“PASCIA' - 'A nuttata ancora ha dda passà” di Peppe Lanzetta da un'idea di Gaetano Liguori. Regia Gaetano Liquori


Al teatro Augusteo di Napoli dal 21 al 30 novembre.

Servizio di Guerino Caccavale

Il confronto tra Bene e Male in una Napoli in cui muore il Sogno ma resta viva la Speranza di un futuro migliore.
Napoli. Una prima da Pascià e un trionfo meritato. Lo dimostra il quarto d'ora di applausi con cui, in piedi, il pubblico napoletano manifesta la propria soddisfazione per Pascià ('A nuttata ancora ha dda passà), in scena dal 21 al 30 novembre al Teatro Augusteo. Pensato da Gaetano Liguori (che ne cura anche la regia), Pascià è uno spettacolo, in prosa e musica, di Peppe Lanzetta e la collaborazione alla scrittura di Edoardo Guadagno, Rosario Minervini e dello stesso Liguori; le musiche e gli arrangiamenti sono di Antonello Cascione, Leonardo Barbareschi e Federico Salvatore.
Opera metroponapoletana che si occupa di temi secolari e problemi mai risolti in una Napoli sempre uguale a se stessa, un'affascinante signora bagnata dal mare e schiaffeggiata dai suoi stessi figli, si snoda attraverso un testo i cui protagonisti sono, da una parte, i giovani napoletani, quelli convinti che per stare al mondo bisogna esser "dritti" e quelli invece che vedono nell'onestà e nella "retta via" il percorso per un futuro migliore; dall'altra, gli adulti, oppressi dalla crisi, dal lavoro che non c'è più e dai debiti.

Tutto ciò è rappresentato dalle traversie economiche di due famiglie, i Sabatino (moglie e marito interpretati da Annamaria Toffanelli e Federico Salvatore) e i Guarracino (Caterina De Santis e Davide Ferri), e le vicende dei propri figli, uniti da un reciproco e sincero amore ed impersonati da Massimo Masiello e Francesca Marini. Nella famiglia dei Sabatino vive zio Pasquale, detto Pascià dai tempi degli Americani a Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale, un uomo che racconta sempre la stessa storiella riguardo alle Quattro Giornate di Napoli, che ha vissuto in prima persona e, per via di ciò, spesso è deriso e sbeffeggiato, nonché mal sopportato, da coloro a cui egli continuamente narra le vicende relative a quei giorni.

Ma zio Pascià è, nella rappresentazione, il simbolo della voglia di sognare ancora e di un passato che sta svanendo per sempre e che dovrebbe essere recuperato come esempio per i giovani d'oggi, troppo spesso avulsi al sacrificio e propensi ad ottenere il massimo con il minimo sforzo.

E poi c'è il Male, il Potere, l'Ilusione, raffigurati dal boss O' Pittbull (un ottimo Peppe Lanzetta) e da Santillo, il suo scagnozzo (Ciro Petrone), uomini senza scrupoli incapaci di non vivere disonestamente e pronti a compiere atrocità in nome del facile guadagno. Ad un certo punto il Male trascina con sé il figlio dei Sabatino, che resta così coinvolto in una situazione molto più grande di lui e trasporterà, fino ad un certo punto e come un domino impazzito, anche il Sabatino padre, uomo disperato per la perdita del lavoro e debole di carattere.

Fanno da sottofondo musicale a queste vicende le percussioni live di Ciccio Merolla, a tratti molto cupe, e le danze della Danceworksballet, composta da 8 brave ballerine; i costumi sono di Maria Grazia Nicotra, la scenografia è opera di Tonino Di Ronza e le luci do Mario Esposito.

Sul palco sembra vincere la ragione del più forte ma, in realtà, trionfa la speranza che la nuttata di Eduardo passi senza essere passivamente attesa ma con la coscienza che una certa mentalità, prepotente e onnipotente, sia definitivamente depurata da colpi di pistola funzionali solo allo squallido possesso di beni materiali.

Pascià è uno spettacolo corale, un mosaico di musica, poesia, disperazione, indifferenza, amore, passione e speranza in cui ognuno, tra attori e ballerini, recita molto bene la sua parte anche per merito di chi sta dietro le quinte: il frutto di tutto ciò è una rappresentazione piacevole, diversamente insolita e sicuramente da "esportare" al di fuori della scena napoletana.



 

 
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