorno di Marechiaro
di Giovanni Paisiello, scherzo rappresentativo per musica su libretto di Francesco Cerlone
Stagione di concerti 2001/2002
Interpreti: Roberta Invernizzi, Rosario Totaro, Maria Ercolano, Maria Grazia Schiavo, Stefano Di Fraia.
Direttore Antonio Florio; Regia Davide Livermore; Scene Santi Centineo; Costumi Giusi Giustino.

L´Osteria di Marechiaro
di Giovanni Paisiello, commedia di Francesco Cerlone
Stagione di concerti 2001/2002
Interpreti: Gloria Scalchi, Elisabeth Norberg-Schulz, Marilena Laurenza, Angelo Smimmo, Giulio Liguori, Giuseppe Parisi.
Direttore Fabio Maestri; Regia Roberto De Simone; Scene Nicola Rubertelli; Costumi Odette Nicoletti.

Socrate immaginario

di Giovanni Paisiello, Opera comica in due atti su libretto di Lorenzi e Galiani.
Revisione musicale di Roberto De Simone
Stagione D´Opera 2004/2005
Interpreti: Gloria Scalchi, Maria Ercolano, Elizabeth Norberg-Schulz, Luciano Di Pasquale, Simon Orfila, Cinzia Forte, Juan José Lopera, Filippo Morace, Antonio Lubrano Franco Iavarone, Antonella Morea, Biagio Abenante, Renata Fusco, Paolo Romano
Direttore Antonino Fogliani; Regia Roberto De Simone; Scene Nicola Rubertelli;
Costumi Zaira De vincentiis.

 


 

La storia del Museo del Teatro alla Scala

Milano - La storia del Museo Teatrale alla Scala inizia nel 1911, quando intorno ad un tavolo nel Teatro alla Scala si riunirono il Duca Uberto Visconti di Modrone, il prof. Lodovico Pogliaghi, il compositore e librettista Arrigo Boito, il corrispondente de "Il Secolo" signor Borsa, il senatore Mangili, il conte Leopoldo Pullè e il dottor Ettore Modigliani, direttore della Pinacoteca di Brera.
Chi erano questi uomini? Erano tra i personaggi più in vista della Milano di quegli anni, quasi tutti esponenti del ricco panorama culturale cittadino e, se non altro per passione, legati al Teatro alla Scala. La decisione da prendere attorno a quel tavolo riguardava l´acquisto della collezione teatrale dell´antiquario Giulio Sambon che a Parigi veniva messa all´asta nei primi giorni di maggio di quell´anno. Essa avrebbe potuto dare vita al nucleo originario di una vasta collezione teatrale alla cui costituzione il mondo intellettuale milanese legato al Teatro alla Scala guardava con attenzione da molto tempo, sin dai primi anni del secolo.

L´asta della preziosa collezione era però imminente: come trovare i fondi necessari in una sola settimana? Coll´aiuto del governo e di 50 cittadini, che sottoscrissero ognuno una quota di 5.000 lire dell´epoca, dopo una serie di rocambolesche avventure per strappare la collezione al miliardario americano J.P. Morgan, il sogno divenne realtà e la collezione venne consegnata alla città di Milano.

Il Museo fu ufficialmente aperto l´8 marzo 1913 nell´ex Casino Ricordi annesso al Teatro alla Scala con una cerimonia solenne. A quel nucleo iniziale, costituito dalla collezione Sambon, si sono aggiunte negli anni numerose donazioni e acquisti che rendono a tutt´oggi la collezione del Museo tra le più ricche e invidiate del mondo. Tra i depositi vanno segnalati quello della Casa di riposo per musicisti fondazione Giuseppe Verdi, oltre a quelli pubblici. Al Museo è annessa la
Biblioteca, fondata nella sua conformazione attuale con i 40.000 volumi donati dall´autore e critico del Corriere della Sera Renato Simoni nel 1952, che volle fosse dedicata a sua madre Livia, continuamente arricchita e aggiornata.
Le sale del Museo
SI ENTRA AL MUSEO
Ci accolgono gli strumenti musicali: dal virginale dipinto da Guaracino nel 1667 per passare ad alcuni esemplari di salterio, liuti, lira-chitarra fino al fortepiano di Sommer appartenuto a Verdi. Intorno agli strumenti, sulle pareti, un dipinto del Baschenis, del ´600, posto sopra la vetrina quadro-vivente di strumenti antichi. E poi il busto di Verdi, scolpito da Gemito nel 1874 e sopra di lui, quasi un filo storico che lega due protagonisti scaligeri, il ritratto del Piermarini, l´architetto che su incarico dell´imperatrice Maria Teresa progettò il Teatro alla Scala.
 
STRUMENTI MUSICALI
Il dipinto di Evaristo Baschenis Strumenti musicali, olio su tela, rappresenta una natura morta di strumenti musicali posizionati con ricercata eleganza su un tavolo ricoperto da un tappeto di provenienza orientale. Gli strumenti sono cinque: un liuto, una chitarra, un violino con archetto, una mandola e una spinetta. Gli altri oggetti sono una cassetta in legno, un libro, due spartiti musicali e un frutto.
Il tutto, accostato con grande attenzione al gioco dei volumi, viene valorizzato da un´onda di luce che scivola sinuosa sulla rotondità delle casse ed esalta il fascino di questi oggetti antichi messi ad arte ´per caso´ e ravvivati dalla presenza della frutta che non manca mai nei dipinti del pittore bergamasco.
 
UNA RARA SPINETTA
Una spinetta del ´600 con una scritta ammonitrice sopra la tastiera. Una scritta in latino che dice a chiunque s´avvicini: "Mano inesperta non mi toccare". Una committenza privilegiata? Onofrio Guaracino, il costruttore, fu attivo a Napoli nella seconda metà del Seicento. Ma un´altra preziosità riserva questo strumento: il coperchio della cassa dipinto nel 1669 da Angelo Solimena, grande pittore salernitano. Proprio da questa raffigurazione si può avanzare l´ipotesi che la spinetta sia stata realizzata per un personaggio femminile, cui si riferisce il tema biblico della figura eroica di "Giuditta che mostra la testa di Oloferne", accolta dal corteo di donne musicanti.
 
L´ARCHITETTO DELLA SCALA
Giuseppe Piermarini, qui nel ritratto di Martino Knoller, è l´architetto della Scala. Quando nel 1776 bruciò il Teatro Ducale, all´interno del palazzo di Corte, in piazza del Duomo, lavorava a Milano da alcuni anni. Il dipinto ce lo mostra con in mano uno degli strumenti del suo lavoro, il compasso. In quel periodo il Piermarini era attivissimo a Milano: stava riammodernando il Regio Ducal Palazzo, progettava il Teatro Grande alla Scala, inaugurato nel 1778, realizzava quello che successivamente si chiamerà Teatro Lirico, il Palazzo Belgioioso e la Villa Reale di Monza, ristrutturava il cortile del palazzo di Brera. Nella progettazione della Scala il Piermarini si attenne a criteri di massima funzionalità con spazi accessori per botteghe, sale da pranzo e da gioco e servizi igienici; non che un´adeguata dotazione tecnologica per il palcoscenico. La scelta innovativa della forma a ferro di cavallo per la sala era ritenuta all´epoca la migliore per l´acustica.
 
LA COMMEDIA DELL´ARTE
Ecco la sala della Commedia dell´Arte. Il Teatro drammatico tra Cinquecento e Settecento: gli attori improvvisano mescolando recitazione, acrobazie e canto. Le incisioni di Jacques Callot documentano questa vitalità scatenata del teatro di piazza. La collezione di porcellane di soggetto teatrale e musicale provenienti da varie manifatture europee: Capodimonte, Doccia a Meissen, Chelsea, Sèvres. Fantasia, vivacità, bellezza cromatica e realismo di scene vissute. Completano la sala due vetrine a tavolo con piccoli strumenti musicali (fra i quali un flauto di cristallo) e alcuni esemplari rarissimi di medaglie di artisti e compositori, coniate per il Museo.
PREZIOSE CERAMICHE
Fra i tesori del Museo la scintillante collezione di ceramiche, di diverso pregio ma tutte aventi attinenza diretta con il teatro.
Sono 170 pezzi, quasi tutti provenienti dall´originaria collezione Sambon. Testimonianze della tradizione teatrale, di una comunicazione artistica miniaturizzata. Soggetto ispiratore dominante è la Commedia dell´Arte, con le maschere, i gruppi in movimento, oppure i suonatori raffigurati con la particolarità di strumenti popolari rari o di maschere lanciate nel ritmo della danza. La produzione di porcellane dure in Europa nasce verso il 1710 in Sassonia, a imitazione della ceramica cinese e giapponese importata dalla Compagnia delle Indie.
 
LE PRIMEDONNE DEL BELCANTO
Siamo nell´empireo del belcanto. Si affacciano alle pareti le primedonne dell´età d´oro di Milano e della Scala. La sontuosa Isabella Colbran (prima moglie di Rossini nel 1822) ispirata con peplo e lira della Saffo di Mayr: Di fronte Maria Malibran sboccia dal costume color rubino della Desdemona rossiniana, idolo della Scala nelle stagioni 1834-35-36. Giuditta Pasta, ventenne, sospira ai "palpiti" del Tancredi o domina nella maestà sacerdotale della Norma di cui fu la prima interprete alla Scala nel 1831. Nella sala dell´esedra (dalla forma della stanza) ricordiamo anche il busto in marmo del coreografo Salvatore Vigano (1769-1821) che diede nel tempo glorioso delle opere di Rossini e delle fastose scenografie di Alessandro Sanquirico, il primo segno di grandezza agli spettacoli della Scala.
 
GIUDITTA PASTA
Una grande cantante, nel ritratto di Gioacchino Serangeli. Lombarda, di Saronno, Giuditta Negri Pasta nasce nel 1797. Nel 1816 sposa l´avvocato Giuseppe Pasta, che è anche tenore nelle due opere con cui Giuditta esordisce a Milano al Teatro Filodrammatici. Milano resterà sempre la radice culturale e affettiva di una cantante che sviluppò la sua arte in tutta Europa. Il suo debutto operistico alla Scala avviene con Norma di Bellini nel 1831: accolta con insuccesso alla prima ( a causa di una sua stanchezza fisica) risorse nelle recite successive. La sua interpretazione, ora estatica ora lunare ora piena di slanci roventi, resterà per sempre nella storia del canto.
 
NELLA QUADRERIA
Nella Quadreria (come viene chiamata questa stanza) si affollano ritratti di artisti dell´Ottocento accomunati dall´appartenenza scaligera. Al centro il famoso dipinto dell´Inganni con la Scala illuminata dal sole e ancora (siamo nel 1852) affacciata su una via stretta perché solo nel 1858 la sistemazione urbanistica aprì la piazza davanti al Teatro. La parete di destra è tutta verdiana. Un ritratto del compositore eseguito da Achille Scalese, le due mogli Margherita Barezzi e Giuseppina Strepponi, l´impresario Bartolomeo Merelli, che offrì al giovane Verdi il libretto e l´occasione di rappresentare alla Scala Nabucco. Sotto il ritratto di Verdi la spinetta che il suocero Antonio Barezzi regalò a Verdi nel 1832 a Busseto.
 
GIUSEPPE VERDI
Il ritratto severo di Achille Scalese mostra un Verdi quarantacinquenne, aitante, volitivo, lo sguardo un po´ corrucciato spinto lontano. Quante volte Verdi s´arrabbiò con la Scala! Deluso da esecuzioni affrettate, mai contento durante le prove per le luci, per i cantanti, per le messinscene che non corrispondevano alle sue disposizioni precise e pignole. Eppure la sua vita musicale, la sua arte sono legate "indissolubilmente" a questo Teatro dal debutto trionfale di Nabucco e poi (nonostante un´assenza di 24 anni) fino agli ultimi tre grandi capolavori: Simon Boccanegra, Otello e Falstaff
CANTANTI - ATTRICI
Altra grande cantante attrice, nella seconda metà dell´Ottocento, fu Adelina Patti (nella foto il primo quadro a destra), primadonna alla Scala nelle stagioni 1877 e 1878. "Quando la sentii la prima volta (aveva 18 anni)-scrive Verdi- a Londra, restai stupito non solo della meravigliosa esecuzione, ma di alcuni tratti di scena in cui si rivelava una grande attrice". Le vetrine in questa sala come nelle precedenti concentrano un sacrario di memorie preziose e intime (come i ritratti in miniatura che gli artisti donavano o portavano con sé in viaggi lontani), reliquie (come un ciuffo di capelli di Mozart), gioielli e oggetti di scena, omaggi principeschi come lo spadino appartenuto a napoleone I, offerto a Giuditta pasta, protagonista di Tancredi a Parigi nel 1823.
 
VETRINE DI MEMORIE
Piccole sale-passaggio con vetrine contenenti oggetti della Collezione originaria di Jules Sambon, messa all´asta a Parigi nel maggio 1911 e divenuta poi parte fondante del Museo Teatrale alla Scala. Busti e statuette in bisquit bianco raffiguranti celebri musicisti o personaggi teatrali. Cimeli verdini con la maschera funeraria e il calco della mano destra del Maestro. Cartella-scrittoio con calamaio e penne, portaposta , mazzo di carte, dizionario francese-italiano: tutti oggetti trovati nella camera dell´Hotel Milan alla morte di Verdi
 
UNA FIGLIA D´ARTE
Eleonora Duse: una figlia d´arte. Nasce a Vigevano da genitori commedianti, d´origine veneta. Debutta a cinque anni come Cosetta ne I miserabili di Victor Hugo. Vive la vita randagia delle Compagnie di grandi attori in Italia, Europa, America. E´ attirata progressivamente dagli autori veristi, dal teatro di D´Annunzio e di Ibsen. Creatura inquieta che continuamente si interroga sul senso delle cose e sulla spontaneità della sua insuperabile arte drammatica. Ammirata dagli autori per la sua intensità interpretativa, ebbe lunghe e tormentate relazioni con Arrigo Boito e con Gabriele D´Annunzio.
 
IL NOVECENTO
Eccoci nella sala del Novecento. Lodovico Pogliaghi e Adolf Hohenstein fissano le ultime ore di Verdi morente (27 gennaio 1901). Tre generazioni degli editori Ricordi hanno accompagnato la lunga carriera del compositore: Giovanni il fondatore della Casa (che portò la bottega sotto i portici di via Filodrammatici e gli uffici proprio in questi locali del nostro Museo), Tito e suo figlio Giulio.
I direttori. Arturo Toscanini, riformatore e organizzatore della Scala moderna, dal 1898, nominato concertatore e direttore permanente, all´Ente Autonomo nel 1921, alla riapertura della Scala ricostruita nel 1946, con un´intermittenza tempestosa di rotture e separazioni. E infine gli interpreti: da Rosina Storchio, a Claudia Muzio, a Tamagno, Caruso, pertile, fino a Maria Callas.
 
GIACOMO PUCCINI
Per tutto il Novecento si replicarono alla Scala centinaia di volte con grande predilezione popolare le opere di Giacomo Puccini, qui ritratto da Arturo Rietti nel 1906. La sua ultima opera Turandot andò in scena alla Scala il 25 aprile 1926. Puccini non riuscì a terminarla, inquietamente alla ricerca di un finale lieto e trionfale per una fiaba sanguinaria. La sera della ´prima´, alla morte di Liù, Toscanini annunciò dal podio che a quel punto della composizione Puccini era morto, e pertanto troncò l´esecuzione. Il teatro di Puccini che offre in musica una conversazione borghese antieroica con una strumentazione modernissima, espresse genialmente il mondo della Scala e del XX secolo.
ARTURO TOSCANINI
Arturo Toscanini arrivò alla Scala nel 1887, come violoncellista. Quattro anni dopo vi ritornava come direttore di quattro entusiasmanti concerti. E nel 1898 veniva chiamato ad inaugurare la stagione con I maestri cantori di Norimberga di Wagner. Via via esaltato sempre più dal pubblico, predicava ed attuava la piena fedeltà agli autori. Costruì un nuovo modo di ascoltare l´opera non cedendo ai capricci dei cantanti e dando anche alla parte scenica una importanza sostanziale. Fu l´artista che si legò alle due riforme decisive del Teatro alla Scala: quella del 1898, con la gestione di Guido Visconti di Modrone, democratizzando un teatro fino ad allora dominio incontrollato dei proprietari dei palchi, e la trasformazione nel 1921 in Ente Autonomo. Abbandonò l´Italia, in volontario esilio, nel 1929, contro il regime fascista. Nel 1946 tornò, a furor di popolo, nella Scala ricostruita dopo la guerra.
 
LE SCENOGRAFIE
Salendo al secondo piano del Museo si ritorna, per un attimo, indietro nel tempo. Siamo nella sala delle scenografie e delle memorie storiche legate alla avventura artistica della Scala. Bozzetti, disegni e incisioni dal Seicento all´Ottocento. Al centro la stampa con il Regio Ducal Teatro di Milano. Nei tavoli-vetrine gli Album con le scene del Sanquirico, un campionario di incisioni su disegni del Piermarini per la costruzione della Scala nel 1778, il bozzetto in terracotta del Franchi per il timpano della facciata, il primo sipario di Donnino Riccardi, con l´argomento proposto dal poeta Parini, l´elenco manoscritto dei proprietari dei palchi, il libretto originale dell´opera che inaugurò la Scala nell´agosto 1778, Europa riconosciuta, di Antonio Salieri.
 
DAL DUCALE ALLA SCALA
Questa stampa su carta di Marc´Antonio del Re mostra l´interno del Teatro Ducale nel 1742. A Milano un teatro fisso esisteva fin dagli ultimi anni del Cinquecento all´interno del Palazzo Ducale nell´ala prospiciente l´attuale via Rastrelli (di fianco a piazza del Duomo). Prese il nome di Salone Margherita per festeggiare la sosta a Milano di quella principessa austriaca che andava a Madrid sposa di Filippo III di Spagna. Una serie di devastanti incendi con successive ricostruzioni porta al Gran Teatro Ducale del 1717. Cinque ordini di palchi, un´aula sontuosa, uno sfolgorio di lumiere e di specchi, stucchi d´oro e d´argento, statue e colonne, sotto la protezione divina di Apollo che domina dagli affreschi del soffitto. Qui verranno rappresentate, tra l´altro, le prime tre opere di Mozart, Mitridate re di Ponto, Ascanio in Alba e Lucio Silla. Ma nella notte del 25 febbraio 1776, sabato grasso, un altro incendio distrusse completamente il teatro; qualcuno vi attribuì carattere doloso. Si decise un´immediata ricostruzione, questa volta al di fuori del regio Palazzo Ducale. I fondi furono rapidamente reperiti tramite l´interessamento dell´imperatrice Maria Teresa. Fu scelta l´area della fatiscente chiesa di Santa Maria della Scala: in soli due anni dal 1776 al 1778 i milanesi riebbero il loro Teatro d´opera: la Scala.
 
L´ULTIMA SALA
E´ l´ultima sala del Museo: una sosta accogliente dopo la visita e la possibilità di piccole occasioni-concerto attorno al pianoforte appartenuto a Franz Liszt, che suonò alla Scala nel 1838. La barca dei comici su cui Carlo Goldoni giovinetto fuggì nel giugno 1721 dagli studi a Rimini verso il teatro, era il capoletto del critico e commediografo Renato Simoni che donò il quadro insieme alla sua collezione di oggetti teatrali e al patrimonio di 37.000 libri e manoscritti che forma la Biblioteca Teatrale Livia Simoni, aperta nel 1954, unica al mondo anche per il nucleo dei manoscritti musicali e documenti già dell´Archivio del Museo. La Biblioteca che negli anni si è sempre più arricchita di volumi sino a raggiungere il numero di 140 mila libri è ora consultabile al secondo piano del Museo Teatrale.
 
GIOGHI DI SOCIETA´
Nei ridotti dei teatri, di giorno e di sera, si giocava: a carte, a dadi, alla roulette e altro. E così fu anche alla Scala, fin dalla sua inaugurazione. Già nel dicembre del 1778, a pochi mesi dall´apertura del teatro, l´arciduca Ferdinando d´Austria dovette emanare un editto in cui si vietavano una serie di giochi d´azzardo; ma le deroghe e le eccezioni furono subito numerose, anche perché gli introiti per il Teatro erano ingenti. Lo stesso Alessandro Manzoni frequentava in gioventù il ridotto della Scala, attirato da quei giochi. Un giorno il poeta Vincenzo Monti lo vide al tavolo della roulette e lo rimproverò. Molto diffusi erano anche quei giochi di società con percorsi a caselle in cui si avanza tirando i dadi, nel tentativo di giungere alla meta evitando tranelli e pericoli tipo il gioco dell´oca, la tombola, il biribissi, il mondo, la lotteria. La tavola da gioco qui illustrata è della seconda metà del XIX secolo è una raffigurazione in 16 caselle, cosmogonica e geografica, un itinerario attraverso terre lontane.
La biblioteca Livia Simoni
Alla sua nascita, nel 1913, il Museo stesso comprendeva una biblioteca di circa 10.000 volumi, in gran parte di critica, di storia teatrale, di partiture e biografie musicali.
Nei primi anni cinquanta il lascito di Renato Simoni, di 54.000 volumi, incrementò le collezioni della biblioteca che, dalla data della successiva inaugurazione, prese il nome di “Livia Simoni”, in memoria della madre, per precisa volontà testamentaria.
Seguirono negli anni la donazione dei libri di Ruggero Ruggeri e di Arnaldo Fraccaroli, che portarono la raccolta a dimensioni notevoli (oltre 150.000 volumi) e la posero tra le più importanti in Italia e nel mondo per il suo settore di competenza.
Il volume più antico contiene le commedie di Plauto, stampate a Venezia da Lazzaro Soardi nel 1511. Le cinquecentine sono 363, spesso in edizioni di raro pregio; sono più di 400 le opere del Seicento, mentre ricchissima è la collezione di volumi dei secoli successivi. Alla biblioteca è annesso l’archivio, che comprende 2.255 bozzetti, 6.959 figurini, 3.000 locandine teatrali, 6.000 libretti d’opera, 10.300 lettere autografe di attori, registi, compositori e cantanti, 30 manoscritti musicali di opere complete (tra cui la Messa da Requiem di Verdi e il Tancredi di Rossini) e 300 fogli sparsi (con pagine di Verdi, Rossini, Donizetti, Puccini, Beethoven), 7.000 fotografie e 10.000 incisioni.

 

 

 

LA STORIA DEL TEATRO ALLA SCALA

Milano - Il Teatro alla Scala viene costruito sulle ceneri del Teatro Ducale nel 1776 per volontà dell´Imperatrice Maria Teresa d´Austria, e inaugurato nel 1778 con Europa riconosciuta di Antonio Salieri. Il nome deriva dal luogo sul quale il teatro viene edificato, su progetto dell´architetto neoclassico Giuseppe Piermarini: il sito della chiesa di Santa Maria alla Scala.
Nel 1812, con l’avvento di Rossini (La pietra del paragone), la Scala diventa il luogo deputato del melodramma italiano, della sua evoluzione lungo un secolo e della sua tradizione esecutiva fino ai nostri giorni. Le coreografie di Salvatore Viganò (1769-1868) e di Carlo Blasis (1795-1878) estendono il primato artistico del Teatro al balletto.
Fra il 1822 e il 1825 con Chiara e Serafina di Gaetano Donizetti (1797-1848) e Il pirata di Vincenzo Bellini (1801-1835) inizia una nuova stagione del melodramma italiano.
Nel 1839, Oberto, Conte di San Bonifacio apre l’era di Giuseppe Verdi (1813-1901), il compositore che più di ogni altro è legato alla storia della Scala; il trionfo di Nabucco (1842), per il forte sentimento patriottico che suscita nella Milano attraversata dai fermenti del nascente Risorgimento italiano, rafforza le radici popolari del melodramma stesso e ne identifica l’immagine con la Scala.
Arturo Toscanini (1867-1957) assume nel 1920 la direzione artistica e promuove una radicale riforma del Teatro; raccoglie l’eredità musicale di Verdi, ma instaura una regolare tradizione esecutiva delle opere di Wagner, estende il repertorio teatrale e sinfonico dell’Orchestra.
Dal 1951, per iniziativa di Victor De Sabata, la Stagione della Scala si apre il 7 dicembre, giorno di Sant’Ambrogio, patrono di Milano. Di qui, in parte, il valore simbolico e anche extramusicale della serata.
In parallelo alla stagione dei direttori, fiorisce quella delle grandi voci (Maria Callas, Renata Tebaldi, Leyla Gencer, Giulietta Simionato, Mirella Freni, Shirley Verrett, Mario Del Monaco, Giuseppe Di Stefano, Carlo Bergonzi, Luciano Pavarotti, Placido Domingo, Nicolai Ghiaurov, Piero Cappuccilli), dei grandi registi (Luchino Visconti, Franco Zeffirelli, Pier Luigi Pizzi, Luca Ronconi), dei grandi coreografi e ballerini (Leonide Massine, George Balanchine, Rudolf Nureyev, Carla Fracci, Luciana Savignano).
Nel 1965, Claudio Abbado debutta alla Scala con la Seconda Sinfonia di Mahler. Nel 1968 diviene Direttore Musicale dell’Orchestra e nel 1972 Direttore Musicale del Teatro, del quale assumerà anche la Direzione Artistica nel 1977-79. Tre anni più tardi, fonda anche la Filarmonica della Scala, sul modello dei Wiener. Fino al 1986, anno del suo congedo dalla Scala, esegue fra l’altro Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola, L’Italiana in Algeri, Il viaggio a Reims di Rossini, Simon Boccanegra, Macbeth, Aida, Don Carlo, Un ballo in maschera di Verdi, Boris Godunov di Musorgskij, Wozzeck di Berg, Lohengrin di Wagner, Pelléas et Melisande di Debussy. A Berg, Stravinskij e Musorgskij dedica cicli e convegni di studi.
Nel 1986 Riccardo Muti assume la direzione musicale del teatro. Dal 1989 al 1998 riporta in scena le opere più amate di Verdi, Rigoletto, La traviata, Macbeth, La forza del destino, Falstaff e Don Carlo; dirige la trilogia italiana di Mozart-Da Ponte, oltre a Idomeneo e La clemenza di Tito; affronta il Wagner di Parsifal e della Tetralogia, Fidelio di Beethoven, quattro opere di Gluck, Lodoïska di Cherubini, La donna del lago di Rossini, Nina, ossia la pazza per amore di Paisiello.
Nel 1983 Giulio Bertola succede a Romano Gandolfi nella direzione del Coro e nel 1991 arriva Roberto Gabbiani. Nel 2000 è nominato Bruno Casoni.
Nel 1997 la Scala si trasforma in Fondazione di diritto privato, aprendo una decisiva fase di modernizzazione.
Fra il gennaio 2002 e il dicembre 2004 la Scala affronta il più profondo intervento di restauro dell’edificio storico, e di modernizzazione del palcoscenico, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Per due anni il teatro degli Arcimboldi, nel quartiere decentrato della Bicocca, sorto sull’area industriale della Pirelli, diventa il palcoscenico della Scala. Il 7 dicembre 2004 Riccardo Muti inaugura la Scala restaurata con Europa riconosciuta di Salieri, l’opera che aveva battezzato il teatro nel 1778. Nella primavera del 2005 Riccardo Muti lascia dopo diciannove anni la direzione musicale.
Nel maggio dello stesso anno Stéphane Lissner, primo non italiano nella storia della Scala, assume la Sovrintendenza e la Direzione artistica del teatro. Il 7 dicembre 2005, nei 250 anni della nascita di Mozart, la stagione viene inaugurata da Idomeneo, direttore Daniel Harding. La Stagione 2006-2007 vede il ritorno, il 7 dicembre, di Aida, con Riccardo Chailly sul podio, e l’inizio delle celebrazioni toscaniniane, nei 50 anni dalla morte.
Il 7 dicembre 2007 è Tristan und Isolde, diretta da Daniel Barenboim, ad aprire la stagione e a segnare l’inizio di una stretta collaborazione fra il Maestro argentino-israeliano e il Teatro alla Scala. Nel 2008, Don Carlo di Verdi, direttore Daniele Gatti.
Nel corso delle ultime tre stagioni la Scala aumenta costantemente la propria attività: dalle circa 190 alzate di sipario, prima del nuovo palcoscenico, si raggiunge il numero stabile di 284, fra opera, balletto, concerti, attività in sede e fuori sede. Con questa offerta di musica, grazie alla ristrutturazione e alla modernizzazione della macchina scenica, la Scala persegue l’idea di un teatro di qualità che mira a una sintesi fra il teatro cosiddetto di “stagione” e il teatro di “repertorio”.
 
 
 
 
 
 
 
 
 Fondo Nuccio Messina libri e carte di un teatrante di lungo corso donati al Centro Studi del Teatro Stabile di Torino

Torino - Il Centro Studi del Teatro Stabile, in collaborazione con il DAMS dell’Università di Torino, invita gli appassionati di teatro, studenti e studiosi di spettacolo, operatori del settore e teatranti a un incontro, martedì 17 gennaio 2012, alle ore 17.00, nella Sala Colonne del Teatro Gobetti, in cui viene annunciata e illustrata la donazione del Fondo Nuccio Messina, libri e carte di un’intensa carriera di direttore e organizzatore teatrale al centro di documentazione del maggior teatro pubblico di Torino e del Piemonte.
A raccontare e festeggiare la più che cinquantennale carriera di uno dei protagonisti del teatro italiano del nostro dopoguerra intervengono Gianfranco De Bosio, il regista che ebbe Messina come condirettore negli anni Sessanta dell’altro secolo allo Stabile di Torino e per Messina realizzò in seguito altri importanti spettacoli, Roberto Alonge, il preside del DAMS che negli anni scorsi chiamò Messina a insegnare “organizzazione teatrale” agli studenti dell’Università, Antonio Attisani e Natalie Jabalé, relatore e autrice della tesi di laurea sulla carriera di Messina Una vita per il teatro, pubblicata da Gangemi nel 2005. L’incontro è condotto dal responsabile del Centro Studi Pietro Crivellaro. A lui il compito di rammentare anzitutto che il centro di documentazione dello Stabile, divenuto da tempo una realtà di eccellenza in Italia, è stato fondato proprio da Messina nel 1973, d’intesa con il direttore artistico di allora Aldo Trionfo e del giovane presidente Rolando Picchioni.
La donazione del cospicuo fondo di libri, manifesti, locandine e fotografie, raccolti da Nuccio Messina nella sua vita professionale, tra cui il ricco archivio iconografico dei periodici Primafila e
In scena, sono un gesto generoso che incoraggia il lavoro svolto dal servizio pubblico dello Stabile e merita la riconoscenza di quanti hanno a cuore la cultura della nostra città.      
 
INFO: Centro Studi del Teatro Stabile di Torino, telefono 011 5169411.
 
 
 
Nuccio Messina  
dirigente – giornalista - organizzatore teatrale
 
Nato  a Torino nel 1929 da famiglia siculo-canavesana
Direttore, nell’arco di trent’anni e consecutivamente, di tre teatri stabili pubblici:  Torino,  Trieste e Veneto.
 Cofondatore del Teatro stabile di Torino (1955) e fondatore di Venetoteatro, il primo teatro pubblico del Veneto. Segretario generale del Teatro Popolare Italiano di Vittorio Gassman. E’ stato direttore artistico degli spettacoli classici di Siracusa e addetto stampa dell’ente lirico dell’Arena di Verona.
Ha allestito 142 spettacoli con i principali registi italiani e alcuni stranieri.
Ha scritturato circa 1300 attori. Ha organizzato 22 tournée all’estero di spettacoli italiani e le rassegne di Italia ’61, del bicentenario goldoniano e del Meridione (Presidenza del Consiglio). Ha portato i suoi spettacoli al Metropolitan di New York, al Teatro del Cremlino di Mosca, al Rond Point di Parigi, al Burgtheater di Vienna, alla Schaubuhne di Berlino, al Festival dei Due Mondi di Charleston ecc.
Docente di organizzazione ed economia dello spettacolo presso il DAMS della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino.
Fondatore e direttore del mensile di teatro Primafila.
Fondatore e direttore del mensile  inscena.
E’ stato presidente dell’associazione nazionale dei Teatri stabili pubblici, membro del consiglio d’amministrazione dell’Ente Teatrale Italiano e membro del Comitato nazionale per le celebrazioni di Carlo Goldoni. Per vent’anni presidente del Comitato nazionale sindacale per il teatro.
Fondatore del Centro studi del Teatro stabile di Torino e promotore del recupero delle marionette di Vittorio Podrecca. Promotore degli acquisti della biblioteca di Lucio Ridenti, dell’archivio della rivista Il Dramma e della biblioteca di Nico Pepe.
Nel 1945 partecipa all´attività del Comitato di Liberazione Nazionale.
Vice presidente del Comitato nazionale per le celebrazioni di Vittorio Alfieri (presidente era il Rettore dell’Università di Torino), presidente del premio Pirandello.
E’ vice presidente dell’Accademia nazionale della Danza in rappresentanza del Ministero dell’  Istruzione, Università e Ricerca. Officer per la cultura del Distretto Lions 108 Ia/1. Presidente del Comitato per il terzo centenario dell’Assedio e della Battaglia di Torino (1706-2006).
Premio Vignaleteatro 2005 al festival Vignale Danza. Premio Volterra per il giornalismo. Premio San Giovanni del Comune di Torino.Premio Fulvio Tomizza 2009 a Trieste per la carriera.
Presidente del Centro italiano dell’Istituto Internazionale del Teatro (Unesco).
 
Pubblicazioni: I Quaderni del Teatro Stabile di Torino (40 volumi), i Quaderni di Venetoteatro, il libro La vacanza in villa dell’avvocato veneto Carlo Goldoni, il libro del bicentenario di Carlo Goldoni edito in un milione di copie, la collana Copioni di Teatro (30 volumi). Coautore del libro Vittorio Gassman, l’ultimo mattatore (Marsilio, 1999).
Tesi di Laurea. Nel febbraio 2004 alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Torino è stata discussa la tesi di Nathalie Jabalé sul tema: “Una vita per il teatro. Nuccio Messina: cinquant’anni in palcoscenico”, che è ora un libro biografico (editore Gangemi).
 
 Nella foto
Nuccio Messina, allora Direttore dello Stabile di Torino (direzione collegiale) nel 1970, alla presentazione
dello spettacolo IL SOGNO di August Strindberg, prestigiosa produzione dello Stabile torinese.
Accanto a lui la protagonista Ingrid Thulin e il condirettore dello Stabile Gian Renzo Morteo.

 

 

 



MORALE E PREGIUDIZIO: LA GOVERNANTE DI BRANCATI COMPIE 60 ANNI


Stabile di Catania - Teatro Verga dal 13 gennaio al 3 febbraio 2012
La governante di Vitaliano Brancati


Catania - Era il 1952 quando La governante, interdetta alle scene dalla censura perché "contraria alla morale", accese in Italia una querelle non solo letteraria e teatrale, ma civile e politica – nella quale è inevitabile cogliere nodi tuttora irrisolti, in termini di intolleranza, negazione della libertà di espressione, perbenismo e pruderie: mali cronici di una società che annega nell´ipocrisia e si dibatte in un insanabile conflitto tra morale e pregiudizio. In questa visione, il Teatro Stabile di Catania apre il 2012 con quello che è considerato il capolavoro teatrale di Vitaliano Brancati, rappresentato postumo nel 1965 e riproposto ora a sessant´anni dalla pubblicazione in un nuovo allestimento, in scena alla Sala Verga dal 13 gennaio al 3 febbraio. Virtù pubbliche e vizi privati innervano un´opera che, al di là dell´anniversario, s´inserisce perfettamente nel respiro del cartellone etneo, dedicato dal direttore Giuseppe Dipasquale all´universo femminile, e significativamente intitolato "Donne, l´altra metà del cielo".
La regia è affidata alla firma di Maurizio Scaparro, scene e costumi a quella pure prestigiosa di Santuzza Calì. Pippo Russo sigla le musiche, Franco Buzzanca le luci. Protagonisti di spicco Pippo Pattavina (alla sua terza edizione) e Giovanna Di Rauso (al debutto nel ruolo del titolo). Con loro agisce un cast di qualità che annovera Max Malatesta, Marcello Perracchio, Giovanni Guardiano, Valeria Contadino, Veronica Gentili, Chiara Seminara.

«Il lato più sorprendente e attuale del testo – osserva il regista Maurizio Scaparro – è quello di una Sicilia e di un´Italia dei nostri padri e dei nostri nonni, dimenticato forse, certo sconosciuto ai più giovani, ma di cui è facile scoprire ancora oggi le tracce nella società e che Brancati sottolinea: dai tabù sessuali, al gallismo, ai falsi moralismi, alle divisioni forzatamente etniche, alle censure appunto, alle ipocrisie dei poteri "ufficiali" di tutti i tempi».

L´azione si svolge a Roma, in una ricca casa borghese da cui si può ammirare e su cui incombe la cupola di San Pietro. La governante francese Caterina Leher, charmante, colta e di fede calvinista, instaura un rapporto dialettico con il siciliano Leopoldo Platania, cattolico e severo capofamiglia, illuso di essersi integrato nella Capitale e invece incapace di accettare un´etica diversa da quella in cui è cresciuto. Entrambi, per ragioni diverse, si struggono dentro: la prima perché vive l´omosessualità come colpa segreta, l´altro perché è stato troppo intransigente nell´imporre la propria morale alla figlia, morta suicida, mentre il figlio Enrico incarna l´atavico gallismo siculo ai danni della fragile moglie Elena.
A frequentare assiduamente casa Platania è Alessandro Bonivaglia, scrittore indolente ma lucido, che riassume il disprezzo per una situazione insostenibile: «Moralità? La moralità italiana consiste tutta nell´istituire la censura. Non solo non vogliono leggere o andare a teatro, ma vogliono essere sicuri che nelle commedie che non vedono e nei libri che non leggono non ci sia nessuna delle cose che essi fanno tutto il giorno, e dicono». Il principale motivo del divieto a rappresentare La governante, caduto solo con la soppressione dell´attività censoria, è da riscontrare in quest´esplicita accusa, mentre la materia "scabrosa" è descritta in maniera elegante e allusiva.
Pietra dello scandalo, ufficialmente, è tuttavia proprio il tema dell´omosessualità (per di più femminile), in quegli anni oggetto di riprovazione e ancora oggi non immune da discriminazioni. Assai più scomodo è in realtà il j´accuse che lo scrittore muove, s´è visto, proprio contro l´Ufficio Censura, retaggio del Ventennio, che la giovane pubblica democratica mantiene fino agli anni Sessanta, avallando de iure il più retrivo conformismo culturale. Brancati non ci sta e si oppone fieramente, come aveva fatto a suo tempo con i censori fascisti che avevano messo all´indice creazioni quali Singolare avventura di viaggio o Don Giovanni involontario.
Ed è lo stesso autore a indicare la chiave di lettura per meglio comprendere una pièce fortemente polemica. «La sostanza della vicenda – avverte nella protesta affidata al veemente pamphlet Ritorno alla censura, scritto subito dopo il divieto di rappresentazione – è più la calunnia che l´amore fra due donne». In effetti la drammaturgia brancatiana adotta e sconvolge un topos duttile e collaudato, qual è appunto l´inganno calunnioso: si pensi, a mero titolo di esempio, a due titoli shakespeariani diversi nel genere ma affini nell´assunto, la commedia Molto rumore per nulla e il tragico Otello.
Allo stesso modo la governante, attribuendo falsamente ad una servetta le proprie tendenze omoerotiche, innesta il pernicioso circolo di una calunnia perfida e nociva. Calunnia che diviene il reagente per mettere a nudo fatti e persone, fondamentalismi etnici e religiosi, ipocrisie e falsità, responsabilità individuali e collettive. E lo scrittore, com´è nelle sue corde, inscrive la sua acuta analisi nel procedere compulsivo di un´ossessione erotica, insieme reale e metaforica, che svela ed esaspera dilemmi e prospettive: un´impostazione coerente e ricorrente, da Don Giovanni in Sicilia a Il bell´Antonio a Paolo il caldo.


Sinossi e approfondimento - Le precedenti edizioni


Utilizzando un registro parodico e satirico che approda alla tragedia, l´autore descrive il clima oscurantista dell´Italia anni Cinquanta, laddove «l´odio per la cultura ha un ufficio apposito, che una volta si chiamava, con ironia involontaria, Ministero della Cultura Popolare e oggi Sottosegretariato per lo Spettacolo e le Informazioni».
La governante si accredita dunque come eloquente spaccato di un preciso periodo storico, icastica invettiva contro la Sicilia baronale e, più in generale, contro la società e la politica italiane, dominate – quasi senza soluzione di continuità – prima dal fascismo, poi dai democristiani.

In Italia il debutto avviene postumo, ben 11 anni dopo la morte di Brancati, che aveva dedicato e concepito la commedia per la moglie, l´attrice Anna Proclemer, protagonista della prima edizione, che fa ancora molto discutere per la spietata critica socio-politica.
In particolare, La governante ruota intorno all´alienazione del "diverso", qualunque sia la "diversità" che epoche, luoghi e costumi rendono difficile da accettare e comprendere. Differenze di sesso, lingua, razza, religione: in tanti contesti sono ancora barriere insormontabili, alimentando ingiustificate intolleranze. E per un tabù che cade, un altro sorge, rendendo spesso drammatico lo stato di chi viene emarginato, respinto, addirittura condannato.
Emblematica è la figura di Caterina, che occulta la propria natura e dilaniata dal rimorso: da un lato ostenta il rigore calvinista, dall´altro non può frenare l´eros di cui si sente colpevole, al di là delle autorevoli opinioni di quanti assolvono la sua condotta. Per esorcizzare la propria condizione, Caterina calunnia allora la rozza servetta siciliana Jana. Il patriarca siciliano Leopoldo le crede: lui che ha sacrificato una figlia sull´altare del moralismo, considera Caterina un modello d´integrità. E licenzia Jana.
La governante, sempre più tormentata, rivolge attenzioni ad un´altra giovane cameriera. Leopoldo la coglie involontariamente in flagrante, aprendo di slancio la porta "sbagliata" nell´urgenza di comunicarle che Jana è morta per i postumi di un incidente, proprio mentre tornava al Sud. Leopoldo è impietrito. Caterina, ignara della tragedia, cerca perdono per la sua omosessualità ormai scoperta; incapace di accettarsi, afferma piuttosto di essere "guarita" e chiede di restare in quella casa dove si sente pronta a vincere il suo "diavolo". Leopoldo le crede ancora una volta, neanche la sua è accettazione, ma perdono del "peccato": gesto che riequilibra in lui il tormento per l´intransigenza mostrata alla figlia.
La sua comprensione dura tuttavia pochi attimi. Leopoldo non riceve risposta quando chiede a Caterina quanto fondate fossero le sue asserzioni su Jana. Al contempo, quando Caterina apprende della scomparsa della servetta, si sente irrimediabilmente responsabile, secondo l´etica calvinista alla quale vorrebbe conformarsi. La sua calunnia ha innescato la morte, e la donna non riesce più a perdonare se stessa, schiacciata dalla responsabilità individuale che le impone di espiare. Anche Brancati, poco incline alle giustificazioni psicanalitiche, crede nella libero arbitrio del singolo: una scelta rigorosa che, secondo il giudizio di Anna Proclemer, fa dell´opera a suo tempo censurata una delle "commedie più morali del teatro moderno".

Bloccata in Italia dal divieto censorio, La governante è andata in scena per la prima volta a Parigi nel 1963. In Italia, come si è detto, Anna Proclemer ha dovuto aspettare l´abolizione della censura. Il debutto italiano è avvenuto il 22 gennaio 1965, protagonisti giusto la Proclemer e Gianrico Tedeschi, per la regia di Giuseppe Patroni Griffi, spettacolo ripreso più volte.

Nel 1984 è la volta di Turi Ferro e Carla Gravina, regia di Luigi Squarzina. Nel 1994 La governante viene rappresentata da Paola Pitagora, a fianco di Gabriele Ferzetti e poi di Pippo Pattavina, regia di Giorgio Albertazzi, il quale riprende il ruolo di Bonivaglia, da lui già interpretato nell´edizione di esordio. Nella stagione successiva, Albertazzi passa al ruolo di Platania, sempre con Paola Pitagora. Alla stagione 2001-2002 risale la messinscena del Teatro Stabile di Catania con Andrea Johnasson e ancora Pattavina, regia di Walter Pagliaro.


Note di regia di Maurizio Scaparro


«Moralità? La moralità italiana consiste tutta nel censurare. Non solo non vogliono leggere o andare a teatro, ma vogliono essere sicuri che nelle commedie che non vedono e nei libri che non leggono non ci sia nessuna delle cose che essi fanno tutto il giorno, e dicono.»
Con queste parole che Vitaliano Brancati fa dire allo scrittore Alessandro ne La governante ho voluto iniziare le mie brevi note sullo spettacolo che sto provando in queste settimane.

Mi è stato particolarmente caro l´invito che Giuseppe Dipasquale mi ha rivolto, di tornare dopo molti anni al Teatro Stabile di Catania, non solo per i ricordi di alcune belle avventure comuni, quanto perché ha un nuovo significato riproporre La governante in questi anni difficili che stiamo vivendo e in un teatro non casualmente legato allo scrittore siciliano.
Ho potuto così riunire in questo palcoscenico attori "siciliani" e attori "italiani" come voleva Brancati. E ho avuto la buona sorte di trovare qui attori come Pippo Pattavina che unisce alla "sicilitudine" la forza della migliore tradizione teatrale italiana, e scoprire nuovi attori come Valeria Contadino e storici caratteri come Marcello Perracchio e con loro Giovanni Guardiano, Veronica Gentili e Chiara Seminara. E il piacere di ritrovarmi con due attori "italiani" che mi sono cari per recenti comuni esperienze teatrali come Giovanna Di Rauso e Max Malatesta.
Così come mi fa piacere ricordare l´aiuto determinante della fantasia di Santuzza Calì, siciliana anche lei, per le scene e i costumi e il contributo tecnico e non solo di Franco Buzzanca e del suo staff, la complicità del mio aiuto Marcello Scuderi e, infine, l´approfondimento critico e la utile rilettura, oggi, del testo assieme con Antonia Brancati.
Perché, com´è noto, la commedia allora fu clamorosamente bocciata dalla censura e vide solo dopo molti anni, nel 1965, la possibilità di apparire sui palcoscenici italiani (e Luchino Visconti suggeriva per questo di rappresentarla in quegli anni significativamente a Parigi).

Ricorda Anna Proclemer, prima interprete de La governante e moglie di Brancati, che: «Forse i censori si fermarono all´apparenza di certi fatti narrati e non seppero o non vollero vedere che si trattava di una delle commedie più morali del teatro moderno. Sì, perché io credo che sia "morale" rappresentare il caso di coscienza di un essere che si dibatte nelle spire di un vizio che "non vuole accettare". Anche se tutto il mondo intorno, anche se la filosofia stessa sembrano disposti ad assolverla, lei dice no. Rifiuta di essere liberata dal rimorso. "Vogliono togliermi il rimorso, il mio rimorso, il solo bene che nella vita…", dice ad un certo punto. Rifiuta di essere perdonata, rifiuta di essere assolta. Riproporre al pubblico questa Governante è un segno, forse, che i fatti privati, i sentimenti personali, contano alla fin fine più di ogni altra cosa. E che finché continueremo a fare con il teatro delle esercitazioni di stile, sia pure ad alto livello, saremo condannati all´insoddisfazione e alla crisi. O il teatro diventa specchio della nostra vita personale e segreta, ci rappresenta cioè a tutti i livelli, non soltanto a quelli intellettuali e ideologici, o saremo ridotti all´alienazione e alla nevrosi».

Ma alla censura di allora importava più che il tema dell´omosessualità femminile l´accusa pesante che le rivolgeva il personaggio dello scrittore, quella di essere spia della cultura conservatrice ipocrita e conformista dell´epoca. Ed è questo forse il lato più sorprendente e attuale del testo di Brancati, oggi. Quello di una Sicilia e di una Italia dei nostri padri e dei nostri nonni (dimenticato forse), certo sconosciuto ai più giovani, ma di cui è facile scoprirne ancora le tracce nella società italiana (non soltanto siciliana) oggi e che Brancati sottolinea nella sua Governante, da tutti i tabù sessuali, al gallismo, ai falsi moralismi, alle divisioni forzatamente etniche, alle censure, appunto, alle ipocrisie dei poteri "ufficiali" di tutti i tempi.
In questi giorni, in questo anno appena iniziato, in cui l´Italia si interroga con grande preoccupazione sulla capacità o meno di resistere alle difficoltà economiche ma anche politiche, sociali, morali, culturali soprattutto, le parole di Brancati sembrano così sorprendentemente superare il confine ristretto degli anni Cinquanta, che pure le avevano espresse.
«Spirito di sacrificio? No. Non ho visto mai un ricco italiano proporre una legge che riduca i suoi guadagni per aumentare il benessere del suo Paese», dice ancora lo scrittore de La governante. Forse anche per questo, mi piace dedicare questa nostra fatica, non soltanto a un divertito e tenero "come eravamo", ma al "come sapremo essere". Ai giovani, quindi, e al teatro, se saprà, come nei secoli ha saputo fare, aiutarci a costruire nuovi sogni e nuove realtà.


 

 

 

STORIA DEL TEATRO

Dalle prime manifestazioni primitive a quelle contemporanee


La storia del teatro, nella sua definizione più moderna di disciplina autonoma, interpreta e ricostruisce l´evento teatrale basandosi su due elementi principali: l´attore e lo spettatore e più precisamente sulla relazione che li lega, la relazione teatrale. Entrambi hanno una funzione primaria necessaria all´esistenza del fatto teatrale: mentre l´attore rappresenta un corpo in movimento (non necessariamente fisico o accompagnato dalla parola) in uno spazio, con precise finalità espressive e narrative, lo spettatore è il fruitore attivo e partecipe dell´avvenimento, che ne condiziona l´andamento e decodifica l´espressività dell´evento artistico.
La storia del teatro è una scienza giovane, che solo recentemente (in Francia e Germania alla fine degli anni cinquanta, in Italia all´alba degli anni sessanta) si è affrancata da una interpretazione riduttiva che la limitava alla storia della letteratura drammatica. In particolare la moderna storia del teatro analizza il fatto teatrale prendendo in considerazione il suo più ampio contesto storico, sociale, culturale ed esistenziale, ed ha come protagonisti non solo drammaturghi e attori, ma tutti gli artisti che hanno collaborato alla nascita e all´evoluzione del fenomeno teatrale: musicisti, scenografi, architetti, registi e impresari, per citarne alcuni.
Questa disciplina, nata e sviluppatasi in Europa, tende in genere a restringere il campo di indagine alle forme di teatro occidentali, e a fondarne le origini nel teatro classico dell´Atene del V secolo a.C., allargando la visuale ad un´ottica mondiale solo a partire dal teatro contemporaneo. Tuttavia, specialmente in opere più recenti, grande attenzione è rivolta alla tradizione teatrale precolombiana, africana e asiatica. In particolare, per quanto riguarda quest´ultima, l´interesse da parte degli artisti e studiosi europei e statunitensi risale alla seconda metà del novecento, e contribuì non poco alla evoluzione delle forme teatrali occidentali e alla nascita di una antropologia teatrale.
Occorre specificare che la nascita dell´arte teatrale nei vari continenti è profondamente legata ai culti religiosi dai quali derivano momenti di accomunamento tra gli individui e i rituali di celebrazione: l´evoluzione del teatro occidentale permise il discostamento della letteratura drammatica dall´argomento religioso, mantenendone tuttavia gli elementi caratterizzanti. Solo la nascita delle moderne discipline teatrali e gli studi in materia hanno permesso l´individuazione del rito nelle pratiche teatrali, permettendo l´accomunamento e la comparazione delle diverse tradizioni mondiali all´interno dell´antropologia teatrale.

 

Teatro nei popoli primitivi

Sebbene lo studio delle manifestazioni teatrali nei popoli primitivi sia di difficile ricostruzione, sappiamo per certo che alcuni rituali che sfociavano in vere e proprie rappresentazioni erano presenti nel quotidiano di molte culture.
Riti propiziatori con carattere di spettacolarità erano infatti allestiti secondo il ciclo stagionale allo scopo di venerare, pregare o ringraziare gli dei per la stagione futura. Gli eschimesi, ad esempio, erano soliti rappresentare un dramma per celebrare la fine della notte polare: la drammatizzazione dell´evento avveniva tramite un narratore che accompagnava gli attori ed il coro, composto da sole donne.
Sempre a carattere propiziatorio e segnati dal trascorrere del tempo, ma slegati dai ricorsi della natura erano i riti sociali, che sottolineavano un avvenimento quotidiano. Il passaggio dall´adolescenza all´età adulta, le nascite e le morti erano celebrate, in maniera differente, con caratteri drammatici e pubblici che ne giustificano la teatralità. Soprattutto le cerimonie iniziatiche comprendevano rituali e celebrazioni di forte caratterizzazione drammatica. Anche la caccia, la pesca o l´agricoltura offrivano spunti per rappresentazioni teatrali.
Una componente importante per il teatro dei primitivi era l´azione mimica, che poteva essere sia stilizzata che naturalistica, accompagnata da danze e musica; non meno importanti erano, inoltre, quelli che oggi definiremmo trucco e costume: molteplici culture sottolineavano l´estraneità dell´avvenimento al mondo reale (e quindi la finzione o il ribaltamento della realtà) tramite il mascheramento e l´ornamento. L´uso della maschera, tuttavia, non era pratica comune a tutte le popolazioni: i pigmei ed i boscimani non ne facevano uso. La maschera era infatti simbolo di potere, di solito prerogativa di personalità importanti della comunità, come gli sciamani. I Kono, popolazione primitiva dell´attuale Papua Nuova Guinea, utilizzavano le maschere per impersonare gli dei, attribuendo al mascheramento da parte dell´attore anche il conferimento, a quest´ultimo, dei poteri del dio rappresentato.
L´apporto della danza e della musica è un punto non molto chiaro, poiché non sempre queste avevano le caratteristiche di teatralità: sebbene il confine tra le manifestazioni artistiche sia nel contesto labile, alcune di esse rientrano propriamente nella storia dei generi suddetti.
In ultima analisi è importante sottolineare l´estrema diversità della relazione teatrale esistente tra il teatro come comunemente lo si intende nel mondo occidentale ed il teatro dei primitivi. Accadeva infatti che l´attore, incline a spostare la sua soggettività al personaggio rappresentato, potesse essere preda di trance o possessioni: non di rado ciò accadeva anche al pubblico, come la moderna avanguardia teatrale ha dimostrato. L´estremizzazione del processo è distante dalle comuni pratiche teatrali odierne, nelle quali l´attore non perde mai la propria soggettività e non vi è rischio di spersonalizzazione. Già dal XX secolo, tuttavia, registi e teorici del teatro hanno dimostrato un forte interesse verso una più massiccia partecipazione del pubblico alla rappresentazione se non all´azione scenica stessa, modificando il ruolo da fruitore passivo a partecipatore attivo dell´evento, ristabilendo così un legame con il teatro del passato.

 

Storia del teatro occidentale

La divisione temporale del fenomeno teatrale occidentale che generalmente viene utilizzata si può così schematizzare:

 

Teatro classico

 

Antica Grecia

L´origine del teatro occidentale come lo conosciamo è senza alcun dubbio riferibile alle forme drammatiche sorte nell´antica Grecia, così come sono di derivazione greca le parole teatro, scena, dramma, tragedia, coro, dialogo.
La tradizione attribuisce le prime forme di teatro a Tespi, giunto ad Atene dall´Icaria, verso la metà del VI secolo. Tradizione vuole che sul suo carro trasportasse i primi attrezzi di scena, arredi scenografici, costumi e maschere teatrali.
Molto importanti per l´evoluzione del genere comico furono i Phlyakes (Fliaci), attori già professionisti, girovaghi. I Fliaci provenivano dalla Sicilia e, dato il loro carattere nomade, erano soliti muoversi su carri che fungevano anche da spazio scenico. Gli attori portavano maschere molto espressive, una stretta camicia e rigonfiamenti posticci; per gli uomini il costume prevedeva anche un grande fallo, esibito o coperto dalla calzamaglia.
Gli Ateniesi svilupparono la consuetudine di organizzare regolarmente grandi festival in cui i maggiori autori teatrali dell´epoca gareggiavano per conquistarsi il favore del pubblico. La forma d´arte di ispirazione più elevata era considerata la tragedia, i cui temi ricorrenti erano derivati dai miti e dai racconti eroici. Le commedie, che spesso fungevano da intermezzo tra le tragedie, di carattere più leggero e divertente, prendevano spesso di mira la politica e i personaggi pubblici del tempo.
I principali tragediografi greci furono Eschilo, Sofocle ed Euripide; i commediografi più importanti furono Aristofane e Menandro.

 

Teatro latino

Scena teatrale. Affresco romano. Palermo, museo archeologico.
Nella Roma antica il teatro, che raggiunge il suo apice con Livio Andronico, Plauto e Terenzio per la commedia e Seneca per la tragedia, è una delle massime espressioni della cultura latina.
I generi teatrali che ci sono rimasti meglio documentati sono di importazione greca: la palliata (commedia) e la cothurnata (tragedia). Si sviluppano altresì una commedia e una tragedia di ambientazione romana, dette rispettivamente togata (o trabeata) e praetexta. La togata viene distinta da generi comici più popolari, quali l´atellana e il mimo. La tragedia di argomento romano (praetexta) si rinnova negli avvenimenti, considerando fatti storici. La tabernaria era invece un´opera comica di ambientazione romana. Il genere popolare dell´atellana è stato accostato alla commedia dell´arte.

 

Teatro medievale

Dopo la caduta dell´Impero romano sembrò che il teatro fosse destinato a non esistere più. La Chiesa cattolica, ormai diffusa in tutta Europa, non apprezza il Teatro ed addirittura scomunica gli attori. A questa situazione, però, sopravvivono i giullari, eredi del mimo e della farsa atellana. Intrattengono la gente nelle città e nelle campagne con canti ed acrobazie e pende su di loro la condanna della chiesa la quale, dal canto suo, dà origine ad un´altra forma di Teatro: il dramma religioso o sacra rappresentazione, per mezzo del quale i fedeli, spesso analfabeti, apprendono gli episodi cruciali delle Sacre scritture.

 

Teatro moderno

 

Teatro nel Rinascimento

Il Rinascimento fu età dell´oro del teatro per molti paesi europei (in particolare in Italia, Spagna, Inghilterra e Francia), rinascita preparata dalla lunga tradizione teatrale medioevale.
Autori di commedie furono, in Italia, Niccolò Machiavelli, il cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, gli eruditi Donato Giannotti, Annibal Caro, Anton Francesco Grazzini, il nobile senese Alessandro Piccolomini, gli intellettuali cortigiani Pietro Aretino, Ludovico Ariosto e Ruzante; Gian Giorgio Trissino, Torquato Tasso e Giovan Battista Guarini composero tragedie di carattere epico.
Riscoperta e valorizzazione degli antichi classici da parte degli umanisti permise lo studio delle opere concernenti il teatro non solo dal punto di vista drammaturgico ma anche dal punto di vista architettonico, scenografico e teorico, che permisero la costruzione e l´allestimento di nuovi teatri.

Il teatro del XVII secolo

Il Seicento fu un secolo molto importante per il teatro. In Francia nacque e si consolidò il teatro classico basato sul rispetto delle tre unità aristoteliche. La grandiosa opera drammatica di Pierre Corneille (1606-1684) già delineò un gusto teatrale francese e aprì le porte al siècle d´or, ben rappresentato dalla commedia di Molière (1622-1673), di costume ma soprattutto di carattere, frutto di un´acuta osservazione e rappresentazione della natura umana e dell´esistenza, e dalla tragedia alta, umana e tormentata di Jean Racine (1639-1699).
Non meno significativa fu l´impronta lasciata dal teatro
seicentesco spagnolo, dalla imponente produzione del maestro Lope de Vega (1562-1635), fondatore di una scuola che ebbe in Tirso de Molina (1579-1648) con il suo Don Giovanni, e in Pedro Calderón de la Barca (1600-1681) con le sue vette poetiche immerse nella realtà, nel sogno e nella finzione, i migliori discepoli.
In Italia il teatro dei professionisti, i comici della Commedia dell´arte, soppiantò il teatro erudito rinascimentale. Per circa due secoli la commedia italiana rappresentò il "Teatro" tout court, per il resto d´Europa. La sua influenza si fece sentire dalla Spagna alla Russia e molti personaggi teatrali furono direttamente influenzati dalle maschere della commedia dell´arte: Punch la versione inglese di Pulcinella, Pierrot la versione francese di Pedrolino e Petruška la versione russa di Arlecchino. Sempre in Italia c´erano già delle prove di tragediografi come Federico Della Valle e Carlo de´ Dottori e anche commediografi ancora legati alle corti come Jacopo Cicognini alla corte fiorentina dei Medici.
Altri esponenti del teatro elisabettiano furono Christopher Marlowe (1564-1593) e Thomas Kyd (1558-1594). Il vero rivale di Shakespeare fu tuttavia Ben Jonson (1572-1637), le cui commedie furono anch´esse influenzate dalla commedia dell´arte; fu attraverso di lui che certi personaggi scespiriani sembrano tratti da una commedia italiana, come ad esempio Stefano e Trinculo de La tempesta.

 

Teatro del XVIII secolo

Fu un secolo buio per quanto riguarda la Spagna, ben lontana dai fasti dei periodi precedenti, transitorio per la produzione britannica ad esclusione delle legitimate comedy, delle commedie giovanili di Henry Fielding (1707-1754) e delle innovazioni tecniche di David Garrick (1717-1779), illuminista nei drammi tedeschi di Lessing (1729-1781) e un´età ricca di riforme ed innovazioni in Francia.
La situazione italiana dopo un lungo secolo di Commedia dell´Arte dedicò l´inizio di questo secolo all´analisi delle forme teatrali e la riconquista degli spazi scenici di una nuova drammaturgia che oltrepassasse le buffonerie del teatro all´improvviso. Se per la commedia i conti con il teatro dell´arte è subito conflittuale poiché in tutta Europa la commedia delle maschere è considerata la "commedia italiana" con i suoi pregi ma anche i difetti di una drammaturgia quasi assente e la poca cura dei testi rappresentati, spesso quasi mai pubblicati, il confronto con la commedia del resto d´Europa penalizza molto il teatro italiano.
All´inizio del XVIII secolo la commedia cortigiana s´avvale della produzione della scuola toscana della commedia detta pregoldoniana del fiorentino Giovan Battista Fagiuoli e dei senesi Girolamo Gigli e Jacopo Nelli. L´esempio di Molière e il lento distacco del francese dalla commedia italiana per costituire una forma intermedia di dramma a metà tra quella dell´arte e la commedia erudita, pur mantenendo fisse le presenze di ruoli classici della commedia dell´arte, per la prima volta scopre i volti degli attori e le maschere cedono il posto a nuove figure come quella del Borghese gentiluomo, Tartufo, il Malato immaginario etc.
Su questo esempio i pregoldoniani costruiscono e stendono le trame delle loro commedie, alle volte anche sin troppo simili a Molière, in particolare il personaggio di Don Pilone di Girolamo Gigli è costruito su quello del Tartufo da rischiare il plagio. Altri come Fagiuoli partono invece dalle maschere per ripulire gli eccessi degli zanni; infatti uno dei ruoli fissi delle sue commedie è quello di Ciapo, contadino toscano, che richiama lo zanni ma anche i servi scaltri della commedia rinascimentale.
Se per la commedia la situazione italiana è oscurata dalla ormai centenaria tradizione della commedia dell´arte, per la tragedia, la situazione in Italia è peggiore. In Italia non era mai esistita una tradizione tragica alla quale ricondursi, anche il ´500 aveva espresso ben poco oltre Trissino, Guarini e un Tasso decisamente minore rispetto a quello della Gerusalemme liberata. In compenso esisteva un ampio patrimonio tragico all´interno del melodramma ma che non rispondeva certo alle esigenze di coloro che ammiravano il secolo d´oro francese di Corneille e Racine.
L´erudito e teorico del teatro tragico Gian Vincenzo Gravina, già maestro di Metastasio, tentò una via italiana alla tragedia che rispettasse le unità aristoteliche ma le sue tragedie sono fredde, preparate a tavolino e poco adatte alla rappresentazione. Nacque comunque sulla spinta di Gravina uno dei migliori tragediografi italiani del ´700 prima di Alfieri: Antonio Conti che insieme a Scipione Maffei che scrisse La Merope, la tragedia italiana più rappresentativa di questo inizio secolo e aprì le porte alla tragedia di Alfieri.
Il teatro italiano riprese un ruolo di primo piano all´interno del panorama europeo, nel melodramma con Metastasio (1698-1782) e nella commedia con Goldoni (1707-1793). Metastasio ridiede spessore al libretto, anche a scapito della musica e del canto, purificando il lingiaggio poetico e migliorando la caratterizzazione dei personaggi, al punto da divenire non solo il librettista più ricercato fra i musicisti europei, ma persino un autore teatrale rappresentato anche in assenza della musica. Goldoni fu un riformatore e uno sperimentatore, spaziando dalla commedia di carattere a quella di ambiente, dalla drammaturgia borghese a quella popolare, dal commedia dialettale esaustiva alla rappresentazione della realtà veneziana focalizzata nelle contraddizioni sociali, politiche e economiche.
Per la tragedia, tra gli altri, va ricordato Pier Iacopo Martello (1665-1727), che si rifà al teatro francese del Seicento.
 
Teorici del Settecento
Il Settecento pose le basi anche dello sviluppo teorico della recitazione e della funzione dell´arte teatrale per la società. Il teorico di maggior prestigio fu Denis Diderot, filosofo illuminista ma anche autore di tre testi teatrali che s´inseriscono nel nuovo filone del dramma borghese, che con il suo trattato Paradosso sull´attore (1773) gettò le basi di una nuova visione della recitazione che precorse la teoria brechtiana dello straniamento in opposizione alla teoria dell´immedesimazione. Già sin dal 1728 l´attore italiano Luigi Riccoboni con il trattato Dell´arte rappresentativa e L´Histoire du Théâtre Italien (1731) aveva cercato di fare il punto sulla recitazione partendo dalla sua esperienza di attore della Commedia dell´Arte.
Questo trattato aprì una discussione alla quale parteciparono il figlio di Luigi Antoine François Riccoboni con L´Art du thèâtre (1750) e la moglie di lui Marie Jeanne de la Boras detta Madame Riccoboni grande amica di Goldoni, vi parteciparono anche Antonio Fabio Sticotti, colui che introdusse il personaggio di Pierrot sulle scene francesi, con Garrick ou les acteurs anglais (1769) e lo stesso David Garrick il più grande interprete scespiriano del ´700.
Nel frattempo in Francia l´arte drammatica si era evoluta con la comédie larmoyante di Pierre-Claude Nivelle de La Chaussée e il dramma rivoluzionario di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais l´inventore del personaggio di Figaro ripreso da Mozart e Rossini.
Il medico Giovanni Bianchi (Rimini 1693-1775), rifondatore nel 1745 dell´Accademia dei Lincei, compose nel 1752 una Difesa dell´Arte comica, messa dalla Chiesa di Roma all´Indice dei libri proibiti. Nella vicenda rimase coinvolta l´attrice romana Antonia Cavallucci. Raccontiamo quanto accadde. È l´ultimo venerdì di Carnovale del 1752. Prima di leggere il suo discorso sull´Arte comica all´Accademia dei Lincei riminesi, Giovanni Bianchi fa esibire una giovane e bella cantante romana, Antonia Cavallucci. Il concerto della Cavallucci provoca scandalo in città. Bianchi allontana la ragazza, spedendola a Bologna e Ravenna con lettere di raccomandazione che, praticamente, a nulla servono. Contro la Cavallucci il vescovo di Rimini, Alessandro Guiccioli, inoltra a Roma «illustrissime e reverendissime insolenze», come riferisce a Bianchi un suo corrispondente, Giuseppe Giovanardi Bufferli. Attraverso la Cavallucci si vuole colpire il suo protettore. Bianchi è stato sempre insofferente verso l´ortodossia filosofico-scientifica della Chiesa, ed è in stretta concorrenza rispetto al monopolio pedagogico e culturale dei religiosi, sia con il proprio Liceo privato sia con i rinnovati Lincei. Le manovre ecclesiastiche riminesi producono l´effetto desiderato. Contro il discorso dell´Arte comica si celebra presso il Sant´Uffizio un processo, affrettato ed irrituale, che porta alla condanna del testo. L´accusa è formalmente di aver esaltato la Chiesa anglicana, più tollerante di quella romana, nella considerazione degli attori. In sostanza, non piace la difesa dei classici che Bianchi ha tentato.
Antonia Cavallucci nelle lettere a Bianchi racconta la sua vita disperata. Ha dovuto sposare, per imposizione della madre, un uomo violento ed avaro, da cui vorrebbe separarsi con la pronuncia di un tribunale ecclesiastico: e proprio a Bianchi lei chiede una memoria da recitare in quella sede. A Bologna ed a Ravenna, deve contrastare gli assalti galanti di chi avrebbe dovuto aiutarla. Invoca così l´aiuto economico di Bianchi. Lo chiama «mio padre» ed anche «nonno», mentre sul medico ricade il sarcasmo degli amici che lo accusano di essersi innamorato di una ragazza allegra.
Il teatino padre Paolo Paciaudi chiama Antonia «infame sgualdrina» e «cortigiana svergognata», d´accordo con il padre Concina, grande avversario di Bianchi, che definisce «putidulæ meretriculae», leziose puttanelle, quante come lei sono artiste teatrali. Antonia cerca un ruolo di cantatrice: soltanto «per non fare la puttana mi è convenuto fare la comica», confida a Bianchi da Ravenna, respingendo le accuse che volevano la sua casa frequentata da troppi «abatini e zerbinotti».
Antonia si difende incolpando un nemico di Bianchi. Usano insomma lei, per colpire lui. Talora i rapporti epistolari tra l´attrice ed il medico sono burrascosi. Quando Bianchi, accusato da Antonia di essere la causa delle sue sfortune presenti, assume un tono distaccato, lei lo accusa: «Mostrate tutte finzioni». Ma Bianchi ha altri pensieri per la testa, appunto il processo all´Indice. Non ha tempo per ciò che forse considera non un dramma umano, ma le stravaganze di una donna. Di una ragazza. Di un´attrice, per giunta.

 

Teatro dell´Ottocento

Il teatro europeo all´inizio dell´Ottocento fu dominato dal dramma romantico. Gli ideali romantici vennero esaltati in modo particolare in Germania. Nel romanticismo si situano Johann Wolfgang von Goethe e Friedrich Schiller, che videro nell´arte la via migliore per ridare dignità all´uomo. Degli ideali romantici e neoclassici si nutrirono molte tragedie di soggetto storico o mitologico. Al romanticismo teatrale fecero riferimento anche gli autori italiani come Alessandro Manzoni con tragedie come l´Adelchi e Il Conte di Carmagnola, oltre a Silvio Pellico con la tragedia Francesca da Rimini , ambientazioni analoghe tornarono anche nel melodramma. Molto importante fu anche il teatro romantico inglese fra i maggiori rappresentanti ci furono Percy Bysshe Shelley, John Keats e Lord Byron. Ma è anche il secolo degli anticonformisti sia a livello artistico sia nella giustizia sociale, ben rappresentati dal society drama portato in scena da Oscar Wilde e degli innovatori come Georg Büchner che precorsero il dramma novecentesco. In Inghilterra, in Francia ed in Italia, in concomitanza con la nascita del naturalismo e del verismo (perenne ricerca della realtà in maniera oggettiva), intorno alla metà del secolo le grandi tragedie cedettero il posto al dramma borghese, caratterizzato da temi domestici, intreccio ben costruito e abile uso degli espedienti drammatici. Il maggiore esponente del teatro naturalista fu Victor Hugo e del teatro verista Giovanni Verga, nell´America Latina Florencio Sánchez seguì la loro scuola e si mise in evidenza.

 

Teatro contemporaneo

 

Primo Novecento

Il Novecento si apre con la rivoluzione copernicana della centralità dell´attore. Il teatro della parola si trasforma in teatro dell´azione fisica, del gesto, dell´emozione interpretativa dell´attore con il lavoro teorico di Kostantin Sergeevič Stanislavskij e dei suoi allievi Vsevolod Emil´evic Mejerchol´d su tutti. Il Novecento aprì anche una nuova fase che portò al centro dell´attenzione una nuova figura teatrale, quella del regista che affiancò le classiche componenti di autore e attore. Fra i grandi registi di questo periodo vanno citati l´austriaco Max Reinhardt e il francese Jacques Copeau e l´italiano Anton Giulio Bragaglia.
Con l´affermarsi delle avanguardie storiche, come il Futurismo, il Dadaismo e il Surrealismo, nacquero nuove forme di teatro come il teatro della crudeltà di Antonin Artaud, la drammaturgia epica di Bertolt Brecht e, nella seconda metà del secolo, il teatro dell´assurdo di Samuel Beckett e Eugene Ionesco modificarono radicalmente l´approccio alla messa in scena e determinano una nuova via al teatro, una strada che era stata aperta anche con il contributo di autori del calibro di Jean Cocteau, Robert Musil, Hugo von Hofmannsthal, gli scandinavi August Strindberg e Henrik Ibsen; ma coloro che spiccarono tra gli altri, per la loro originalità furono Frank Wedekind con la sua Lulù e Alfred Jarry l´inventore del personaggio di Ubu Roi.
Contemporaneamente però il teatro italiano fu dominato, per un lungo periodo, dalle commedie di Luigi Pirandello, dove l´interpretazione introspettiva dei personaggi dava una nota in più al dramma borghese che divenne dramma psicologico. Mentre per Gabriele D´Annunzio il teatro fu una delle tante forme espressive del suo decadentismo e il linguaggio aulico delle sue tragedie va dietro al gusto liberty imperante. Una figura fuori dalle righe fu quella di Achille Campanile il cui teatro anticipò di molti decenni la nascita del teatro dell´assurdo.
La Germania della Repubblica di Weimar fu un terreno di sperimentazione molto proficuo, oltre al già citato Brecht molti artisti furono conquistati dall´ideale comunista e seguirono l´influenza del teatro bolscevico, quello dell´agit-prop di Vladimir Majakovskij, fra questi Erwin Piscator direttore del Teatro Proletario di Berlino e Ernst Toller il principale esponente teatrale dell´espressionismo tedesco.
Nella Spagna del primo dopoguerra spicca la figura di Federico García Lorca (1898-1936) che nel 1933 fece rappresentare la tragedia Bodas de sangre (Nozze di sangue) ma le sue ambizioni furono presto represse nel sangue dalla milizia franchista che lo fucilò vicino Granada.

 

Teatro italiano nel regime fascista

Necessarie premesse nell´esaminare il rapporto tra il regime dittatoriale e il teatro sono quelle che riguardano l´ideologia culturale fascista, la sua organizzazione e le condizioni dell´arte dello spettacolo nell´Italia dell´epoca.
La critica concorda quasi all´unanimità nel ritenere che non vi sia stato un "teatro fascista" interamente rappresentativo della ideologia e dei valori fascisti.
Questo non significa che il fascismo si disinteressò di quanto veniva rappresentato anzi «intuì subito l´importanza (o la pericolosità) del palcoscenico». come uno degli elementi per l´organizzazione del consenso da parte dell´opinione pubblica borghese, di quel ceto medio che allora preferiva assistere alle rappresentazioni della commedia di costume, quella che fu poi chiamata «delle rose scarlatte», o del teatro dei «telefoni bianchi» di Aldo De Benedetti dove la presenza di un telefono bianco in scena stava ad indicare l´adesione alla modernità della classe media rappresentata in commedie stereotipate incentrate prevalentemente su trame basate sul classico triangolo amoroso il cui fine era primariamente quello di svagare e divertire il pubblico e non di indottrinarlo politicamente.
Da questo punto di vista il fascismo prese atto che il teatro italiano non aveva colto le novità ideologiche portate dal fascismo.
Il Ministro della Cultura Popolare Dino Alfieri parlando alla Camera dei Fasci e delle Corporazioni nel 1939 dichiarava che nella produzione teatrale italiana «...al risultato quantitativo non ha corrisposto un pari risultato qualitativo, specialmente per quanto riguarda l´auspicata nascita di un teatro drammatico che esprima i motivi ideali ed i valori dello spirito fascista».
Ossequenti all´invito del Duce, durante tutto il periodo fascista, una congerie di compagnie filodrammatiche, espresse da quella stessa classe media che aveva sostenuto il fascismo, si esercitò nella produzione di testi teatrali inneggianti al regime e spesso direttamente dedicati a Mussolini «per gratitudine verso colui che l´Italia tutta guida e anima, ammaestra e comanda». Lo stesso Mussolini si avventurò nella scrittura di tre canovacci teatrali che il noto drammaturgo e regista Giovacchino Forzano completò e mise in scena naturalmente con grande successo.
Di un teatro fascista si può quindi parlare riferendolo a quegli autori che, in modo dilettantesco e per ottenere i favori del regime, scrissero una serie di copioni dai contenuti ideologici fascisti celebranti la nascita del fascismo e le sue conquiste militari e sociali; lavori questi che non ebbero però mai risonanza presso il grande pubblico.
Dell´assenza di una produzione teatrale fascista dai toni elevati ebbe modo di lamentarsi lo stesso Mussolini in un discorso tenuto il 28 aprile 1933, al teatro Argentina di Roma, in occasione del cinquantenario della SIAE (Società Italiana Autori e Editori): «Ho sentito parlare di crisi del teatro. Questa crisi c´è, ma è un errore credere che sia connessa con la fortuna toccata al cinematografo. Essa va considerata sotto un duplice aspetto, spirituale e materiale. L´aspetto spirituale concerne gli autori: quello materiale, il numero dei posti. Bisogna preparare il teatro di massa, che possa contenere 15 o 20 mila persone. La Scala rispondeva allo scopo quando un secolo fa la popolazione di Milano contava 180 mila abitanti. Non risponde più oggi che la popolazione è di un milione. La limitazione dei posti crea la necessità degli alti prezzi e questi allontanano le folle. Invece il teatro, che, a mio avviso, ha più efficacia educativa del cinematografo, deve essere destinato al popolo, così come l´opera teatrale deve avere il largo respiro che il popolo le chiede. Essa deve agitare le grandi passioni collettive, essere ispirata ad un senso di viva e profonda umanità, portare sulla scena quel che veramente conta nella vita dello spirito e nelle ricerche degli uomini. Basta con il famigerato "triangolo", che ci ha ossessionato finora. Il numero delle complicazioni triangolari è ormai esaurito... Fate che le passioni collettive abbiano espressione drammatica, e voi vedrete allora le platee affollarsi. Ecco perché la crisi del teatro non può risolversi se non sarà risolto questo problema.»
Nei teatri italiani non mancava invece il grande pubblico, quello affezionato al teatro di varietà che con le sue ricche scene, le musiche, la bellezza delle ballerine ma soprattutto le irriverenti battute degli attori comici, il cui copione si adattava in modo estemporaneo all´attualità immediata degli avvenimenti politici, rendendolo quasi impossibile controllarlo dalla censura , rappresentava veramente quel teatro di massa che avrebbe voluto il fascismo che in fondo però accettava di buon grado questa forma di spettacolo atta ad allontanare la sensibilità pubblica dai gravi avvenimenti che segnavano la politica del regime. Così nonostante l´opposizione alle lingue dialettali trionfava il teatro dialettale, le farse alla De Filippo, che in assenza, per le sanzioni alla Francia, del vaudeville e della pochade, offriva al pubblico italiano un valido sostituto.
Le ingerenze però soprattutto della censura fascista impedirono un originale sviluppo del teatro che sino alla caduta della dittatura rimase fermo alle innovazioni teatrali dell´inizio del 900, al teatro Dannunziano e Pirandelliano, ambedue del resto legittimati dal fascismo. Agli inizi del 900, prima dell´avvento del fascismo il teatro italiano era caratterizzato da uno spirito anarchico, individualistico e pessimistico ma ora questi temi non potevano essere affrontati con un regime dichiaratamente ottimista sulle sorti della società italiana dalla produzione teatrale che in realtà si paralizzò e si isterilì.

 

Secondo dopoguerra

La ricerca degli anni ´60 e ´70 tenta di liberare l´attore dalle tante regole della cultura in cui vive (seconda natura), per mettersi in contatto con la natura istintiva, quella natura capace di rispondere in modo efficiente e immediato. In questo percorso, il teatro entra in contatto con le discipline del teatro orientale, con lo yoga, le arti marziali, le discipline spirituali di Gurdjeff e le diverse forme di meditazione. L´obiettivo di perfezionamento dell´arte dell´attore diventa insieme momento di crescita personale. La priorità dello spettacolo teatrale, l´esibizione di fronte ad un pubblico, diventa in alcuni casi solo una componente del teatro e non il teatro stesso: il lavoro dell´attore comincia molto prima. L´influenza di questo approccio sul movimento teatrale del Nuovo Teatro è stato immenso, basti pensare all´Odin Teatret di Eugenio Barba, al teatro povero di Jerzy Grotowski, al teatro fisico del Living Theatre di Julian Beck e Judith Malina.
Anche in Italia si assiste ad uno "svecchiamento" del repertorio tradizionale, grazie al lavoro di drammaturghi come Eduardo De Filippo e Dario Fo, allo sperimentalismo di Carmelo Bene e Leo De Berardinis, al lavoro di grandi registi come Giorgio Strehler e Luchino Visconti. In Germania fu fondamentale l´apporto di Botho Strauss e Rainer Werner Fassbinder, in Francia, fra gli altri, Louis Jouvet che i testi estremi di Jean Genet, degno figlio della drammaturgia di Artaud.
Anche la Svizzera ha contribuito nel corso del ´900 all´evoluzione del teatro europeo con autori come Friedrich Dürrenmatt (1921-1990) e Max Frisch (1911-1991). Dalla Polonia arrivano grandi innovazioni nella concezione di una messinscena grazie a Tadeusz Kantor (1915-1990) pittore, scenografo e regista teatrale tra i maggiori teorici del teatro del Novecento. Il suo spettacolo La classe morta (1977) è tra le opere fondamentali della storia del teatro.
Intanto, si approfondisce la lezione di Stanislavskij sul lavoro dell´attore, fino alle applicazioni "commerciali" dell´Actor´s Studio di Stella Adler e Lee Strasberg (da cui provengono Marlon Brando, Al Pacino, Robert De Niro).

 

Teatro orientale

 

Teatro nel subcontinente indiano

La storia del teatro dell´asia meridionale, nonostante siano presenti tradizioni spettacolari in Pakistan, Bangladesh, Nepal, Sri Lanka, ha il suo centro originario in India.
Il Natya Sastra, (scritto in sanscrito tra il 200 a.C. e il 200 d.C.), ne racconta la genesi mitologica da parte di Brahma, che ne fissò anche gli scopi: istruzione e divertimento.
La recitazione nel teatro indiano tradizionale conserva elementi rituali, ad esempio nella preparazione del corpo, e si caratterizza per la convenzionalità dei gesti e dei personaggi.
Il drammaturgo più prolifico fu Bhasa (IV secolo), di cui ci restano tredici drammi, tra cui Il sogno di Vasavadatta (Svapnaasavadatta).
Il più celebre drammaturgo fu Kālidāsa (V secolo), autore de Il riconoscimento di Sakuntala (Abhijñānaśākuntalā).

 

Teatro in Estremo Oriente

Cina e Giappone hanno tradizioni teatrali differenti, ma caratterizzate entrambe dalla stilizzazione dei gesti e dei costumi teatrali e dalla integrazione di danza, musica, canto e recitazione.
Nel XIII secolo, in Cina, fiorì lo zaju (teatro vario); nel XVI secolo Wei Liangfu diede origine al Kunqu, un genere teatrale regionale della zona della odierna Shangai. In seguito si svilupparono diversi stili regionali, dei quali il più importante (e il maggiormante praticato anche oggi fra gli stili tradizionali) fu l´Opera di Pechino (Jīngjù, 京劇).
In Giappone emersero due forme principali, il () e il Kabuki (歌舞伎), che raggiunsero la loro forma compiuta rispettivamente nel tardo XIV secolo e nel XVII secolo.

 

Teatro nel sud-est asiatico

La maggior parte delle tradizioni di spettacolo presenti nella zona occupata dagli attuali stati del sud-est asiatico ha origini indiane o, in alcuni casi come il Vietnam, cinesi.
Nella attuale Birmania le tradizioni teatrali risalgono al IX secolo, e conobbero un momento di grande diffusione durante la dinastia Pagan (1044 - 1287), poi distrutte dalla invasione dei mongoli. Nel 1767, dopo la conquista da parte dei birmani della città thailandese di Ayutthaya, gran parte della cultura, della danza e dei testi teatrali thailandesi (come il Ramakien, adattamento thailandese del Ramayana) furono importati e riadattati.
In Cambogia le forme più antiche di rappresentazione consistono negli spettacoli musicali di Funan, di cui si ha traccia a partire dal 243. Le spettacolari danze Khmer, eseguite a corte da molte centinaia di danzatori, ebbero origine dalle danze giavanesi (bedaya) e si svilupparono ad Angkor a partire dal 802, con la fondazione del regno Khmer da parte di Jayavarman II. La tradizione teatrale subì come in altri casi con l´influenza indiana, con l´acquisizione del corpus drammaturgico del Ramayana, tradotto e adattato nel Ramker.
In Indonesia gli spettacoli teatrali svilupparono forme originali e vivaci, spaziando dalla danza al teatro di marionette al teatro delle ombre (Wayang Kulit). Il centro dell´attività teatrale era situato a Bali. Oltre al Ramayana e al Mahabharata, la drammaturgia si basò su storie locali, i Panji. Del teatro indonesiano antico non ci sono fonti certe, anche se è possibile fissarne l´origine intorno al X secolo.
Nella tradizione thailandese i lakhon sono drammi danzati elaborati e a volte giocosi, e hanno origine dalle danze classiche indiane, di cui vennero elaborati in modo originale i gesti e il movimento, in particolare nell´uso delle mani e delle dita. L´origine delle diverse forme di teatro thailandese rislgono al XV secolo, periodo nel quale si integrarono con le forme di danza Khmer, in concomitanza con la conquista di Angkor da parte dei thailandesi.

 

Teatro in Africa

Il teatro africano è ancora poco noto in occidente, nonostante si occupi di tematiche sociali, politiche, psicologiche e storiche di notevole importanza, mescolate all´interno di un crogiolo con le tradizioni mitologiche ancestrali orali, le rappresentazioni sacre e le narrazioni drammatiche.
Data la vastità geografica del territorio, le diversità storico-culturali e etniche prese in esame, risulta ardua una classificazione netta e precisa delle correnti teatrali africane. È comunque possibile suddividere il teatro africano in alcune fasi storiche: antico (Egitto), tradizionale, coloniale, postcoloniale e contemporaneo.

 

Teatro nell´antico Egitto

Da iscrizioni risalenti al 2600 a.C. circa è documentata l´esistenza in Egitto di cerimonie pubbliche in cui erano previste rappresentazioni sotto forma di processioni e feste, nelle quali venivano utilizzate varie arti performative, come la danza, la musica, unitamente alla narrazione di racconti mitologici. Diversi documenti testimoniano il carattere teatrale delle feste egizie. Sui papiri rinvenuti nel Ramesseo di Luxor sono descritti i preparativi per la festa per il trentesimo anno di regno del faraone Sesostris, e vengono precisati i dialoghi, le azioni, le posizioni degli attori in scena, oltre a dettagli riguardo alle scenografie, alla musica e alla presenza di danzatori e comparse. Nelle iscrizioni autobiografiche sulla stele di Ikhernofret (1820 a.C. circa), il tesoriere e organizzatore di feste del faraone Sesostris III racconta di aver lui stesso impersonato «l´amato figlio di Osiride» in una scena di combattimento tra divinità.
 

Teatro tradizionale

L´Africa è stata caratterizzata da un´ampia gamma di tradizioni teatrali, accostabili grazie ad alcune tendenze comuni, come la scarsa incidenza dei testi, del copione e delle strutture tradizionali classiche, e invece la rilevanza dell´oralità, dei riti, dei miti, delle danze, e della musicalità; tipiche sono state le rappresentazioni in costume e in maschera e i tentativi di annullare la separazione tra spettatori e scena.
Durante il
XVI secolo si svilupparono i primi spettacoli organizzati da compagnie di praticanti professionisti come quella degli Alarinjo, nel regno Yoruba (ora Nigeria), in massima parte a sfondo religioso e mitologico.
 

Teatro coloniale

Nel periodo coloniale l´influenza dei missionari mutò alcuni aspetti del teatro, rendendo le rappresentazioni sempre più vicine al messaggio cristiano e alle sacre scritture, grazie a riadattamenti di drammi biblici, e questo spesso a scapito di elementi originari africani, come la danza; in questo periodo storico sono state realizzate opere "impegnate", i cui contenuti trattarono tematiche quali l´ingiustizia sociale, come nel caso della compagnia itinerante nigeriana di Hubert Ogunde. Non mancarono le recite a sfondo politico-satirico, che criticarono la nuova aristocrazia africana rinnegante le tradizione a favore degli usi e costumi europei, come nel caso dell´opera del ghanese Kobina Sekyi del 1915.

 

Teatro postcoloniale e contemporaneo

L´indipendenza ottenuta ha consentito la nascita di una nuova classe dirigente e di una nuova classe media. Questo fatto ha provocato una nuova svolta nel corso del teatro africano, che si è proiettato verso una commistione fra le tradizioni locali e le strutture europee, pur mantenendo una attenzione prioritaria alla tematiche politiche e sociali, sia nella veste di strumento di propaganda o di appoggio ai governi sia in quella di voce dissidente e denunciante. Tra gli autori più apprezzati vi è il Nobel nigeriano Wole Soyinka, l´ugandese Robert Serumaga e la ghanese Efua Sutherland. In questa fase storica rilevanti sono state le collaborazioni in Sudafrica di artisti bianchi e neri, sfidanti l´ancora vigente apartheid, e la nascita di temi e contenuti legati ai problemi sociali e quotidiani. Attualmente l´atmosfera politica più tollerante rispetto al passato, consente una maggiore libertà di espressione e un impulso alla sperimentazione.

 

Fonte: Wikipedia, l´enciclopedia libera


Nell´immagine in alto:
 Scena teatrale. Affresco romano. Palermo, museo archeologico.

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