“Un Vanja” tratto da Cechov con la regia di Marcelo Savignone per il Festival
Surrealismo, ironia, marionette. Dall’Argentina, il
dramma cechoviano riprende nuovi colori e sonorità
Servizio di Vincenzo Perfetti
Servizio di Vincenzo Perfetti
Napoli - Continua la
rassegna del Napoli Teatro Festival che, questa volta, vede come protagonista
una pièce tutta d’eccezione. In scena, nei giorni 17 e 18 giugno (ore 21.00), alla
Galleria Toledo (Via Concezione a Montecalvario), “Un Vanja”, lavoro messo a
punto dal regista argentino Marcelo Savignone. L’opera, prende spunto e avvio dal
dramma cechoviano “Zio Vanja” datato 1896. La firma di Savignone si fa sentire,
entra nel dramma russo importando la cultura argentina: il suo surrealismo, il
suo calore, il suo clima tanghero. Ed è cosi che i tempi di recitazione si
susseguono. L’attenzione del regista/attore si incentra principalmente sulla
figura di Vanja, uomo che sebbene colto si arrende al disincanto di inizio
secolo. Il suo troppo essere ligio al dovere non gli ha portato alcuna
ricchezza. Gli restano i legami familiari, la speranza (di poter migliorare la
propria situazione e di essere ricambiato in amore dalla sensuale Elena). “Quando
la vita viene meno, è meglio vivere di speranza”- è questo il suo invito. Qui,
però, al contrario del dramma del ’96 ci si ritrova un Vanja dissoluto, meno
timido, sfacciato, quasi arrogante, violento (nel dramma originario giunge ad
uno scatto d’ira solo nel finale). Peculiarità che non gli lasciano spazio alle
delusioni della vita. Il “demone della distruzione” è sempre vivo, presente. La
volontà dei personaggi che ruotano intorno alla figura di Vanja sono tutti
infetti di questo “demone”, che va considerato come la molla che spinge per una
fuoriuscita dalla stasi della propria esistenza. Ed è cosi per Vanja; Sonia, la
nipote di Vanja timida e poco attraente che si invaghisce del dottore Michail
Astrov; Elena, moglie affascinante, femme fatale, che dispera per un amore
“giovanile”, ora che la sua è andata dispersa per sposare Seriabriakov. Tutte
marionette, dunque. E Savignone, a rievocare tale particolare affida la parte
di Seriabriakov ad un manichino. Gli stessi attori, a ricordare lo status di
marionette, nelle loro pause recitative siedono immobili, appunto come
Seriabriakov. Opera ben riuscita: ironia, tango, balli, surrealismo, il tutto
portato in cornice dalla lingua argentina degli attori, rafforzando ancora di
più la contrapposizione fra le due culture, che sebbene lontane si avvicinano
ad una situazione esistenziale uguale per tutti: sarebbe bello “vedere che
tutto sia caduto nel dimenticatoio”.
Con Paulina Torres,
Maria Florencia Alvarez, Merceditas Elordi, Marcelo Savignone, Luciano Cohen,
Pedro Risi.
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