Sciaccaluga e l’allestimento del celebre testo eduardiano con Eros Pagni nel ruolo di Barracano

Nel “Sindaco del rione Sanità”? C’è anche Shakespeare
Servizio di Anita Curci


Nel ricco programma del Napoli Teatro Festival di quest’anno non poteva mancare uno dei più grandi autori del Novecento europeo, col suo teatro, il suo copione, divenuto metafora del mondo. Con Eduardo De Filippo, in occasione del trentennale della morte, viene in un certo senso celebrata l’universalità della cultura napoletana, e lo si fa attraverso due importanti registi italiani: Marco Sciaccaluga che dirigerà “Il Sindaco del Rione Sanità”, e Francesco Saponaro per un atto unico semisconosciuto “Dolore sotto chiave” che festeggia oggi mezzo secolo e, come il Sindaco, fa parte della Cantata dei giorni dispari.

Delle due opere rappresentate al San Ferdinando in prima assoluta rispettivamente il 7 e l’8 e il 19 e il 20 giugno, soltanto quella diretta da Sciaccaluga rientra nelle Residenze artistiche ed è in coproduzione con lo Stabile di Genova. Molti attori pure provenendo dalla scuola del teatro ligure saranno napoletani o campani. Gli altri sono stati scelti dopo molti provini fatti a Napoli nei mesi scorsi, su più di 120 candidati.

“Oltre ad essere una bella e stimolante avventura in terra partenopea, quest’esperienza rappresenta l’occasione di lavorare con attori bravi che incontro per la prima volta”, dice Sciaccaluga.

Protagonista dello spettacolo, uno dei maggiori interpreti della scena italiana, lo spezzino Eros Pagni, nei panni di don Antonio Barracano.

“Per dare all’opera un senso di universalità abbiamo pensato di non scegliere un napoletano. Così il regista può guardare con un occhio più pulito e neutro la rappresentazione”, spiega Luca De Fusco nella sua veste di direttore del Teatro Festival.

Nella stessa scia si pone Marco Sciaccaluga quando parla di Eduardo con la sacralità che si riserva a Molière, a Shakespeare o a Brecht. E chiarisce: “Il teatro di Eduardo è impastato della sua lingua e della sua cultura ma non deve essere indispensabile essere partenopei per conoscere quel mondo e rapportarsi con le sue opere. Bisogna stare attenti a non confondersi. Napoli non è un fenomeno locale ma mondiale, che ha, tuttavia, le sue caratteristiche specifiche”.

Nella messa in scena l’opera sarà rispettata nella sua struttura originale, così come Eduardo l’aveva concepita nel 1960, ma con una piccola novità.

“Mi permetto una stravaganza.” continua il regista genovese. “Il pubblico saprà da subito che Barracano è morto e assisterà alla vicenda con suspense. Per fare questo  mi  servirò  d’una  specie  di flashback dove il protagonista utilizza parole molto particolari. Ho voluto concedermi il piacere di collegare due autori straordinari.

Evocherò Shakespeare, attraverso una frase presa dal Riccardo II  che recita: ‘Benché povera, la morte fa cessare ogni male morale’. Questo dirà il personaggio dando il via ad una lunga rievocazione”.

Diversa la scelta del regista napoletano Francesco Saponaro che per “Dolore sotto chiave” ha pensato di creare un collegamento invece con Pirandello al  quale probabilmente Eduardo si ispirò per la stesura di questo atto unico che scrisse per sé e per Titina De Filippo come radiodramma.

Solo sei anni dopo, nel 1964, lo diresse al San Ferdinando, firmandone solo la regia e affidando i ruoli principali a Franco Parenti e a Regina Bianchi.

“Voglio creare un ponte subliminale tra la cultura napoletana e quella siciliana.

E lo farò grazie ad una coppia di giovani attori Peppe Carullo e Cristiana Minasi affiancati da Luciano Saltarelli, interprete dalla comicità grottesca e provocatoria. Ma lo farò anche lavorando all’adattamento di  una  novella di Pirandello, dato che la  scrittura  di  Eduardo in un certo senso è cambiata dopo l’incontro con il drammaturgo agrigentino.” afferma Saponaro. E poi: “Ne stiamo esaminando quattro: I pensionati della memoria, La camera in attesa, Sgombero e La trappola. I temi di questi racconti molto si avvicinano a Dolore sotto chiave”.

Anche  in  questo  caso  la  struttura del testo   rimarrà  pressoché   invariata, ma non mancheranno confronti con la società odierna. Proprio come, con tutta probabilità, avrebbe voluto Eduardo, che guardava avanti, alle generazioni future, e ad esse parlava con la sua felina ironia, arma letale capace di denunciare per mezzo dell’arte.

“Eduardo – insiste Saponaro -  si rivolge ai posteri con un umoristico tragico e amaro. Nelle sue opere mette a fuoco le torture quotidiane che avvengono in famiglia. In “Dolore sotto chiave”, ad esempio, c’è una sorella che in nome della compassione, tema a lui caro, mediante il sentimento della pietas, esercita sul fratello una tortura psicologica, una specie di potere coatto. E’ così che De Filippo ci mette continuamente di fronte alle devianze dell’animo umano, facendo esplodere quei conflitti insiti nel ‘900 che hanno poi preso il sopravvento nella società di oggi”.

Sulla tipologia della messa in scena Saponaro offre appena una suggestione di ciò che vedremo. Non amando prodotti preconfezionati, fa immaginare un lavoro di studio e di costruzione. E precisa: “Lo spettacolo avrà una sua identità, pur rispettando la drammaturgia originale. Il progetto, in collaborazione con l’Università della Calabria, si avvarrà di importanti contributi artistici che daranno un taglio contemporaneo alla rappresentazione: Lino Fiorito curerà le scene e i costumi; Cesare Accetta, le luci. Di sicuro – conclude il regista - esalterò l’idea del radiodramma, il genere per cui “Dolore sotto chiave” è nato, e l’aspetto fantasmatico, dove le voci avranno una profonda valenza simbolica.”

 

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