“Ragazzo di Trastevere” - di Giuseppe Patroni Griffi

Adattamento e regia di Giuseppe Sollazzo
Al Ridotto del Teatro Mercadante di Napoli dal 12 al 22 febbraio

Servizio di Antonio Tedesco

 


 Napoli. Non è facile, a teatro, confrontarsi con i testi letterari. Ragazzo di Trastevere, inserito nella rassegna “Storie naturali e strafottenti”, dedicata a Giuseppe Patroni Griffi nel decennale della scomparsa, dal Teatro Stabile di Napoli, è un testo che il regista e scrittore napoletano pubblicò nel 1951 e racconta di Otello, un giovane che vive in condizioni misere con la sua famiglia nell'allora ancora popolare quartiere di Trastevere, a Roma. La storia si articola intorno ad una sorta di educazione sentimentale vista dalla parte degli ultimi, dei derelitti della società, quasi un anticipo di quello che, alcuni anni dopo, sarebbero stati i ragazzi di vita di Pasolini. Ma ciò che rende particolarmente significativo il testo non è tanto la storia narrata, quanto il linguaggio usato da Patroni Griffi. Una lingua forte, incisiva, calata nella realtà e allo stesso tempo altamente letteraria. Da qui la difficoltà di una trasposizione scenica che non si risolva nel doloroso sacrificio di questa lingua. Giuseppe Sollazzo, che ha curato la regia di questo allestimento teatrale di Ragazzo di Trastevere, ha risolto nel migliore dei modi la difficile questione lasciando che i due livelli, quello letterario e quello teatrale, scorressero su due piani paralleli, contigui, ma ben distinti l'uno dall'altro. In questo modo, mentre le parole di Giuseppe (“Peppino”) Patroni Griffi  sono “dette”, più che recitate in maniera tradizionale dagli attori, le azioni svolte sulla scena, si affidano ad una loro propria geometria teatrale che se in quelle stesse parole trova il suo filo conduttore, non si limita, per questo, ad illustrarle semplicemente (rischio sempre dietro l'angolo in operazioni del genere) ma le arricchisce di sensi e significati, trovando, anche in quella forma straniata di recitazione, uno strumento per appropriarsi del testo e, pur nell'estrema fedeltà alla lettera, trasformarlo sulla scena in altro da sé. La narrazione, che scorre infatti, in maniera quasi incessante “in voce”, offre lo spunto per l'allestimento di una vera e propria serie di “quadri teatrali”, piccoli tableaux vivants, ma anche fermo immagine, dissolvenze e piani incrociati ottenuti con tecniche simili a quelle del linguaggio cinematografico.  Sollazzo, così, invece che mimetizzarlo, porta allo scoperto l'artificio del teatro, ponendolo in frizione con il linguaggio letterario diretto e sofisticato, a un tempo, di Patroni Griffi.
 
Una linea, questa che viene dichiarata fin dal principio, quando gli attori entrano in scena annunciando lo spettacolo e ponendo in tal modo una separazione ironica tra il testo e la sua messa in scena. La rappresentazione si fa, così, una sorta di “gioco a margine”, mentre il testo continua a scorrere integro attraverso le voci degli attori. Sfuggendo, in questo modo, ai rischi di una “sceneggiatura” che avrebbe potuto, fatalmente, assumere toni arbitrari, Sollazzo “mette in sicurezza” il suo ruolo e la sua autonomia di regista schivando il compito di semplice illustratore, e riuscendo alla stesso tempo a salvaguardare l'integrità del testo e dell'autore, cui questo spettacolo, e la rassegna in cui è inserito, intendono rendere omaggio. In tale contesto va considerata anche la prova degli attori che, liberi dalla necessità di interpretare un determinato personaggio o di rappresentare specifiche psicologie, possono pienamente concentrarsi sull'azione scenica in quanto segno primario della rappresentazione teatrale. Compito eseguito in perfetta sintonia con il disegno registico da Anna Ammirati, Michele Costabile e Davide Paciolla, ben coadiuvati dal sofisticato gioco di luci di Gigi Saccomandi, dai costumi di Zaira de Vincentiis e dalle scene essenziali ed evocative di Luigi Ferrigno. E con il contributo “in voce fuori scena” di Mariano Rigillo.
In scena al Ridotto del Mercadante fino al 22 febbraio.

 

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