NEL NOME DELLE PRIME VOCI con Maurizio Bettini, Daniele Ventre e la partecipazione straordinaria di Caterina Pontrandolfo
Per Napoli Teatro Festival Italia 2020 - Prima sezione Letteratura
- Progetto a cura di Silvio Perrella, coordinamento di Brigida
Corrado - 21 Luglio, ore 19.00 Capodimonte – Casino della Regina
Servizio di Rita Felerico
Napoli -
Capodimonte - “Ci sono lingue che
pullulano sotto la nostra lingua quando parliamo”; così Silvio Perrella inaugura
la sezione letteratura del Napoli Teatro Festival, guidandoci in una dimensione
di riflessione che vuole navigare nel prima di ogni definizione. “Prima: prima di io e prima di tu. Prima come anteriorità. Prima come rapporto con gli antenati, ma
anche con i primi forgiatori di linguaggio. Prima come i numeri primi.
Fondatori di lessici e sintassi. È pensando allo sterminato pullulare di acque
che viene dal prima che ho dato forma alla rassegna di quest’anno. Pensando al
contempo a una dimensione spazio-temporale che frantuma l’idea di una modernità
monolitica e sfocia nella moltitudine, nella pluralità, nella polifonia”.
E
con un canto ebraico, un lamento,
Caterina Pontrandolfo tocca con la sua splendida voce e tonalità le corde
profonde del nostro sentire, interrompendo il monotono ascolto dei suoni del
presente per abbracciare e unire questo tempo agli echi che affondano nei
primordiali archetipi dei sentimenti. Con altri brani in dialetto lucano, in
lingua etiope, algerini, ninne nanne, canti di lavoro, di dolore, di protesta, preghiere
intonati con passione, emozione e profonda immedesimazione, Caterina ci fa
sentire parte di quella comunità orale che è di tutta l’umanità, che abbraccia
a partire dal Mediterraneo tutte le lingue del mondo. Si contano ben 3500
lingue parlate nel globo, differenti l’una dall’altra e non conosciamo il
perché di tale differenza: una domanda che resterà probabilmente senza
risposta.
Ma è proprio
il canto di Caterina a dare fuoco, commentare e donare significato agli
interventi dei due ospiti, Maurizio
Bettini, classicista, antropologo, scrittore, direttore del Centro
“Antropologia e Mondo antico” dell’Università di Siena e Daniele Ventre filologo, poeta, traduttore di Omero, Virgilio ed
Euripide. “Nei luoghi selvaggi i merli balbettano la loro cantilena infantile,
nelle arcane solitudini gli usignoli lanciano a piena voce il canto
dell’adolescenza, presso fiumi reconditi i cigni ripetono l’inno della
vecchiaia”, scrive Maurizio Bettini in Voci.
Antropologia sonora del mondo antico (Einaudi 2008 e Il
Carroccio 2018). E sono proprio gli uccelli ad accompagnare con il loro
linguaggio gli spettatori, nella luce che prelude il tramonto in questa parte
del bosco di Capodimonte, anche se distanziati dal palcoscenico ombreggiato da una
grande magnolia. Quanti poeti hanno imparato dagli uccelli? Il prof. Bettini
ricorda il poeta greco Alcmane vissuto intorno al VII sec. a. c. il più antico
autore di poetica corale nei cui frammenti ci rimanda al canto delle pernici. Ma
molti sono i versi arcaici che mettono in relazione il canto degli uccelli con
la poesia e quindi la musicalità dei versi e per confermare questo assunto non
è mai morto, testimonia che nei primi anni ’30 del novecento si scoprì in una
zona dell’ Australia che il canto di alcuni uccelli lira avevano ritenuto nella
loro memoria segmenti sonori di canzoni ascoltate assiduamente per un certo
periodo della loro vita, segmenti che si tramandavano nel
loro linguaggio musicale.
Nella poesia antica la voce riveste un ruolo importante se non
primario, epos è ritmo – ricorda Daniele Ventre, voce e la voce è la struttura
delle cose , vocazione infinitizzazione ed è questo che la traduzione deve
porre in risalto e ha letto alcuni passi del poema omerico da lui tradotto :”Quando apparì mattutina l’Aurora che ha dita
di rosa/ ecco che allora ai compagni di nuovo imposi e ordinai/ s’imbarcassero
tutti, sciogliessero i cavi di poppa./ E s’imbarcarono svelti, s’assisero chini
sui remi;/postisi in fila, coi remi battevano l’onda canuta./Via navigammo di
là, più oltre, angosciati nel cuore...” da Omero, Odissea (traduzione e
cura di Daniele Ventre) (Mesogea 2014).
Si parte allora, nel
poetare, dal tentativo onomatopeico dell’imitazione di suoni che non
appartengono alla nostra lingua per raggiungere la scoperta di suoni che siano
e rappresentino il linguaggio del cuore, anche a questo serve la metrica. “Quando si fa poesia il discorso si deve
qualificare come diverso da quello che si pratica normalmente – ribadisce
Bettini – il poeta sceglie le sillabe,
postura il verso. Come diceva Paul Valèry, il poeta è un equilibrista”. Una
bella sfida quella lanciata da Silvio, che negli appuntamenti in programma invita
a scavare dentro il prima con tutti i
sensi e in ogni luogo, in compagnia di Giacomo Lubrano, Emily Dickinson, Maria
Grazia Calandrone, Leopardi, Vico e finanche nel sottosuolo, in compagnia di
Amedeo Maiuri.
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