AICHE’ NANA’ SENZA PATRIA
Servizio di Maddalena Caccavale Menza
Ho conosciuto Aichè
Nanà, la straniera dello spogliarello al Rugantino nel 1958, simbolo della Dolce Vita, una donna sanguigna e a
volte scomoda, perché era la mamma di una mia cara amica anche lei artista,
soprano e attrice che risponde al nome di Argia Sara Pastore. Forse, anche per
questo ho sentito il bisogno oggi che la vita l’ha lasciata a quasi 78 anni e
che l’ho salutata per l’ultima volta
qualche giorno fa all’Aurelia Hospital dove era ricoverata, di renderle omaggio con le parole che avevo
usato scrivendo la prefazione al suo libro Senza
patria, la storia della sua vita. Un film o una tragedia, purtroppo una
storia non ancora pubblicata come Aichè avrebbe voluto e che le avrebbe
finalmente permesso di essere capita dagli altri, quasi per la prima volta.
Si sente il profumo
di terre lontane, la sua fragranza e quasi il fruscio delle sete d’Oriente.
E poi la vita che
scorre palpitante di una giovane e bellissima attrice e ballerina armena che
finisce in un gioco più grande di lei ed è stritolata in un ingranaggio
perverso che la unisce per sempre (imprigionandola ) ad un episodio simbolo della Dolce Vita: lo
spogliarello, il suo seno nudo, la sua chioma corvina, la serata al Rugantino del 5 novembre
1958 è l’immagine che le rimane cucita
addosso e che non si può fare a meno di
associare alla sua figura, a quella magnifica ragazza dagli occhi di bragia e
dalla chioma leonina, il cui talento come ballerina ed attrice era tanto
indiscusso e indiscutibile da essere già una celebrità a soli diciotto anni
quando giunge in Italia,dopo essersi esibita
sui palcoscenici più prestigiosi non solo di Istanbul ma anche di Parigi.
Eppure è bastata una
sera in cui qualcuno le ha fatto bere o ingerire qualcosa di troppo, per
cristallizzare di se’ solo quell’immagine che nell’Italia di allora,
bacchettona e bigotta, fece scandalo tanto da arrecare a quella promettente
carriera un colpo terribile.
Dopo di allora, la
ragazza non è stata mai più quella di prima, ha dovuto pagare un prezzo
insopportabile per chiunque, per quell’ingenuità di ragazza giovane e straniera coinvolta ad
arte da persone smaliziate e senza scrupoli.
Era considerata un
“pericolo pubblico”, costretta ogni volta che si esibiva in giro per
l’Italia a recarsi in questura e ad
avere il “placet” dell’autorità ecclesiastica.
Però l’artista aveva
reagito, aveva lavorato come attrice in alcuni film importanti tra cui I nuovi
Mostri o nella Storia di Piera di Marco Ferreri, interprete anche di Enfantasme di Sergio Gobbi oltre che in
film di genere come Crisantemi per un
branco di carogne.
Aveva poi osato
addirittura aprire un teatro a Roma durante gli anni 70-80, il Piccolo dove “per l’unica volta aveva
avuto paura” cimentandosi non solo con testi leggeri ma con opere di
Shakespeare e tragedie greche. Poi, ad un certo punto, era stata costretta a chiuderlo.
A distanza di oltre cinquant’anni
da quella memorabile serata del Rugantino
che cambiò la sua vita, questa
meravigliosa artista ha deciso di dare
alle stampe la sua verità.
E per capire la sua
vita ci può servire la poesia che apre il suo racconto in cui lei si definisce
un pianta senza radici, un fiore dimenticato in un libro e dice che la può
capire soltanto chi è nato armeno in terra di Turchia.
A un certo punto
della vita, i ricordi premono forte nel desiderio di uscire. E così è nato
questo bel libro così sincero dove Aichè Nanà racconta la sua verità, il suo
calvario di armena in terra turca dove
il suo popolo è stato massacrato e il tutto è passato sotto silenzio, non solo
allora ma anche ai nostri giorni.
La sua vita di donna
senza patria , la sofferenza di sua madre
che ha visto morire la sorellina di soli quattro anni e che è rimasta a lungo
chiusa nel suo cuore, il suo desiderio di studiare e di diventare una brava
ballerina per essere amata, ammirata,
per cercare negli altri un riconoscimento delle sue qualità.
E poi il rapporto con
la madre che la seguiva come un’ombra per evitarle delusioni, le vicissitudini
divertenti e amare della sua vita di bambina chiusa in un collegio a diretto
contatto con le ipocrisie degli adulti, specialmente dei religiosi che più degli altri vivevano “nel culto del
dio Pluto”.
Una storia avvincente
come un romanzo che non è un romanzo, ma una storia di vita vissuta dove la sua
condizione di armena in Turchia le crea non poche difficoltà, che ha affrontato
con forza straordinaria ritenendo, a torto, che un’artista potesse sottrarsi al
gioco meschino della nazionalità.
Il tentativo di Aichè
Nanà di essere accettata come turca cambiando religione e cambiando nome si
rivelò solo un’illusione, non sarebbe mai stata come gli altri.
“Massacrando gli
Armeni i Turchi pensavano di fare giustizia a
Dio e chi li manovrava ne traeva
vantaggio
impadronendosi di tutti gli averi di questa gente, ricca per la maggior parte”.
Il calvario degli
Armeni, al contrario di quello degli ebrei,
è ancora ignoto ai più anche se adesso faticosamente si sta sollevando
il velo dell’oblio in Occidente tanto che gli stessi fratelli Taviani hanno
dedicato all’argomento un film, dal titolo La
masseria delle allodole, che tutti dovrebbero vedere per capire cosa ha
sofferto il popolo armeno che si è visto negato anche il diritto alla memoria.
Nel libro,
Nanà ricorda, ancora adesso, che
Federico Fellini, il grande
maestro di cinema (come tanti altri ) non sapeva chi fossero gli armeni e ,quando lei gli diceva, che ai tempi di
Nerone l’Armenia era un Impero non voleva crederci tanto da suggerirgli di documentarsi leggendo Quo vadis?.
E poi questa vita
errabonda che sembra veramente un film tanto che leggendo le pagine di questo
libro dalla prosa incisiva e coinvolgente sembra quasi di vedere questa ragazza
inquieta, mentalmente libera, un’anarchica, una ribelle nata, ma anche allo
stesso tempo , profondamente, irrimediabilmente assetata d’amore, quell’amore
che da un po’ anni ha riversato sulla figlia
e sugli animali randagi a cui si sentiva più vicina, quasi in sintonia.
E’ il ritratto di una
donna ,che ha vissuto e sofferto in prima persona tutte le sue scelte, quello
che emerge dal libro.
Il resto della sua
vita è stato coperto da un profondo velo
di amarezza e da una grande diffidenza verso tutto il genere umano con
l’eccezione della sua straordinaria figlia Argia Sara che ama teneramente,
anch’essa artista, cantante lirica, che ha voluto con forza questo libro e che
ringrazio sentitamente.
Aichè Nanà si è chiusa in se stessa in questi
ultimi anni, con i suoi animali: i suoi cani e gatti randagi che sanno
apprezzare il suo affetto e la sua dedizione più di tanti esseri umani, quasi
come una novella Anna Magnani.
Traspare però anche
tutta la carica delle passioni forti che hanno contrassegnato la sua vita:
quella per la dolce figlia Sara, che ancora si pente di aver affidato a sua
madre per inesperienza ,per paura di non saperla accudire a dovere, l’amore per
Sergio Pastore, il papà di Sara e bravo regista che l’ha difesa finchè ha potuto dagli attacchi che le venivano
rivolti, l’amore per l’arte, la sua capacità di cambiare ogni sera spettacolo
per suscitare sempre nello spettatore
un’emozione nuova.
Quella corrente
elettrica che l’univa al suo pubblico che ha sempre rispettato.
Il suo carattere irruento, la sua sincerità in
un mondo estremamente ipocrita non può non suscitare una grande simpatia, una
partecipazione al suo dramma esistenziale. La sua adesione alle dottrine
anarchiche, soprattutto nel periodo parigino quando si abbeverava alle idee
esistenzialiste rivoluzionarie di Jean Paul Sartre e trascorreva le notti lungo
la Senna a parlare di filosofia e di un futuro diverso con i grandi
intellettuali francesi a cui l’aveva avvicinata il suo amore di allora, un
giornalista armeno, affascinante e innamorato ma un po' spiantato come tutti
gli idealisti.
E infine il suo
arrivo in Italia, nel nostro paese dove giunge con un bel bagaglio di
celebrità.
Un’Italia molto
diversa, quella del 1958, dove una ragazza giovane e venuta da lontano, Aichè
Nanà, che aveva già tanto patito a causa della sua condizione di armena in
terra di Turchia è stata imprigionata in un ruolo, quello di spogliarellista,
da chi aveva già orchestrato la scena.
Si fanno nomi e
cognomi nel libro e si danno chiare motivazioni di ciò che è successo, della
tela che è stata tramata e in cui è rimasta impigliata la farfalla Nanà, un
nome che le ha dato la mamma ispirandosi al famoso romanzo di Emile Zola.
Nomi importanti, dei
protagonisti di quella che, per sempre, è rimasta nell’immaginario collettivo
come la dolce vita.
Ma, per Aichè Nanà, la
Vita da quel momento non è stata mai più Dolce.
6 febbraio 2014
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