“IO NESSUNO E POLIFEMO” DI E CON EMMA DANTE
Al Teatro Bellini di Napoli
dal 3 all’8 febbraio
Servizio di Antonio
Tedesco
Napoli - Polifemo parla le
lingue del teatro. Parla il napoletano e anche il siciliano. “Gli idiomi parlati dal popolo che, attraverso
la lingua, ne raccontano la storia”. E anche Ulisse (o Odisseo), che irrompe
sulla scena a un certo punto contrapponendosi a Polifemo, parla napoletano,
destando meraviglia nell’interlocutrice di entrambi, Emma Dante, in scena nei
panni di sé stessa.
Il dialogo tra la regista
siciliana e i due personaggi omerici, intorno a cui si articola Io, Nessuno e Polifemo è, nella sua
apparente e lineare semplicità, una raffinata operazione teatrale, attraverso
la quale la stessa regista rende esplicita la sua idea del fare teatro e la
rappresenta in forma scenica, quasi fosse un saggio, una riflessione sulla sua
carriera artistica, sui principi e sui motivi che la muovono, sui percorsi che
la guidano.
L’Odissea come paradigma di tutte le storie, e i due personaggi da
lei scelti, il protagonista Ulisse e il comprimario Polifemo, come paradigmi
del teatro che queste storie rappresenta. Ed ha la forza di una dichiarazione
di poetica la scelta di caricare di significati diversi i due personaggi.
Profondo, sofferto, a modo suo struggente, il ciclope, il personaggio marginale
ingannato e deriso, un “mostro” così umano nella sua sofferenza, che finisce
con l’identificarsi egli stesso nella roccia, nella pietra, nella grotta oscura
in cui la Dante (acuta e coraggiosa esploratrice di forme) va a cercarlo. Egli
è qualcosa di forte, di solido, di
immutabile nel tempo, la cultura popolare (quella vera, profonda) nelle sue
componenti primarie anche malinconiche e dolenti. Mentre più eclettico,
istrionico, estemporaneo, appare Ulisse, un’altra idea di teatro più aperta
alla comunicazione, allo scambio, al dialogo, ma capace lo stesso di avere
principi e punti di riferimento forti (il suo amore per Penelope, fermo,
nonostante le innumerevoli avventure, anche amorose cui il suo viaggio lo
espone).
Due idee di teatro, due
visioni del mondo tra le quali la regista, sulla scena, come nella sua attività
artistica quotidiana, sente di doversi dividere, destreggiare, ma
principalmente comprendere.
Anche se si afferra dalle
sfumature, dai “non detti”, che il suo cuore batte soprattutto per il cupo e sofferto ciclope, per il mostro che
vive nel cuore della terra e che tutti noi, come l’ Ulisse che l’ha
sbeffeggiato, cerchiamo di ignorare e di rimuovere, incapaci di confrontarci
con la nostra vera natura profonda. Non a caso nel titolo della
rappresentazione, se Polifemo viene chiamato con il suo nome, Ulisse è
identificato con “Nessuno”, appellativo che, nella vicenda raccontata da Omero,
egli stesso si da per ingannare il ciclope. Quel “Nessuno” che richiama anche L’uno, nessuno e centomila di
Pirandello, ma pure l’uomo comune, il dublinese Leopold Bloom la cui “epica del
quotidiano” fu narrata da Joyce
ispirandosi proprio al modello dell’Odissea.
Una messa in scena piena di
segni, di richiami di allusioni, questa di Emma Dante. Teatro concettuale, in
un certo senso, lontano dal voler ricostruire luoghi e ambientazioni omeriche,
ma, al contrario, tutto calato nella visione di una condizione senza tempo, dove
la forza dei personaggi si trasforma in un’idea di rappresentazione.
Con un grosso caseggiato
popolare che campeggia nel pannello sullo sfondo, con tre ballerine che fanno
da contrappunto agli scambi di battute tra i personaggi, muovendosi e danzando
con movimenti meccanici, a scatti, come fossero burattini animati (quasi il
fantasma del teatro, prima, e quello di Penelope poi, che tesse la sua infinita
tela – ma le due cose forse coincidono), mentre il tutto prende le mosse dalla
stessa regista-attrice che, giunta sulla scena, legge i versi di Omero relativi
all’episodio di Polifemo e poi trasforma abilmente quello stesso foglio da cui
leggeva in una barchetta di carta, come quelle che fanno i bambini, che sembra,
nella sua palese finzione, salpare nel mare aperto del teatro per trovarne l’essenza.
Se Emma Dante recita, con
divertito distacco, sé stessa, Salvatore D’Onofrio dà la giusta forza, ma non
priva di molteplici sfumature, a un Polifemo scontroso e umanissimo che si fa
quasi emblema di una natura sconvolta e turbata, o quanto meno, profondamente
disturbata, dall’irrompere di un’umanità inquieta e insofferente, famelica e
invadente, fragile e distruttiva,
insomma da quel coacervo di contraddizioni ben rappresentato dalla figura di
Ulisse, nella quale si cala in maniera altrettanto efficace Carmine Maringola.
Le tre ballerine cui sono
affidati i suggestivi movimenti coreografici, sono Federica Aloisio, Viola
Carinci, Giusi Vicari.
Serena Ganci, musicista e
vocalist, accompagna l'azione calandola in un ambiente sonoro che pare
dilatarla, provocando nello spettatore-ascoltatore non pochi brividi di
emozione.
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