TRE SORELLE di Anton Cechov - regia di Andrei Konchalovsky
L’UMANITA’
NEL VICOLO CIECO DELLA VITA
Al Teatro Mercadante di Napoli – 13-14 giugno 2014
Servizio di Antonio Tedesco
Al Teatro Mercadante di Napoli – 13-14 giugno 2014
Servizio di Antonio Tedesco
Napoli. Nell’ampia offerta cechoviana
presentata dall’edizione in corso del Napoli Teatro Festival, l’attualità dello
scrittore e drammaturgo russo si evidenzia anche nella molteplicità di letture
che delle sue opere vengono proposte. Ne sono un esempio lampante le variazioni
sul tema di Zio Vanja, opera presente
in ben tre differenti versioni, più una rilettura de Il Gabbiano che si annuncia di grande interesse. In questo quadro
d’insieme gli allestimenti curati dal regista russo Andrei Konchalovsky (uno
dei tre Zio Vanja, appunto, e Tre sorelle) si distinguono, invece, soprattutto
per il rigore della messa in scena. Konchalovsky fa “parlare” il testo nella
sua veste (anche linguistica, per noi pubblico italiano) originale. Quasi a
riaffermare la solidità di una piattaforma sulla quale tutte le letture
ulteriori e successive diventano possibili. Mostrando, inoltre, forte
consapevolezza del fatto che già la stesura originale (come succede per i
grandi classici di ogni epoca) contiene in sé tutti gli elementi e tutte le
potenzialità per offrirsi poi anche a linguaggi e interpretazioni diversi,
senza minimamente perdere, anzi accrescendo, il suo valore primario.
Bisogna dire, però, a questo
proposito, che pur nella fluida linearità della sua messa in scena di Tre sorelle, presentato al Teatro
Mercadante nell’ambito del Napoli Teatro Festival, Konchalovsky inserisce un
tocco di geniale semplicità. Una sorta di lancio, di “assist”, di suggerimento
a tutte le altre, possibili, versioni e riletture di questo come degli altri
testi di Cechov. E che consiste nella proiezione, in due cambi di scena, di
brevi filmati, realizzati in un bianco e nero un po’ sgranato, come fossero vecchie
pellicole, in cui gli attori protagonisti dello spettacolo vengono intervistati,
prima a proposito dei personaggi che interpretano, e poi sulla loro idea di
Cechov. Creando, così, un corto circuito tra finzione e realtà, tra arte e
vita, tra l’esperienza vissuta e quella rappresentata. Tanto più che alcuni di
questi attori sembrano non solo essere ancora “in parte”, anche fuori scena, ma
addirittura accentuare certe particolari caratteristiche dei propri personaggi.
Quasi un calare Cechov nel suo “ambiente naturale”, la reale quotidianità dell’esistenza.
Un po’ come succedeva nel film di Louis Malle del 1994, Vanja sulla 42esima Strada, dove tra rappresentazione, durante le
prove del testo effettuate in un teatro destinato alla demolizione, e vita
degli attori, si creava un unico, indistinguibile amalgama.
Ma c’è anche un altro breve filmato,
nel finale, che mostra sfilate e operazioni militari di eserciti che si
apprestano alla guerra. Quasi che l’inquieta malinconia delle “tre sorelle”, le
loro domande senza risposta sulla vita e il destino, loro e di tutti gli
uomini, presagissero, tra l’altro, l’imminente tragedia del conflitto che
presto avrebbe sconvolto gli equilibri dell’Europa e del mondo.
Per il resto, in quest’edizione delle Tre sorelle, prodotta dal Teatro
Accademico Statale Mossovet di Mosca, non abbiamo potuto che apprezzare la
grande bravura e professionalità di un’affiatata compagnia di attori madrelingua
che, al di là dell’incomprensibilità per la maggior parte del pubblico (aiutato
dai sottotitoli in italiano, naturalmente), hanno saputo costruire e
trasmettere un’atmosfera profondamente cechoviana, composta da quel particolare
miscuglio di indolenza, malinconia, di speranza, di tentativo disperato e perso
in partenza di contrastare il tempo che passa inesorabile e l’oblio che porta
con sé. Tutti quegli elementi, insomma, che fanno sì che questo autore, così
calato nella realtà del suo tempo e del suo paese, sia anche così vicino ad
ognuno di noi, e quindi universale.
“A Mosca! A Mosca!” gridiamo tutti, ognuno a
suo modo, con Irina, la più giovane e trepidante delle tre sorelle. Nella
speranza, destinata a rimanere delusa, che un giorno realmente ci andremo.
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