L’altro sguardo. Visioni teatrali

a cura di Caterina Pontrandolfo
La danza dei vivi e dei morti nel nuovo spettacolo di Emma Dante
 
Cosa ci vuole raccontare Emma Dante con il suo nuovo spettacolo? Nel silenzio dell’inizio una donna vestita di nero, abiti da uomo, danza nello spazio vuoto. E’ Maria Macaluso. Danza la sua non più vita. La stessa Maria, questa volta corpo nudo di donna, filiforme e sinuoso di commovente bellezza, alla fine dello spettacolo, danzerà ancora la sua non più morte. Nel passaggio dalla vita alla morte non avrà mai indossato il tutù, ma avrà appreso la danza che sembra poterle appartenere per sempre. Sono sette le sorelle Macaluso. C’è il figlio di una di loro. Ci sono una madre e un padre. La famiglia schierata nello stesso identico abito nero maschile (pantaloni neri, camicia nera, scarpe nere) entra ed esce dall’ombra, tenendo il passo di un funerale senza dolore. Una famiglia in un lutto di vita perenne. Poco prima intanto, il proscenio ha rivelato cinque scudi d’argento di diversa foggia, disposti  uno a fianco all’altro. Lapidi su cui non sono incisi i nomi. Sembrano una linea di confine, oltre la quale non è possibile andare. Unici elementi di scena, gli scudi/lapidi d’argento sono improvvisamente agiti alla maniera dei pupi siciliani. I sembianti maschili/femminili si fronteggiano con spade, si colpiscono e parano i colpi. Sequenza perfetta che ci proietta fulmineamente in Sicilia e di questa terra tutto ci rimanda.  Nel sollevare i cinque scudi, vediamo i ritratti in bianco e nero di cinque defunti.  Il corteo si ricompone, espelle i vivi e fagocita i morti, e poi si scompone sul fondo e dal fondo avanzano in schiera le sette sorelle verso il proscenio. La schiera torna indietro  e viene in avanti più volte. Nell’andirivieni  perde la sua composta geometria e le sette donne si liberano via via dei neri abiti maschili, parlano i loro dialetti, si mischiano i suoni, i timbri, le diverse altezze delle voci  che irrompono come esplosione di vita. Eccole ora in abitini/grembiuli estivi dai colori vivaci, che non riescono a nascondere però una qualche miseria, un orizzonte di vita stretto e sofferente. Non varcano quella linea di confine, il limite dei sepolcri. Stanno su quella soglia. Dietro, alle loro spalle c’è la penombra. Da quella soglia raccontano, scherzano, ridono. Un vitalismo forsennato le anima quando ricordano l’autobus che un giorno le portò al mare. Alla visione del mare, tolgono gli abiti e rimangono in costume. Emergono i loro caratteri, i rapporti di forza e di debolezza, le vicinanze e le lontananze, le invidie, le gelosie fino al consumarsi della tragedia: una di loro muore durante il gioco sott’acqua a chi resiste di più, portato all’estremo. L’annegata continuerà a vivere e a raccontare la sua morte in mare sul fondo della scena. Il dipanarsi della materia reclama dall’ombra  i suoi testimoni, vivi o morti che siano. La  ferocia di Katia Macaluso, responsabile della morte in mare di sua sorella , reclama il padre su cui vomitare tutto il suo odio e rinfacciargli le sue nefandezze, in un barese virulento e terribilmente denso. Il padre, che ammette il suo fallimento di uomo e la sua incapacità di allevare da solo le figlie, reclama la madre che lo chiama a sé, nell’ultimo amplesso.  Con la stessa leggera sottoveste bianca, padre e madre vengono risucchiati  sul fondo dove rimangono avvinghiati nel loro contatto senza più fine. Hanno messo al mondo figli senza crescerli. E un nipote che continua a morire sognando di essere Maradona.
Le ombre che agiscono sul fondo, vivono, sono in carne ed ossa: danzano, giocano, amano e i sopravvissuti, sempre pronti a indossare i rigorosi abiti neri maschili del lutto, sembrano i morti veri, i negati alla vita. Questa confusione di vita e morte  -  tornando alla domanda di partenza-  sembra volerci dire Emma Dante, potrebbe apparire quasi come una prospettiva rassicurante per la condizione umana. Un imparare a tenersi compagnia, la vita con la morte, la morte con la vita. Andando e tornando lungo quel Ponte di San Giacomo, il ponte immaginario che nella tradizione contadina siciliana unisce il mondo di qua con quello di là, perché c’è sempre qualcosa da continuare a chiarire tra i vivi e i morti.
Danno vita alle ombre sulla scena: Serena Barone, Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Italia Carroccio, Davide Celona, Marcella Colaianni, Alessandra Fazzino, Daniela Macaluso, Leonarda Saffi, Stephanie Taillandier. Bellezza, precisione, forza scenica, coesione, originalità di segno. Il pubblico applaude a lungo alla prima.
Le Sorelle Macaluso, testo e regia di Emma Dante, in scena fino a domenica 26 gennaio, al Teatro Mercadante di Napoli.
 
 25 gennaio 2014

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