Al Mercadante efficace regia di De Fusco che popola di "spettri" il cechoviano "Giardino dei ciliegi"
QUEGLI ETERNI BAMBINI DESTINATI ALL'OBLIO
Servizio di Anita Curci
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Servizio di Anita Curci
Quando
Anton Cechov, il 14 ottobre del 1903, a nove mesi dalla fine per tubercolosi,
inviò il manoscritto del Giardino dei
ciliegi al Teatro d’arte di Mosca per la messa in scena, il suo timore più
grande fu quello che la compagnia o il regista Stanislavskij travisassero la natura
dell’opera concepita volutamente con quel piglio di leggerezza rasente la farsa,
con il taglio umoristico attraverso il quale, fino ad allora, egli aveva messo
insieme personaggi, sentimenti e situazioni.
Una
trepidazione che forse aveva ragione di esistere dato che Stanislavskij
presentò poi al pubblico il 17 gennaio del 1904 Il Giardino come consigliava la sua personale visione, e cioè
secondo una lettura drammatica, chiaramente legata alla situazione sociale russa
di quegli anni.
Tante
sono state le versioni successive, da quella di Peter Brook a quella di Strehler,
e chissà cosa avrebbe pensato lo scrittore di Taganrog della singolare
rappresentazione diretta da Luca De Fusco l’8 e il 9 giugno al Mercadante per
il Festival.
Di
certo il regista napoletano ha saputo cogliere quello che Cechov aveva a cuore
maggiormente, il senso di languido deliquio causato dall'irreversibile
conflitto tra un passato che non può tornare e un futuro incerto che sarà
presto anch'esso passato.
Niente
di più complesso, difficile.
Una
prima assoluta durata due ore e venti minuti senza intervallo che poteva
spossare lo spettatore, rimasto anzi attento, a volte sorpreso, curioso,
interessato.
Allestire
Il giardino dei ciliegi si presentava
di fatto un’impresa audace. Eppure alla fine la rappresentazione ha generato
impressioni positive perché con sé e dentro di sé ha recato fino in fondo il
respiro di Cechov, le intenzioni, il pensiero, il suo mondo creativo.
E’
apparso subito chiaro il senso dell’opera all’apertura del sipario, e non solo
per i personaggi immobili sulla scalinata, in quella scenografia tutta bianca
che ricorda il ghiaccio, in qualche modo il freddo della Russia e un po’ il
candore di quelle anime bambine non intenzionate a crescere. Di quella
aristocrazia rimasta infantile, indolente, incapace di reagire e destinata ad
essere spazzata via dal progredire dei tempi e dalla più tarda rivoluzione. Ma
Cechov, sensibile osservatore, doveva averlo indovinato.
“Ho
voluto evidenziare – dice De Fusco – attraverso degli spettri che qualcosa muore.
In modo naturalistico e comico, porto sulla scena una tragedia, quella di
un’epoca che spira perché non riesce ad entrare nella modernità. Un po’ come
accaduto al nostro Meridione”.
E
allora caramelle penzolano dall’alto, e palloncini tra le mani di
attori-fantasma a simboleggiare il ritardo di un ceto che non sa dare una
svolta al proprio destino, poiché, per cultura, incapace di farlo.
Ed
è proprio questo simbolismo marcato ad offrire la chiave di lettura vincente
alla messa in scena.
Specie
al momento della frattura, quando verso la metà della rappresentazione un
sipario di pietra crea uno squarcio sul palcoscenico, concedendo allo
spettatore il panorama parziale di ciò che accade alla famiglia aristocratica
imprigionata nella storia e che, per questioni finanziarie, tra un valzer e una
coppa di champagne sta perdendo la propria casa con l’annesso giardino di
ciliegi. L’asta viene battuta e ad acquistare la tenuta è un antico colono
Lopachin, ora ricco commerciante.
I tempi che mutano. E i servi diventano padroni. Nasce la borghesia,
l’aristocratico deve perire. Anzi, sprofondare. E De Fusco fa precipitare i
suoi nobili spettri dal parapetto in cima alla scalinata. Una scena forte,
evocativa, assolutamente efficace.
Nel
ruolo che fu di Ol’ga Knipper moglie di Cechov, Gaia Aprea nella sublime Ljuba,
Paolo Cresta in Jasa, Claudio Di Palma in uno straordinario Lopachin, Alfonso
Postiglione in Piscik, Sabrina Scuccimarra in Sarlotta.
Scene
di Maurizio Balò, luci di Gigi Saccomandi, coreografie di Noa Wertheim, musiche
originali di Ran Bagno.
Lo
spettacolo andrà ad aprire la stagione del Mercadante e resterà in replica dal
19 al 30 novembre 2014 all'interno della trilogia cechoviana proposta dallo
stabile napoletano e comprendente Tre
sorelle diretto da Claudio di Palma e Zio Vania con la regia di Pierpaolo Sepe.
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