"UNALAMPA" un’invettiva scritta e diretta da Roberto Azzurro
Da giovedì
20 a domenica 23 novembre 2014 al
Teatro Sannazaro
Centrale, poi, è il terzo canto, in cui
convergono tutte le parole e i versi dei grandi scrittori che hanno fatto
viaggiare Napoli nel mondo attraverso le loro opere di volta in volta teatrali,
letterarie, poetiche e meravigliosamente musicali. Per finire
nell’incendio/incubo/sogno, nell’auspicato martirio di liberazione, tra le
lacrime e il comico sberleffo che ritorna imprescindibile.
Questa volta UNALAMPA avrà due voci, due
urli che si intersecheranno, sovrapporranno, incroceranno, in un unico tornado
verbale, in una giostra impazzita e trascinante, in un delirio lucido e
furente.
Ci sono illustri predecessori che hanno al loro attivo prestigiose invettive, ci perdonino se ci infiliamo in punta di piedi – ma mica tanto – in un elenco di grande rilevanza, ma è irrinunciabile: è frutto di un giuramento, fatto una volta mentre ero imbottigliato nel traffico, a un incrocio, dove sono rimasto per circa un’ora e mezza – e non a Zurigo, chiaramente, ma a Napoli.
Certo, pensai una volta liberatomi da quell’imbuto ferroso dell’ingorgo automobilistico – imbuto vivacizzato da un’umanità bestemmiante e anch’essa inveente e in più brutta e grassa, (mi chiedo dove siano i bei napoletani e le belle napoletane di una volta) – certo, pensai, è una fortuna che sia da considerarsi obsoleto o improprio l’uso che estende il verbo inveire ad azioni di una violenza che travalica le parole per sfociare in animosità fisica, altrimenti è certo che quando pronuncerò l’ultima terribile battuta della mia invettiva – da napoletano – contro Napoli e i Napoletani, e che titolerò “Unalampa”, è certo che la suddetta UNALAMPA rischierà di finire in rissa. O in festa, chissà. Noi napoletani siamo sempre così imprevedibili.
Per molto tempo ho inseguito l’idea che
soltanto uno scandalo può far sì che qualcuno si accorga di noi – sempreché
abbiamo qualcosa di interessante e di irrinunciabile da mostrare –, si accorga di noi in termini eclatanti e
profondi: bisogna fare uno scandalo, di qualsiasi tipo, ma uno scandalo. Poi,
una bella mattina mi sono detto: lo scandalo non devo inventarlo, lo scandalo
esiste già: e si chiama Napoli.
Anche la miccia, utile e perfetta a
innescare il turbine, era pronta già, ed è ciò che mi capita continuamente
durante il giorno, mentre sono in auto nel traffico, o dal giornalaio, o in
fila alla posta, o al tabacchi per comprare un biglietto per l’autobus. Per
meglio dire, dalla reazione che io ho in seguito a quello che mi capita. Ecco,
il verbo che indica questo mio comportamento/atteggiamento è questo: inveire; la cui definizione è:
lanciarsi, avventarsi con furore verbale contro qualcuno o qualcosa,
investendolo con invettive, con rabbiose accuse giustificate o meno, parole di
fuoco, oppure aggredendolo con vituperi, con parole violente e offese
terribili.
L'unico dubbio che ancora sussiste,
stavolta, è se - in riferimento a questo progetto che nasce in solitaria e si
apre all'accoppiata (sì, accoppiata è perfetto) sia più giusta la parola sodale
o la parola complice, nel momento in cui bisogna immaginare che il progetto
"Unalampa" vede accostarsi all'invettore Roberto Azzurro il
poliedrico, novello invettore anch'egli, Fabio Brescia. Insieme, stavolta,
inveiscono, polemizzano, urlano, cantano, e si/ci divertono, correndo insieme
da una sponda all'altra di rabbie appassionate, di clamori sussurrati, di
esplosioni inevitabili, per raccontare, commentare, odiare, e poi amare, e poi
sfinire, e poi inveire, contro questo posto straordinariamente bello e
straordinariamente impossibile che fu chiamato Napoli.
Questa invettiva è divisa in sette canti.
Sette urli, sette dolori, sette anche comici sberleffi. Insomma sette momenti
di rabbiosa riflessione anche, punteggiati da musicalità note, da memorie
imprescindibili di una napoletanità onorata ma ormai vecchia e stantia, che si
crogiola e annega in una oleografia ormai soltanto nociva e deleteria. Ci sono illustri predecessori che hanno al loro attivo prestigiose invettive, ci perdonino se ci infiliamo in punta di piedi – ma mica tanto – in un elenco di grande rilevanza, ma è irrinunciabile: è frutto di un giuramento, fatto una volta mentre ero imbottigliato nel traffico, a un incrocio, dove sono rimasto per circa un’ora e mezza – e non a Zurigo, chiaramente, ma a Napoli.
Certo, pensai una volta liberatomi da quell’imbuto ferroso dell’ingorgo automobilistico – imbuto vivacizzato da un’umanità bestemmiante e anch’essa inveente e in più brutta e grassa, (mi chiedo dove siano i bei napoletani e le belle napoletane di una volta) – certo, pensai, è una fortuna che sia da considerarsi obsoleto o improprio l’uso che estende il verbo inveire ad azioni di una violenza che travalica le parole per sfociare in animosità fisica, altrimenti è certo che quando pronuncerò l’ultima terribile battuta della mia invettiva – da napoletano – contro Napoli e i Napoletani, e che titolerò “Unalampa”, è certo che la suddetta UNALAMPA rischierà di finire in rissa. O in festa, chissà. Noi napoletani siamo sempre così imprevedibili.
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