“Francischiello – un Amleto Re di Napoli” di e con Carmine Borrino

 
al Nuovo Teatro Sancarluccio  dal 13 al 16 novembre.

 

Servizio di Marco Catizone

 

Napoli - “Essere o non essere”. Atavico è poi il dramma, diuturno ed imperituro, infelice soliloquio d’un Re minuto, perché sfatto, ed assai frusto, svilito, napoletano borbone d’Elsinore, da Shakespeare a Re Bomba, a compatirne testamento: lustri secolari, le gentes son catene, ombre derelitte che avvolgono gli spalti, le mura ad egida e proscenio; è sicuro, certo e di vulgata, che “c’è del marcio nelle Due Sicilie”, e Francesco-Amleto pasce, immalinconito e stracco, finchè gallo intona, triste e pallida litania, al chiarore d’una luna rosso garibaldino, mentre il tradimento è lemure che scuote le sete e gli arazzi, al freddo smorto d’un esilio marziale, sullo scoglio derelitto di Gaeta. Regno di Sicilia, 1860: “Francischiello- un Amleto Re di Napoli”, epigono vinto dei fumi e dei rovelli di quel dannato Bardo, un teschio a rimembrare tra le palme, il nesso che gli sfugge: defunse il padre, ‘o Re Bomba, Ferdinando, defunse la  sua ratio, per mano del fellone, ‘o traditore, il sabaudo Vittorio Emanuele e le sue trame, con l’ordito di Camillo Benso Conte di, fino al file rouge di Don Peppino Garibaldi, a doppio ricamo con Don Liborio Romano, per dipanamento e disinvolta pugnalata; e allora dove per il danese era inganno e malia, sarrà “scimità”, finzione e ingannamento, con Francischiello e la sua Ofelia-Maria Sofia, a vorticare nell’ hellzapoppin ciondolante di tragedia sospesa, il Gran Consiglio che abballa, i sabaudi che incalzano, Garibaldi che scalpita e i francesi che s’incazzano, e i napoletani…i napoletani dispersi nella fanghiglia mota ‘ngialluta, perché ‘a scimità del Re è velo dipinto per celare nudità e peso di corona lavica, posata sul capo non per scelta ma per destino; per dissimulare che il Regno si frange ‘ncopp’ ‘ o scuglione ‘e Gaeta, la tolda del vapore s’inabissa, ed un Reuccio, vero, tradito ed allibito in scena, batte gli animi come fossero denti, impugnando bandiera per ultimo canto di fierezza e regale baldanza, per essere libero almeno una volta. Una volta soltanto.

 “Tinto di rosso, il mattino attraversa la rugiada, che al suo suo passaggio pare sangue”: i versi del drammaturgo Heiner Muller riflettono il dramma, dell’umana ridonadanza è la nuda verità, che basta la menzogna vermiglia, una singola stilla per vendersi e comprare, a scardinare un Regno intero, e questo è quanto; Francischiello-Amleto ne farà le spese, ammainando infine la sua bandiera, uomo tra gli uomini, perdendo il trono, ma serbando la dignità, nel nome suo e di suo Padre, spettro inquieto a dilavare nell’oblio.

Perfetto Carmine Borrino nelle vesti del Re transfugo da sé stesso, circondato da ignavia e sospetto, infangato dalla Storia, perché dello sconfitto è il grave danno, del portare il doppio segno, di perdente e d’ingiuriato; perché per reggere le trame altrui devi tramare a tua volta, sguainando menzogna in luogo di durlindana, “To be or not to be”, ed è ipnotico flusso di pensieri a rincorrersi, nessuna prece per un sovrano che fallisce la vendetta, solo l’ironia di un destino che si fece beffe dell’uomo, cullandolo ebbro,a rimirare il giglio svilito dei Borboni, ricamato in petto.

Spettacolo invero da rivedersi ad libitum, Borrino innesta la marcia del cunto teatrale su quello della Storia, scorre ironica e dolente la sua drammaturgia sui fasti d’un passato che i più vorrebbero incatramato nell’impasse, sperduto nelle nebbie d’un conformismo progressista che tutto annacqua nell’indistinto: plauso sincero per un attore-autore che ha saputo innescare la scintilla del Bardo sulle polveri borboniche d’un Francischiello scarpettiano dall’umanità sofferta e dubbiosa, spirito inquieto che mai si adattò ai suoi anni menzogneri, figlio d’un tempo che non seppe capirlo, giudicandolo senza appello.

 

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