REGINA MADRE di Manlio Santanelli - regia
Carlo Cerciello
Napoli Teatro Festival - Teatro
Nuovo di Napoli - dall’8 al 10 giugno
Servizio di Rita Felerico
Napoli
– Teatro Nuovo. Un grande letto sospeso fra cielo e terra che man mano, mentre
si snoda la trama del testo, viene circoscritto dagli stessi protagonisti da
sbarre di legno, a formare una culla/gabbia, uno spazio chiuso e quasi
soffocante – nonostante l’abbagliante bianco – sul quale o al di sotto del
quale si consuma uno dei rapporti più ambigui, quello fra una madre e un
figlio. Regina Madre è un testo che Manlio Santanelli ha già più volte visto
rappresentare a partire dal 1984, anno del suo esordio, ma questa edizione rivisitata
e curata dal regista Carlo Cerciello offre nuove prospettive di lettura,
afferma lo stesso autore, una diversa visione di quello che Eugène Ionesco
definì un classico del teatro contemporaneo, una versione, questa di Cerciello, accolta con successo dal pubblico del Napoli
Teatro Festival l’ 8 giugno al Teatro
Nuovo. Una splendida Imma Villa, sempre
bravissima a interpretare il linguaggio emotivo dei personaggi, un poliedrico Fausto Russo Alesi ben
immedesimato nelle ferite e nel dramma di Alfredo, il figlio, il quale in un colloquio serrato e finalmente senza
veli, rivela le paure, le angosce e gli incoffessati desideri che covano dentro
la sua sconfitta esistenziale. Vengono in mente le “situazioni limite “ di Karl
Jaspers e gli’esercizi’ fiosofici e psicologici attraverso i quali possiamo
aprirci alla possibilità di superare i nostri lati oscuri, le nostre ombre :
solo percorrendo tutte le strade
possibili, immaginando e vivendo interiormente tutte le situazioni senza
mentire a se stessi si possono aprire nuove prospettive per il nostro tempo di
vita, più libero da pregiudizi e oppressioni.
Si materializza nella lettura di Carlo
Cerciello anche la figura di Lisa, la
sorella più volte nominata nel testo originario dalla madre che, fino ad ora,
non aveva mai avuto una voce. Si inserisce nel dialogo madre/figlio a conferma
di un lessico familiare posto come
coazione a ripetere, un gioco al massacro ripetuto nel tempo, che non
scardinando i meccanismi / topos dei rapporti di relazione – l’incapacità di
crescere, la dimestichezza e il fascino della gestione del potere - portano i protagonisti a scandagliare se
stessi attraverso un gioco di parola che scorre sul filo della bugia, del
travestimento, dello smascheramento intuito, disatteso, rivelato. Due simbolici
manichini al lato del grande letto, un Pinocchio ed una Fata Turchina, rimandano alla fatica dell’essere umani,
all’atteggiamento spavaldo e rituale del burattino nazionale che tanto nasconde
e narra la situazione dell’oggi. Bisogna “uccidere la Madre” e ribaltare il
concetto freudiano o è meglio porsi
nell’ottica di ripensare ad un diverso concetto di ‘grande madre’? E’ probabile
che sia più ‘utile’ superare la lettura
tradizionale che ne ha fatto soprattutto la storia del pensiero
occidentale, relegandola nei
confini della contraddittoria immagine materna donatrice di vita e di morte.
Platone
insegna. Il nostro destino è nella caverna , una caverna- corpo dalla quale liberarci e
nella quale ritornare per liberare chi ne è rimasto imbrigliato. Questa è una
delle funzioni del teatro.
con
Fausto Russo Alesi e Imma Villa
regia
Carlo Cerciello
scene
Roberto Crea
costumi
Daniela Ciancio
musiche
Paolo Coletta-
©Riproduzione
riservata
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