Stefano Accorsi e Marco Baliani in GIOCANDO CON ORLANDO
Al
Teatro Duse dal 21 al 23 febbraio
Bologna - Stefano Accorsi
e Marco Baliani, di nuovo insieme a
giocare con i versi dell'Ariosto, da venerdì 21 a domenica 23 febbraio al
Teatro Duse.
Attore, regista e drammaturgo, Marco Baliani ha trasformato i 38.746 versi dell’Orlando
Furioso e le donne,
i cavalier, l’arme, gli amori nel nuovo spettacolo “Giocando con Orlando”,
un’inedita ballata in ariostesche rime e una singolar tenzone per il
palcoscenico da condursi corpo a corpo, rima dopo rima con Stefano Accorsi.
Coincidenze, occasioni e imprevisti
hanno generato questa nuova avventura, che parte dal successo dell’edizione di “Furioso Orlando”
e raccoglie la necessità e la rinnovata sfida di provare a esplorare il testo
in una direzione ancor più radicale dove l’arte sublime del giullare e
dell’improvvisazione fa risuonare i corpi in scena attraversati da rime, versi,
suoni, rumori trasformandoli in uno e in tutti i personaggi e nei mostri e
nelle creature magiche del celebre ‘cantare’.
“Lo scorso luglio ero ad Asti –
racconta Baliani – per la regia della stagione estiva del “Furioso Orlando”, ma quel
giorno l'attrice – Nina Savary – non è riuscita a prendere l'aereo, le
scenografie non sono partite da Napoli e c'erano più di ottocento
prenotazioni…Il produttore Marco Balsamo e gli organizzatori erano disperati,
con Stefano Accorsi ci siamo messi a tavolino: siamo andati in scena così,
senza costumi e luci, improvvisando. Io, che non conoscevo a memoria il testo,
ho recitato le parti femminili e ho riprodotto con il suono della voce tutti i
rumori di scena. Lì è nata l’idea di creare una nuova messinscena, con soltanto
noi due attori in scena, tornando un po’ al fondamentalismo del mio “Kohlhaas”.
È un nuovo esperimento, una nuova tappa di lavoro.”
Stefano Accorsi sarà ancora il
paladino Orlando, ma anche il cantore che aggancia i vari episodi nel flusso
della storia, Marco Baliani sarà invece un fool, un regista in scena, pronto ad
essere spalla e comprimario, a tendere trappole e inventare strofe.
Lo spettacolo parte sempre dalle due
storie d’amore principali: il paladino Orlando che insegue la bella Angelica e
la guerriera cristiana Bradamante innamorata di Ruggiero, cavaliere saraceno
destinato alla conversione, per poi moltiplicare i personaggi, creandone altri
intorno, mostri compresi, per condurli a giocare sulla corrispondenza delle rime
infilate in un ritmo galoppante, con molta improvvisazione verbale, con rime
difficili da trovare, con gesti difficili da compiere.
Mimmo Paladino
con i suoi celebri cavalli, realizza la giostra per i duelli, gli amori, gli
scontri e gli incontri dei cavalieri che appaiono e scompaiono nel girotondo
che il gioco impone.
INCONTRO CON L’ATTORE: sabato 22
febbraio alle ore 18 Stefano Accorsi e Marco Baliani incontrano il pubblico
alla Biblioteca San Genesio della Casa Lyda Borelli (Via
Saragozza 236). Modera l’incontro il critico teatrale e giornalista Massimo
Marino. Ingresso libero fino a esaurimento posti.
Ma che c’entra Baliani con Accorsi?
Tutt’e due in scena, due attori così
diversi?
Ma il “Furioso Orlando” sono già
due stagioni che gira con Accorsi in scena e regia di Baliani. Che bisogno
c’era di farne una nuova versione? E’ la stessa frittata rivoltata per riempire
i teatri: perchè intanto va detto che il “Furioso Orlando” è stato un successo di pubblico
senza precedenti. Va bè e allora? Allora succede che dopo due anni ti accorgi
che quello che hai fatto era una scoperta interessante ma che si poteva fare di
più. Mentre seguivo Nina Savary e Stefano Accorsi nella loro evoluzione, e
vedevo la forza teatrale del repertorio, della ripetizione che genera nuove
idee, ecco che mi invitano al festival di Mantova a fare una maratona di
incursioni ariostesche insieme ad altri scrittori, registi, poeti, attori, il
tutto di notte, nelle stesse sale e giardini dove presumibilmente Ariosto
declamava il suo poema. Mentre noi, frammentati autori, dicevamo la nostra sul
poema e sulla di lui figura, c’era un nastro registrato di voci attorali che
interpretavano brani dell’opera. Erano insopportabili, un birignao di tromboni
che nulla facevano sentire del testo ma esprimevano solo la loro altisonante
tecnica vocale. Ho provato allora a immaginarmi Ludovico Ariosto tra quei
giardini e in quelle sale che declama il suo poema. Ma declamava poi? Come
raccontava le vicende, c’era musica, la faceva lui, era da solo? Come gli
nascevano i cambi di scena, l’abbandono di un filone per cercare una nuova
puntata recuperando un eroe dimenticato alcuni capitoli prima? Come decideva di
accorciare, tagliare, ricucire, stava attento alle risposte del suo pubblico,
provava prima di mettersi all’opera? Una grande invenzione linguistica si
accompagnava per la prima volta a una grande intelligenza scenica. Un romanzo a
fumetti, un compendio di future soap opere, un principio di foilleton. Sono
corbellerie queste? Forse sì, lo sono, ma da artista devo immaginare un corpo
in scena che dice parole e allora perchè non provare a rendere il poema ancor
più giullaresco, a farlo parente di quell’altro teatro che si svolgeva, appena
fuori da quelle corti, nelle stesse piazze, magari con guitti che citavano a
memoria gli stessi episodi, ma più rozzamente. Così ho voluto provare a
esplorare il testo in una direzione ancor più radicale. Il gioco del teatro nel
teatro è vecchio come il mondo, l’arte è saperlo condurre in un precario
equilibrio, a misura, senza intaccare mai la poesia del poema, senza deridere i
personaggi, senza distanza, ma con tutta la compassione amorosa dei guitti che
amano le loro creature perchè ci si identificano. Ci sarà dunque molta
fisicità, senza scene, senza illustrazioni di alcun tipo, ogni gesto parola
suono musica temporale, vento e accidenti vari sarà emesso da quei nostri due
corpi affannati e saltellanti. Il centro sarà sempre il tema dell’amore,
corrisposto e non, violento e non, tradito e non, con le due coppie di Orlando
e Angelica e Bradamante e Ruggiero, e noi due che entriamo e usciamo dai
personaggi, creandone altri intorno, mostri compresi, giocando, appunto, sulla
corrispondenza delle rime infilate in un ritmo galoppante, con molta
improvvisazione verbale, con rime difficili da trovare, con gesti difficili da
compiere. Saltando spazi e tempi con un semplice gioco di luci, o con un salto
in più su una pedana rialzata. Stefano sarà il cantore che aggancia i vari
episodi in un flusso più continuativo, io invece sarò un fool, a far da regista
in scena, a diventare spalla e comprimario, a tendere trappole e inventare
strofe. Ma ecco, che grazie a questo gioco, a questa ludica gioia teatrale, a
tratti apparirà, per intero, la passione dell’amore, distillata e resa
straziante, la forza dell’amicizia, in un attimo di commossa fratellanza, la
furia della gelosia in un esercizio distruttivo.
“Giocando con Orlando” sorprenderà lo spettatore, che, dopo
esser stato condotto al campo da gioco, alla giostra e alla helzapoppiniana
baraonda, si troverà all’improvviso di fronte a qualcosa di antico, i
sentimenti, avrà appena il tempo per sentirli e provare qualcosa che assomiglia
alla nostalgia, per poi essere trascinato di nuovo sulle montagne russe
dell’Ippogrifo volante o dell’Orca ruggente. Marco Baliani
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