Giuseppe Sollazzo e “Ragazzo di Trastevere” di Giuseppe Patroni Griffi
Al Ridotto dello Stabile di Napoli dal 12 al 22 febbraio
Servizio di Anita Curci
Napoli - “In Ragazzo di Trastevere lascio intatta la
struttura del racconto, senza rinnegarne il codice originario. Ho cercato di
lavorare sul linguaggio e non sulle psicologie, che credo sia la strada scelta
da sempre da Patroni Griffi, anche con le sue regie. E se egli avesse avuto
intenzione di portare questo testo in teatro lo avrebbe fatto meglio di me. E’ una sfida
che ho voluto accettare”.
Così Giuseppe Sollazzo
attivo sulla scena teatrale partenopea dai primi anni Settanta, parla del suo
debutto di stasera con “Ragazzo di Trastevere” (in replica fino al 22 febbraio)
nella rassegna Storie naturali e
strafottenti promossa dallo Stabile e in corso al Ridotto del Mercadante
sulle opere di Giuseppe Patroni Griffi nel decennale della scomparsa.
“Racconto-romanzo
scritto nel 1951 che non conoscevo. Mi è stato proposto dal direttore artistico
del Mercadante, Luca De Fusco, il quale avendo visto lo spettacolo da me allestito
durante il Napoli Teatro Festival, con circa 30 attori di varia nazionalità, e attratto
dal mio concetto di fare teatro, mi ha offerto la regia di questo testo
affascinante ma anche tanto complesso e crudo”.
E infatti De Fusco bene
illustrò ad ottobre, in ambito di conferenza stampa della rassegna su Patroni
Griffi, le modalità con cui aveva affidato a Sollazzo “Ragazzo di Trastevere” confidando
sulla sua capacità di renderlo godibile al pubblico. Un’ottima occasione per informare
che il lavoro apprezzato al Festival, “Il giorno in cui ci siamo incontrati e
non ci siamo riconosciuti”, sarebbe poi stato inserito nel cartellone della
prossima stagione dello Stabile.
“Un allestimento che mi
intriga per l’opportunità di trasportare una pagina letteraria in palcoscenico.
L’idea di trasformarla in linguaggio scenico mi piace particolarmente”.
Normale
allora chiedersi come la storia possa evolversi sul palco e quanto è capace di
rimanere fedele ad un testo di letteratura.
“La vicenda si evolve
in teatro con una tecnica di tipo cinematografico, con dissolvenze, ellissi, in
considerazione del fatto che il linguaggio cinematografico ha caratterizzato le
prime prove drammaturgiche dello stesso Patroni Griffi.
Naturalmente la cosa di
cui bisogna tener conto, vedendo questo spettacolo, è che il teatro rispetto
alla pagina scritta ha dei codici non verbali di cui si serve per raccontare la
storia.
Già la presenza dell’attore
in carne ed ossa - per non parlare delle luci di Gigi Saccomandi, dei costumi di
Zaira de Vincentiis, delle scene di Luigi Ferrigno, delle registrazioni audio
video di Alessandro Papa - contribuisce a rendere diversi i due percorsi,
quello di scrittura e quello scenico.
Per il livello di
fedeltà non saprei dire. Di certo tutto ciò che si ascolterà è opera di Patroni
Griffi, ciò che si vedrà è frutto del lavoro di regia.
Del testo non ho
cambiato nulla ma solo fatto dei tagli per restare nell’ambito dei 75 minuti,
richiesti per gli allestimenti nel Ridotto del Mercadante”.
Quanti
personaggi si muovono in palcoscenico?
“In scena ci sono tre
attori, Anna Ammirati, Michele Costabile, Davide Paciolla, che di volta in
volta saranno narratori e personaggi. Gli spettatori sentiranno anche parole
dell’autore recitate dalla voce di Mariano Rigillo.
Si sente
molto il senso del gioco del teatro. Perché credo che ogni spettacolo debba sempre
offrire oltre all’idea del racconto anche un momento di riflessione sui
meccanismi dello spettacolo.
Mai come in questo caso
è vero che il teatro diventa narrazione più gioco.
L’inizio, per esempio,
l’ho studiato apposta per creare subito una comunicazione col pubblico fondata
su tale concetto".
Che
tipo di teatro pensa di aver fatto?
“Mi auguro di aver
concepito un tipo di teatro “naturale e strafottente”, perché ogni allestimento
dovrebbe tentare di aggirarsi intorno ai territori del baratro, del fiasco, per
tentare anche per pochi attimi di incrociare il nuovo e restarne sorpresi
insieme agli spettatori.”
Otello
è un antieroe dei nostri tempi, dice lei, troppo povero per permettersi una
morale. Ma chi è veramente Otello, che tipo di felicità cerca e cosa fa per
raggiungerla?
"Otello è un ragazzo
come tanti che vuole fuggire da una vita di privazioni e di miserie, e cerca la
felicità ma non sa dove trovarla. Sa soltanto che è necessario fuggire. Il primo
viaggio a cui si sottopone è quello in Africa dove si arruola volontario salvo
cambiare idea dopo poco quando viene a contatto con la morte.
E’ chiaro che l’idea
del viaggio è qui inteso come un altrove, un luogo immaginario dove poter
essere finalmente se stessi, essere contenti di una vita decorosa e decente.
La molla che spinge
Otello è data dal senso di deserto che egli sente non soltanto sentimentale ma
anche fisico. Patroni Griffi lo spiega molto bene nell’incipit, Otello è uno
che vive in una stanzetta dove prima erano allevate galline e dove addirittura
ci piove dentro. Cerca in sostanza ciò che cercano tutti, una vita degna di
essere vissuta.
Sperimenta, fa degli
incontri, si abbandona a delle amicizie senza chiedersi se sono giuste o no. Questo
poi è un pregio della scrittura di Patroni Griffi perché ci pone di fronte ai
fatti così come sono, senza volerci necessariamente offrire una morale. Per lui
l’importanza non è tanto la psicologia del personaggio quanto il linguaggio del
racconto".
Quanta
solitudine c’è in questo testo?
“Molta. Anche gli amici
di Otello per non star soli cercano costantemente dei contatti come lui. E’ una
solitudine dell’anima perché i personaggi sono deprivati di tutto e combattono
la loro battaglia personale per tentare di avere degli affetti, un lavoro…
Insomma, quello che permette a ognuno di essere felice.
“I
personaggi di Patroni Griffi non sono fatti della stessa sostanza dei sogni”,
cosa significa?
“Non vivono in un mondo di fate e di elfi, sono concreti e noi possiamo
incontrarli quotidianamente”.
Che
musiche ha scelto?
“Nello spettacolo ci
sono molte musiche. Perlopiù pezzi di repertorio.
In genere preferisco non
usare musiche originali perché così ho la possibilità di allungare, tagliare,
variare, e concedermi delle libertà che un musicista dal vivo non mi accorderebbe.
Avevo provato dei motivi di Django Reinhardt che pensavo efficaci e che poi ho tolto perché evocano
subito il mondo di Woody Allen. Quindi sono andato per esclusioni, e non ho
usato nulla che potesse fare riferimento alla napoletanità. La scelta alla fine
è caduta su Erik Satie”.
E
per l’impianto scenico invece cosa ha pensato?
“Ho suggerito a Luigi
Ferrigno di non riprodurre in maniera naturalistica gli ambienti ma di evocarli
con dei piccoli oggetti, cosa che lui è riuscito a fare molto bene.
Ho immaginato una scenografia
allusiva, evocativa e astratta, che sicuramente non riproduce il quotidiano".
Portare
in scena un mito come Patroni Griffi quanto è difficile e con quali timori un
regista lo fa?
“Non so. Rappresentare
Patroni Griffi vuol dire rappresentare un grande autore della storia del
teatro, con il massimo rispetto e la massima libertà. Credo che la maggiore
forma di rispetto coincida anche con la più alta forma di libertà, considerando
anche quanto diceva lui nel libro e cioè di fare quello che si vuole purché il tipico
mondo poetico dell’autore rimanga intatto.
Si ha sempre il timore
di aver fatto delle scelte non coincidenti con il gusto del pubblico.
Naturalmente spero che lo spettacolo piaccia e non annoi. Il teatro per me è il
Luogo delle emozioni”.
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