Bellocchio e "Zio Vanja", il piacere di tornare al teatro

Il cineasta dirige Placido e Rubini: un trio prestigioso al Bellini per il capolavoro di Cechov

Servizio di Anita Curci

Dal 14 al 19 gennaio Sergio Rubini e Michele Placido saranno sul palcoscenico del Teatro Bellini di Napoli con lo spettacolo Zio Vanja di Anton Cechov. Con Pier Giorgio Bellocchio e la regia di Marco Bellocchio.
Zio Vanja è tra i capolavori assoluti del teatro. La ricostruzione minuziosa di atmosfere inquietanti, l´indifferenza dei personaggi sugli eventi, il senso dell´attesa di una incombente catastrofe rendono questo testo una geniale anticipazione della drammaturgia novecentesca. Marco Bellocchio, uno degli artisti più anticonformisti del cinema italiano, ne cura la regia.
Coraggioso e deciso, ha portato avanti le sue idee attraverso il talento creativo, concentrandosi sulla complessità dei fatti e della politica sessantottina, sulle conseguenze drammatiche degli anni di piombo. Con arte e lucidità ha continuato a dedicarsi a un laborioso lavoro di tessitura cinematografica fino alle opere più recenti Vincere, Sorelle mai, Bella Addormentata.

 

Bellocchio, dopo Timone d´Atene di Shakespeare al Piccolo di Milano e Macbeth al Teatro di Roma nel 2000, ancora con Placido. Questa, nella sua lunga carriera, è solo la terza regia teatrale. Perché la decisione di tornare al palcoscenico?

Ho dato inizio a questa nuova avventura drammaturgica su invito di Placido. A farci incontrare è stato il comune intento di collaborare proprio in palcoscenico, e su tale opera in particolare. Amo molto Cechov e conosco bene Zio Vanja.

 

E´ il suo secondo Cechov, se consideriamo anche il film tv del 1977 tratto da "Il gabbiano". Che cosa l´attrae dell´autore russo?

È una frequentazione di lunghissima data. Naturalmente alla mia età non guardo Cechov come lo guardavo a vent´anni, ma con una lucidità diversa. Ad attrarmi è la vita di campagna, la famiglia, i movimenti e gli struggimenti psicologici, gli amori, le disperazioni. Tutto è espresso in modo delicato.

La mia esperienza maggiore parte dal cinema, ma ho una sensibilità che si addice a questo tipo di teatro. Ho come una consapevolezza nuova, senza passato. Con Il gabbiano sono rimasto fedele al testo impostando la rappresentazione in modo squisitamente cinematografico; qui, invece, mi sono trovato di fronte a dinamiche di teatro per me del tutto nuove, diverse da quelle del cinema. E ho vissuto questa occasione con grande partecipazione, essendo il teatro lo spettacolo più antico del mondo. Per giunta, rispetto al set, ci sono aspetti, soprattutto quelli positivi e ingenui di ogni rappresentazione, che cambiano di volta in volta, di teatro in teatro; a volte in modo mostruosamente differente. Insomma, bisogna sempre modularsi in maniera diversa. E questo è affascinante.

 

Perché "Zio Vanja"?

Perché un po´ tutti i testi principali di Cechov sono dei capolavori che si integrano. Con Zio Vanja, con Il giardino dei ciliegi o con Tre sorelle, ad esempio, ritorni sempre sui grandi temi di un autore geniale. Non che le opere si equivalgano, ognuna possiede un tratto distintivo, ma tutte si incontrano nella sostanza. Zio Vanja è stato scelto sia per la presenza di uno straordinario personaggio che è quello protagonista, sia perché è un testo con una sua semplicità di racconto, addirittura con una sua relativa e certa brevità. Mi sembrava più semplice. Abbiamo poi provato con calma. Il tempo per me è fondamentale per arrivare ai veri risultati.

 

"Zio Vanja" è un testo molto rappresentato. Come gli ha dato la sua impronta originale? Qual è la cifra della sua regia?

Ne ho visti alcuni, non tutti. È chiaro che è un po´ questa la contraddizione.

A me interessava puntare sulla recitazione, sui sentimenti che mi veniva di rappresentare restando vicino ai personaggi e a ciò che provano. Cercando di contemperare una certa recitazione con quella che è l´esigenza di chi va a teatro. Non sono le bizzarrie e i barocchismi a interessarmi, ma il rapporto tra i personaggi e ciò che esprimono. Io li ho lasciati fedeli al testo di Cechov e li faccio muovere in una scenografia essenziale che lavora sulle luci e sulla profondità di campo. Ho puntato poi su un commento musicale piuttosto ricco, forte della mia esperienza cinematografica. Mi sono avvalso di Carlo Crivelli, una  voce  artistica  significativa  che è riuscito a marcare situazioni e parole.

 

Un classico è sempre attuale. In che cosa consiste l´attualità di "Zio Vanja" secondo lei? Forse nel senso di infelicità che pervade la storia e i personaggi?

L´attualità dipende dal rapporto tra testo e lettore. La ritrovi quando leggi Dostoevskij e Tolstoj; e nel V Canto dell´Inferno. Alla fine, dipende dalla grandezza di un testo, ma anche dalla sensibilità del lettore che ha gli strumenti per coglierla.


Su "Zio Vanja" potrebbe fare un film per il cinema?

E´ un discorso che viene dopo. Dovrebbe essere un´altra cosa. Sarebbe calato in una realtà dove ogni aspetto teatrale dovrebbe ridursi notevolmente. Il film è fatto almeno con la metà delle parole usate in teatro. Le parole devono fare dieci passi indietro, perché il cinema ha un altro linguaggio.

 
9 gennaio 2014
 
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