Al Ridotto del Mercadante “La neve del Vesuvio”
Diretto e interpretato da Andrea Renzi fino al 16 febbraio
Servizio di Andrea Fiorillo
Napoli - Sulla scia del progetto L’armonia
perduta
del
direttore dello Stabile partenopeo, Luca Fusco, dedicato alle opere di Raffaele
La Capria, è in scena fino al 16 febbraio La neve del Vesuvio, diretto e interpretato da Andrea Renzi.
Premio
Grinzane Cavour 1989, il romanzo narra gli anni dell’infanzia di Tonino fino
alla sua adolescenza, attraverso gli occhi e le parole del bambino che cresce
in una Napoli da regime.
Ed è da
qui che lo spettacolo, attraverso il racconto di una voce narrante, si
sviluppa: partendo da quando il bambino Tonino conosce solo alcune parole,
momento della vita in cui non si è nemmeno tanto sicuri di essere uno e
distinto, fino alla presa di coscienza del mondo che lo circonda e delle scelte
che tutto ciò comporta.
Una
voce adulta racconta il tempo perduto, che rivive l’esperienza dello stupore di
un mondo fatto di cose, di oggetti, che prima esistono e poi non esistono più,
per poi diventare pensiero non più libero durante la crescita, ma condizionato
dal proprio immaginario o da quello degli altri. Parole che sono difficili da
scegliere perché assumono un valore condizionato e condizionante che può essere
causa di un dolore, come quello familiare, legato al significato della parole
“avallo” che il padre svela, distruggendo una serenità di un mondo creato
dietro quel sostantivo.
Arrivare
all’adolescenza significa, poi, prendere consapevolezza di ciò che si sceglie,
di come si può rispondere alla semplice domanda del professor Haberstumpfs –
cos’è un ago? – fatta a Tonino ed ai suoi compagni di classe. Ed è appunto
davanti alla perplessità nella risposta che il professore definisce sacre le
parole, il loro utilizzo, la maturità del saperle scegliere, proprio mentre per
strada giovani fascisti esaltano l'idea della guerra, e l'uso terrificante di quella
stessa parola.
Nella
semplicità e delicatezza che l’attore segue durante l’intera performance,
perfetta sembra essere la scarna ed efficace scena di Luigi Ferrigno, nella
quale un unico foglio bianco assume un valore altamente simbolico.
Steso,
bianco, al centro dello spazio vuoto, pieno solo della luce su di esso, diventa
parte dell’agire scenico durante la scoperta del sé, dello spazio, del mondo,
per poi tornare, ormai sgualcito, al centro dello spazio vuoto.
Solo un
raggio bianco lo svela nel finale, ricordando quella “Neve sul Vesuvio” che ci
stupisce ancora, ogni volta che succede, perché anche se l’infanzia è andata,
perché anche se lo stupore che rimaneva negli occhi è ormai solo un lontano
ricordo, chi conserva quella meraviglia, come l’autore nel raccontarla, saprà
leggere la bellezza di ciò che lo circonda.
15 febbraio 2014
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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