Addio al maestro Luca Ronconi

Grande regista italiano, uno dei nomi più celebri del teatro europeo contemporaneo. Avrebbe compiuto 82 anni il prossimo 8 marzo

Servizio di Antonio Tedesco e Anita Curci

 
Milano - Maestro di generazioni di attori, padre degli allestimenti più apprezzati in Italia e all’estero, da “Gli ultimi giorni dell'umanità”, a “Lolita” e all'ultimo applaudito “Lehman Trilogy” in corso in questi giorni al Piccolo Teatro. La pomeridiana di ieri andava in scena quando la notizia della sua morte è arrivata agli attori in palcoscenico.
Il prossimo 8 marzo avrebbe compiuto 82 anni. Una della colonne portanti della cultura italiana, ha diretto il Teatro di Roma, lo Stabile di Torino e il Piccolo di Milano.
Ronconi è morto sabato sera, poco dopo le 20, al Policlinico milanese. Da alcuni anni sottoposto a dialisi, nell’ultima settimana le sue condizioni di salute erano sensibilmente peggiorate a causa di un’infezione virale che lo aveva colpito all’improvviso.
”Sono in ospedale, e non me la sento di fare dichiarazioni, trentaquattro anni di lavoro insieme, ora c’è da affrontare il peso di questa perdita, poi si vedrà”. Sergio Escobar, direttore del Piccolo, scombussolato dalla morte dell’amico, non riesce a rilasciare dichiarazioni su funerali o altre manifestazioni. “Di certo oggi” continua affranto, “all’inizio della recita gli attori lo ricorderanno”.
Ronconi rivoluzionò il teatro con la sua vita sospesa tra prosa e lirica, regia e sempre nuova sperimentazione.
Ogni suo allestimento era il tentativo di superare un limite. Un teatro vissuto il suo, appunto, ai limiti della “teatrabilità”. E che spesso la oltrepassava, per diventare qualcosa di ulteriore. Una macchina scenica in senso assoluto, che viveva di ritmi, di pulsazioni, che si dilatava nello spazio e nel tempo, oltre gli angusti limiti del boccascena, al di là dei luoghi deputati del rappresentare. Ma spesso anche del rappresentabile. Un teatro che voleva abbracciare il mondo, che sentiva il bisogno di allargarsi oltre se stesso, di superare i suoi ambiti. Siano essi fisici, mentali, o anche “istituzionali”. Un teatro che straripava. E invadeva i luoghi della “realtà”. Non rimanendo succube del mero rappresentarla, ma divorando e inglobando quello stesso mondo, e quella stessa realtà. Invertendo i ruoli. Diventando forza propulsiva e creatrice. Facendo del mondo stesso una propria creatura. Un teatro che “mangiava” con brama tutta la realtà intorno. Non rassegnato e non addomesticato ai tempi e agli spazi che gli venivano comunemente attribuiti. Scegliere titoli da citare nel vasto lavoro compiuto da Ronconi in cinquant’anni di attività (a partire dall’”Orlando furioso” del 1969, che gli diede grande fama) è impresa improba. Si va, in ordine sparso, dalle stupefacenti intuizioni di “Infinities” (la sensazione di infinite vite presenti, quasi come in un romanzo di Philiph K. Dick), alla magniloquenza espressiva de “Gli ultimi giorni dell´umanità”. Dagli splendidi intuiti scenici e interpretativi di “Amor nello specchio”, alla intensità classica de “Le Baccanti”, alle atmosfere sospese (in molti sensi) de “La vita è sogno”, al pensiero che si fa forma teatrale nel “Candelaio”. Molte le definizioni che sono state tentate per inquadrare il suo lavoro registico. Da quelle che si concentrano sul testo, con le sue scelte sempre fuori standard che spesso vanno anche oltre gli stretti ambiti letterari e drammaturgici, al cosiddetto “teatro d´attori”,  con  lo  stile  recitativo da lui prediletto, marcatamente antinaturalistico, che non interpreta, ma si fa carattere espressivo, musica e ritmo della rappresentazione. Ancora è stato definito “teatro dello spazio”, per le sue scelte di ambientazione e di scenografia sempre alternative a quelle del teatro classico. Dove il testo e la sua rappresentazione vengono fatti interagire con la sua idea di spazio scenico, generando qualcosa di assolutamente nuovo e originale che si estende nel tempo, nel senso che produce il proprio (spesso dilatato oltre i normali standard) tempo scenico.  Ma quello di Ronconi è stato anche un “teatro di pensiero”, nel senso che è riuscito a rappresentare nella pratica scenica la profondità che lo genera e che ad esso è sottesa. Una sorta di “pensiero e azione” teatrale che interagiscono strettamente, indissolubilmente l´uno nell´alta. Insomma una teatralità pura che, pur nel suo essere raffinatamente sofisticata, si potrebbe dire “primordiale”. O, addirittura, cannibalica. Errico Ghezzi parlò di una concezione cinematografica del suo teatro per “Lolita” (messa in scena della sceneggiatura originale scritta da Nabokov per Stanley Kubrick), con le scene ritagliate come inquadrature, precise in ogni dettaglio e complesse nella loro composizione, con l’uso di “carrelli” in una forma estetica assimilabile a quella cinematografica. Ma non scampa alla “voracità” teatrale di Ronconi la grande letteratura, con la messa in scena di un testo irrappresentabile, in apparenza, e iperletterario come “Il pasticciaccio brutto” di Via Merulana di Gadda. Si potrebbe continuare a lungo, ma fermiamoci qui. Ai suoi ottantadue anni che avrebbe compiuti fra pochi giorni. Alla sua faccia da ragazzino incorniciata da barba e capelli bianchi. Alla sua mancanza di prosopopea, al suo essere schivo, una qualità umana che sembra contrastare con certi “gigantismi” espressivi del suo teatro, ma forse è la vera linfa che lo ha nutrito negli anni. E quel senso di meraviglia e di stupore che ha provato per il suo lavoro e attraverso il quale ogni giorno, come aveva avuto modo di dire, gli pareva di riscoprire il mondo. Confrontarsi con il teatro di Ronconi non è riducibile al semplice assistere ad uno spettacolo. E´, piuttosto, un´esperienza complessa che coinvolge i sensi e il cervello, senza distinzione. E´ incamminarsi con lui in questa ricerca della “spiritualità materica” su un percorso difficile e affascinante, ma che è proprio del vero teatro, e cioè quello di seguire con caparbia ostinazione la via della conoscenza.
Addio, grande maestro. Oggi il mondo dello spettacolo è in lutto, e sulla facciata del Teatro alla Scala la bandiera sarà esposta a mezz'asta.
 

 

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