“Scende giù per Toledo” di Patroni Griffi
Una prima assoluta per il Napoli Teatro
Festival, con Arturo Cirillo al Sannazaro. Dal 15 al 16 giugno
Servizio di Marco Catizone
Scende giù per Toledo Rosalinda la
blonde, balsamo e medicamento per ferite sconce di maschi ferini, eretti di
vello e membro che non svilisce le pene, anzi le ammorba, le enfia, nel cozzare
nero stridente dei corpi che si declina per gli uni in mercimonio di carni e
ammore, sacello reificato, che non conosce passione; per altri, per Rosalinda,
in flamme che arde senza peccato, perché mai conobbe vero palpito, se non
nell’attimo, nell’atto, nell’acme della presa, del “buco”, botro, pozzo e gola
che assorbe la luce terrena e ne rivela i contorni, le ombre più vere,
assorbendone il refluo.
Servizio di Marco Catizone
Napoli - Scende giù per Toledo
Rosalinda Spint, scende e cala come biacca sul volto, in controluce nello smeriglio,
d’una Napoli virulenta, rilucente come lama che t’affonda nel petto, lava di
mare impastata di umori e bruma e schizzi da basso ventre, di sesso e strazio,
folies spagnoleggianti tra Quartieri e Partenope, tra Marlene Dietrìch e le
bianche scogliere di Dover, tra stecche di balena a punteggiare il corpetto
d’una madonna fujente trafitta di spade, spilli puntuti a far da balia, a
stillare esangue e stramazzante, tra urla refoli e malepanze, squittii di
vicoli e schiaffi salmastri, borderline tra lungomare e utopia.
Scende giù per Toledo Rosalinda, mano
nella mano, e non è più sola, nella maschera che le cede Arturo Cirillo si
specchia leggera, l’agnizione è straniante eppure è certa; l’attore diviene il
riflesso, l’humus che lentamente svapora dall’inchiostro barocco di Patroni
Griffi, a pencolare dal legno-palco, le dita a caduceo che stringono spine in
attesa delle rose, cinque, che Ruccello poi getterà ai piedi della sua
Jennifer, in trance pur’esso, armato pestello nodoso per sminuzzare il genere,
tra femminile e maschio, ché di trans in itinere, ché di essere ed esserci,
come dasein hegeliano, che diverrà tempo ed essenza, assenza, qui parliamo.
Scende giù per Toledo Rosalinda, e con
lei si dilava il peccato d’una città morta, che nella sua eco ritrova un minimo
di senso, cardini cigolanti su membra atellane, tra vulcano e marino, puttana
bifera che sfiorisce tra due nature, chiave e serramme, chiava di sesso capa e
culo, Mamma Schiavona che protegge con prece e ferisce di rosario, femminella e
mascula, pullecenella cetrùlo e vulva ammiccante; umano troppo umano, per un
essere solo, sola, nel meriggio d’una pentecoste offerta al fascino degli
uomini, dei masculi, che ne trafiggono il vezzo, del sentirsi femmina almeno un
po’, lacerto sbrindellato e anema pezzentella venuta su a rimorsi, a calci in
culo e schiaffi invisi, in viso a saggiare le lacrime, a suggere il refrisco,
sulla mota dell’egoismo più nero.
Bravissimo Cirillo, onora il
padre-Patroni, rende anima e corpi della sua Rosalinda, come ambulacro per
passaggio, dal liquido inchiostrato allo stato solido, che cola caldo-umido
come succo ventrale amniotico e colloso, dal sesso più intimistico, affrescando
le volte d’un’ intima solitudine che si poggia, regale, sulle spalle d’una
femminella, che con dolcezza accolse la fragilità del maschio per farne balza
pieghettata di regale paltò. Scende giù per Toledo Rosalinda-Cirillo, e sono
applausi a risuonare, tra basoli e cemento.
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