NEL NOME DI GIAMBATTISTA VICO E GIACOMO LEOPARDI E I BUCHI NERI con Antonio Biasiucci, Mariafelicia De Laurentis, Fiorinda Li Vigni e la partecipazione straordinaria di Alfio Antico, in collaborazione con Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
Capodimonte – Casino Della Regina - 21
luglio Ore 19.00 - Per Napoli Teatro Festival
Italia 2020 – Prima - sezione Letteratura - Progetto a cura di Silvio
Perrella, coordinamento di Brigida Corrado, organizzazione Vesuvioteatro
Servizio di Rita Felerico
Napoli – Capodimonte, Casino della
Regina. Non si è parlato dei buchi neri per un improvviso impegno della prof.ssa
De Laurentis, la quale si è dovuta allontanare da Napoli. Ma dai ‘buchi’ che
ognuno custodisce nel cuore è iniziato il percorso dell’ultimo incontro della
sezione letteratura del Napoli Teatro Festival, intitolata appunto Nel nome di Giambattista Vico, Giacomo
Leopardi e i buchi neri. La pagina musicale di apertura con i ‘tamburi’ di Alfio
Antico è stata un magnifico inizio, direi un momento iniziatico, come ha
spiegato Alfio, che costruisce i suoi strumenti scegliendo e ‘lavorando’ pelle
di capra e capretti e cercando il legno
,in genere preso da oggetti da cucina dismessi, per disegnare e racchiudere la diversità dei suoni
.“ Il ritmo che ‘esce’ dagli strumenti
non è astratto, nasce da una ricordanza, viene da un prima; magari ci perdiamo
cercando il ritmo nei rumori,
battendo pietre, ma è il tamburo il
suono primitivo.
Da lì nasce la magia, senza un ragionamento; gli strumenti
sono lì, sanno che so suonare e mi aspettano”. Il musicista di Lentini,
vissuto per un lungo periodo a Napoli suonando con Musicanova, il gruppo di Teresa De Sio, Eugenio Bennato, Peppe
Barra, è uno dei pochi ad incarnare con istinto e furente passione una cultura
ancestrale che va perdendosi, custodita dalla sua esperienza di pastore, di
contadino in simbiosi con la terra e la natura. Un ‘patrimonio Unesco vivente ’,
l’ha definito una siciliana d’eccezione come Carmen Consoli; scrivono di lui: “E’ la musica che sorge dalle viscere della
terra, ordina il caos ed espelle le impurità. La natura parla e le cose prendono
il loro posto nel mondo. Prima del linguaggio la mano che danza sulla pelle del
tamburo compie il prodigio della nascita del suono, come la mano del fabbro
quando percuote il metallo o quella del pastore quando ritma il tempo della
festa e della veglia”.
E di un rapporto privilegiato con la natura parla Silvio Perrella - perfetto anfitrione –
anche quando dà la parola ad Antonio
Biasucci, definendolo fotografo di
terra. Non ha mai amato il mestiere del padre – fotografo in un paese del
casertano- confessa; ma dopo gli studi e la fuga dal paese verso Napoli, ha
voluto rivedere con la macchina fotografica il mondo che aveva contestato, il
mondo che si nascondeva dietro la realtà dei fatti. Silvio afferma che le foto
di Biasucci sono come costellazioni e
Biasucci rivela di applicare il modello teatrale appreso da Antonio Neiwiller
alla fotografia. I soggetti sono il risultato di un lavoro di laboratorio,
maturato nel pensiero durante i chilometri percorsi in bicicletta (Silvio
ricorda che anche Mantaigne creava in movimento, lui a cavallo, Antonio in bici)
o frutto dell’osservazione di alcuni riti contadini, come l’uccisione del maiale.
Costellazioni come ricordi che si allontanano da te ma che si incastonano nel
cielo della memoria. Anche per Biasucci
le immagini sono lì, che attendono di essere colte, come accade per i suoni di
Alfio. Ma i ricordi del passato, la sapienza tramandata cosa rappresentano per
due grandi uomini come Vico e Leopardi? È
Fiorinda Li Vigni - che Perrella
chiama in causa come cittadina che guarda
alla natura – a parlarci di architetture
della memoria, di speranza, di infanzia intesa come ‘ricordo antropologico
dell’uomo’, partendo dallo Zibaldone leopardiano. Con grande acutezza, nel suo
intervento / breve saggio, ci porta a collegare Leopardi con Camus, Proust e naturalmente
Vico a cui lo lega lo stesso pensiero riguardo all’origine poetica della
civiltà e all’esercizio dell’oblio.
Il sentimento che ‘si rannicchia’ nel
profondo viene smascherato da Vico e leopardi dallo ‘ scuotimento del cuore’
che crea ‘arazzi di alfabeti’ per comunicare poesia. Forse, conclude Silvio, questa sera abbiamo scritto un libro nell’aria, abbiamo lasciato aria,
certo, aria per respirare e vivere come
accade nella filastrocca della nonna
cantata da Alfio, che segna il ritmo della vendemmia, o come accade nel ‘frastuono / terremoto’ dei suoni finali dei suoi tamburrelli, suoni che
possiamo paragonare all’errore,
agli errori inaspettati delle armonie
nascoste, dove canta anche il corpo e, si sa , tutto è scritto sul corpo, anche
e soprattutto il prima.
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