PROCESSO A VIVIANI scritto e diretto da Corrado Ardone, con Mario Aterrano e Massimo Peluso

Palazzo Reale - Cortile delle carrozze - prima assoluta per Napoli Teatro Festival Italia 2020, 19 luglio ore 21.00

Servizio di Pino Cotarelli

Napoli – Rappresentazioni troppo realistiche delle miserie umane e l’uso del dialetto, le principali accuse del “Processo a Vivianiscritto e diretto da Corrado Ardone e prodotto da THeCUL, messo in scena nel Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale di Napoli, domenica 19 luglio, per la Sezione Italiana del Napoli Teatro Festival Italia 2020. Un pretesto per ripercorrere i momenti salienti della carriera artistica del grande drammaturgo (interpretato egregiamente da Mario Aterrano), con gli altalenanti momenti di massimo splendore e i successi riportati nei più importanti teatri italiani ed esteri; ma anche il successivo confinamento nei teatri di periferia e l’abbandono del pubblico. Un declino dovuto all’avversione del regime fascista, che volle far sparire un tipo di teatro che aveva anticipato il neorealismo che sarebbe nato di lì a poco. Infatti, fin dal 1937 Nicola De Pirro, capo della Direzione generale del teatro, aveva escluso dagli aiuti statali il teatro dialettale, estromettendolo dalle piazze più importanti e dai teatri più popolari. 

Al declino contribuì anche l’abbandono di un pubblico che era ormai tendenzialmente borghese e non apprezzava più critiche ai ceti agiati e scene che facevano emergere le realtà delle miserie e del degrado, ormai non più funzionali alla propaganda di regime, che preferiva ignorarle e occultarle. Il drammaturgo è costretto quindi a difendersi dalle accuse di un giudice (interpretato da Massimo Peluso) e a difesa della sua innocenza propina aneddoti di vita e confessioni, ricorrendo alle performance tratte dal suo repertorio (bei momenti da one-man show per Mario Aterrano), che mette a nudo anche gli aspetti della sua eccentrica personalità. Poesie, canzoni e un buon accompagnamento dei musicisti Michele Bonè e Gennaro Esposito. Un successo sottolineato dagli applausi finali del pubblico che prospettano un futuro roseo per questo spettacolo che può esaltarsi ulteriormente con ottimizzazioni e perfezionamenti. Intanto si consegna a questa XIIIa edizione del Napoli Teatro Festival Italia 2020, come uno dei migliori spettacoli rappresentati.

Lo spettacolo è stato preceduto dalla presentazione in anteprima assoluta dell'opera dal titolo "Raffaele Viviani_διάλεκτος” (Raffaele Viviani Dialectos), da parte dello stesso autore Ivano La Montagna, che ha voluto sintetizzare su tela, quanto emerso dal contatto con la compagnia, individuando anche alcune affinità tra il drammaturgo, che cercava il suo teatro nella cruda realtà giornaliera e Caravaggio che quella realtà riusciva a riportarla su tela. Una epigrafe romana come richiamo ad Orazio, personaggio dell’epoca romana, ricorda Ivano La Montagna, che ha in comune con Viviani l’amore per la vita di campagna, la passione per la vita e il piacere. Diversi sono i simboli che richiamano il lavoro rappresentato sulla scena: una maschera e dei carciofi per ricordare Acerra terra amata da Viviani, la scena del vicolo, alcune galline come richiamo alla poesia ‘O vico e la figura di Viviani alla sbarra, nell’ideale processo che dovrà subire; quindi segni e presagi di morte per la sua vita spezzata troppo presto e riferimenti all’amata e alienata festa popolare di Piedigrotta.  

Nota del regista Corrado Ardone.
Verso la seconda metà degli anni Trenta lo strepitoso successo degli spettacoli della compagnia Viviani cominciava a scemare. Erano gli anni del regime rampante. Si è molto parlato dell'avversione del regime fascista e della lotta al dialetto, in realtà il teatro di Viviani, basato spesso sulla realistica rappresentazione della miseria, non era funzionale alla propaganda di regime. Ma fu soprattutto il pubblico, composto di nuovi ricchi, desideroso di grandeur e di rassicurazioni, a decretare l'ostracismo per un teatro che metteva scomodamente a nudo le realtà più drammatiche della convivenza umana. Con queste premesse, il nuovo pubblico borghese, infastidito dagli ‘stracci’, disertò le sale dove recitava. Lo accusavano di portare in giro le ‘vergogne d’Italia’.
Viviani ormai non faceva più gli incassi di una volta e quindi gli impresari lo relegarono sempre più in teatri periferici e secondari. L’autore si trovò a dover lottare per non far scomparire il suo teatro, che fin dal 1937 il fascismo, e per esso Nicola De Pirro, a capo della direzione generale del teatro, aveva deciso di squalificare culturalmente, cominciando a escluderlo dalle piazze più importanti e dai teatri più popolari. In seguito, il teatro dialettale venne escluso anche dagli aiuti statali. 

Tanti i meriti del grande drammaturgo, fra cui: l’intuizione del varietà, con l'utilizzo di attori che dovevano sapere recitare, cantare e ballare; la formazione di una compagnia d’arte stabile; la scrittura di drammaturgie in atti unici e due atti;  la creazione del personaggio di "Fifi Rino", stilizzazione marionettistica del "gagà" aristocratico e dannunziano, che da Gaspare Castagna a Palmieri e da Mongelluzzo a Gustavo De Marco, arriverà fino alle esibizioni di Nino Taranto e di Totò.

Processo a Viviani scritto e diretto da Corrado Ardone
Interpretato da Mario Aterrano, Massimo Peluso
Con M° Michele Bonè (chitarre, musiche e arrangiamenti), Gennaro Esposito (chitarre)
Musiche originali e fonica Peppe Bruno
Scenografia Peppe Zarbo
Luci Mario Maisto
 (Xelius)
Trucco e parrucco Renè Bonante (Fast Beauty)
Consulenza letteraria Maria Emilia Nardo
Grafica Ivano La Montagna
Foto Massimo Accarino, Pino Finizio
Costumi realizzati da Canzanella
Amministrazione Giuseppe Di Lauro
Produzione Thecult

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