Il focus sull’autore russo con sei spettacoli in lingua originale, ma anche in italiano e spagnolo

De Fusco: “Vi farò scoprire la napoletanità di Cechov”
Servizio di Francesco Urbano

Un itinerario che va da Il giardino dei ciliegi, diretto da Luca De Fusco, a Zio Vanja e Tre sorelle, con la regia e la scenografia del moscovita Andrei Konchalovsky; da Un Vania, ideato e diretto dal regista argentino Marcelo Savignone, a Un gabbiano, con adattamento e regia del trentatreenne Gianluca Merolli, fino allo Zio Vanja del lituano Rimas Tuminas.

Come si può facilmente intuire non mancano gli spunti di interesse e gli orizzonti di riflessione per il focus su Anton Cechov, in programma nell’ambito della settima edizione del Napoli Teatro Festival Italia (6-22 giugno). A cominciare da quello squisitamente linguistico, con gli spettacoli (il primo è proprio Il giardino dei ciliegi, con Gaia Aprea, Paolo Serra, Claudio Di Palma, Alfonso Postiglione, Sabrina Scuccimarra, in scena al teatro Mercadante l’8 e il 9 giugno) recitati in italiano, russo e spagnolo.

Ma anche per la durata complessiva: oltre quattordici ore durante le quali poter esplorare, attraverso codici espressivi ed estetici multiformi, l’universo delle (im)possibilità dello scrittore-medico-drammaturgo di Taganrog.

“Il Focus Cechov – spiega Luca De Fusco – vuole dare una visione più completa possibile su uno dei grandi autori teatrali di tutti i tempi e vederlo recitare, come si suol dire, in tutte le salse”.

Quel mirabile contrasto cechoviano tra il desiderio di vivere, la quotidianità che spegne i sentimenti in inettitudine e quella sensazione del passato come deposito dei propri fallimenti sarà composto da diversi “ingredienti”. E così “dalla salsa tradizionale russa – prosegue il direttore artistico del NTFI –, intesa nel senso più bello della parola, cioè della grande classicità degli attori russi, diretti da un maestro come Andrei Konchalovsky, gli spettatori potranno assistere a un Cechov in versione più sperimentale come quello di Tuminas; oppure varcare i confini quasi punk di quello argentino per giungere all’approccio affatto avanguardistico del Gabbiano”. Ma quale stigma avrà l’allestimento diretto da Luca De Fusco? “Il mio Cechov – sottolinea il regista partenopeo – è in linea con il teatro di regia che sto portando avanti negli ultimi anni; con un grande rispetto del testo ma con delle messe in scena sempre innovative ed evocative. Questa volta non sarà il nero il colore che connoterà il lavoro, come, ad esempio, nell’Antigone: sarà quasi tutto dominato dal bianco”. L’idea di fondo è stata di creare una sorta di filo conduttore tra i personaggi malinconici e sconclusionati, esagerati e sopra le righe di Cechov che quasi si (con)fondono nell’essenza di Napoli. “Ogni sua pièce – aggiunge De Fusco – si potrebbe spostare dalla provincia russa a quella napoletana. Credo vi sia un sorta di napoletanità nelle opere cechoviane e mi auguro che con questo festival si scoprirà”. Ma non è ovviamente solo per le assonanze tra Cechov e il Sud che il NTFI presenta questi sei spettacoli. La struggente fine di unepoca che muore in modo anti retorico e persino comico, ma non melodrammatico, il misto di forzata allegria e tormentata malinconia tipica del drammaturgo russo non caratterizza, forse, anche il nostro tempo?

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