"Il giorno in cui ci siamo incontrati e non ci siamo riconosciuti", drammaturgia e regia di Giuseppe Sollazzo

STRADE PERDUTE
Al Teatro San Ferdinando di Napoli – 15-16  giugno 2014
Servizio di Antonio Tedesco

Napoli. Raccogliere tanta vita in così poco spazio. Amori, passioni, pulsioni. Coincidenze, incroci, equivoci, fatalità. Angosce, paure, bisogni, necessità. Il tragico e il ridicolo che si impastano nel presente, spruzzato di un passato dove cambiano gli abiti e i costumi, ma i giochi sono sempre gli stessi e il mondo continua a girare con le sue regole, note e imperscrutabili, al tempo stesso. Il prete, la sposa, l’innamorato, il viveur, le ragazze sulla strada costrette a consegnare il passaporto al loro protettore, l’uomo d’affari con la segretaria zelante ed efficiente, compassati signori in giacca e cravatta impegnati in una riunione, forse il consiglio di amministrazione di una azienda, mentre un tipo mal messo non sa dove andare a dormire. Gente in divisa, militari, scene di esecuzioni sommarie. Uomini e donne con la stella gialla cucita sul petto del soprabito. Piccoli spacciatori e i loro insospettabili clienti.
E bambini, confusi, e seppur in modi e circostanze diversi, smarriti. Gli unici, forse, abilitati a rappresentare un anelito vero di umanità. Ma proprio per questo inesorabilmente destinati a perdersi nel flusso caotico dell’esistenza.
E’ un esperimento coraggioso quello messo in campo da Giuseppe Sollazzo con questo suo Il giorno in cui ci siamo incontrati e non ci siamo riconosciuti, presentato in prima assoluto al Teatro San Ferdinando nell’ambito del Napoli Teatro Festival. Una sorta di gioco teatrale nel quale si cerca di condensare e contenere tutto il teatro possibile. E cioè, tutta la vita e tutte le storie compresse in una sorta di passerella stilizzata, lungo la quale quelle stesse storie, sotto la forma originaria di esperienze umane,  sfilano veloci lasciandosi intravedere, e a volte solamente intuire. Ma dando il senso di quell’intreccio inestricabile e, per molti versi, ingovernabile, dal quale sono generate e che al tempo stesso contribuiscono a formare.
Una rappresentazione che l’autore stesso definisce “gioco scenico” e coinvolge una trentina di attori di varie nazionalità e dalla quale il dialogo è abolito, affidando il senso alla sola gestualità e alla forza visiva (all’evidenza) delle situazioni rappresentate. Le luci e la musica fanno il resto, contribuendo a costruire o modificare ambienti e atmosfere. La musica, in special modo,  si trasforma in vero e proprio tappeto sonoro cui è affidato il compito di rappresentare il “rumore della vita”. E cioè di quella cosa che incontriamo, nostro malgrado, “senza riconoscerla”. E della quale questa “strada”, che nella finzione teatrale ne ospita una porzione così consistente e rappresentativa, diviene evidente metafora.
Tra movimenti coreografici appena accennati e tableaux vivants, tra momenti di sospensione e veri e propri “fermo immagine” , tra “rallenty” e movimenti reiterati, la messa in scena di Sollazzo si presenta come ulteriore tassello che conferma la coerenza tematica del programma di questa settima edizione del Napoli Teatro Festival. Potendosi configurare, infatti, come un trait d’union tra i pochi, ma significativi spettacoli di danza presentati nella rassegna, e quelli a vario titolo definibili di prosa che ne costituiscono, ovviamente, la parte più consistente. Quasi fosse un ponte, un segmento per veicolare il movimento scenico, la pura azione, verso una forma più propriamente drammaturgica. Ma soprattutto riflettendo sempre sulla precarietà, sulla transitorietà e sulla labilità della condizione umana. Anche qui, insomma, lo spirito di Cechov sembra aleggiare lieve e sornione, struggente e malinconico.
E Marlene, la ragazza che pronuncia il proprio nome nel finale, rispondendo alla domanda di un giovane con il quale ha incrociato uno sguardo appassionato (unico scarno dialogo presente nella messa in scena), potrebbe essere proprio una creatura cechoviana che negli occhi di quel giovane cerca, per sé e per l’intera umanità, il senso misterioso della vita.
 
 
 
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