CONVIVIO DRAMMATURGIA – DOMENICA, 17 GIUGNO, CORTILE PALAZZO REALE DI NAPOLI

Di Antonio Tedesco



La drammaturgia è materia viva del teatro. Le forme e i modi in cui viene espressa sono il segno dei tempi. L’immagine che il teatro dà dell’epoca e del luogo in cui si manifesta. È naturale, quindi, che un incontro-dibattito sulla drammaturgia possa andare oltre gli specifici tecnicismi e trasformarsi in un confronto sul teatro tout-court in un momento in cui la pratica teatrale deve confrontarsi con una realtà complessa e contraddittoria, nella quale i mezzi e le modalità di comunicazione evolvono a velocità esponenziale e il contesto in cui il teatro stesso si inserisce diviene sempre più inafferrabile e dispersivo. Con questa difficile realtà si sono, dunque, misurati i partecipanti all’incontro denominato “Convivio sulla drammaturgia”, avvenuto nel Cortile del Palazzo Reale di Napoli, domenica 17 giugno, nell’ambito del “Mercato dell’Arte e della Civiltà”, manifestazione inserita nel programma del Napoli Teatro Festival Italia, e organizzata sulla base di un progetto di Davide Sacco che comprendeva, tra l’altro, la Mostra “Essere all’Avanguardia”, sul teatro a Napoli tra il ’75 e il ’95, a cura di Ilaria Ceci, oltre a varie altre esposizioni e installazioni, che hanno visto la partecipazione di artisti e gruppi teatrali e che hanno fatto da cornice a momenti di dibattito dedicati uno, alla drammaturgia, appunto, in mattinata, alle ore 12,00 e il secondo, nel tardo pomeriggio, incentrato sulle pratiche della produzione, con il titolo “Costruire il Teatro”.
Il discorso sulla drammaturgia, cui hanno partecipato autori e registi tra i più significativi della scena italiana e napoletana contemporanea, si è articolato come detto, a vari livelli, ribadendo problematiche già note, ma riproponendole sotto punti di vista nuovi e prospettive diverse. A cominciare dall’introduzione del moderatore, Gian Maria Cervo (drammaturgo e direttore artistico di vari festival e manifestazioni), che, ricollegandosi alla detta Mostra sull’Avanguardia Teatrale a Napoli, è partito da una riflessione sulla Nuova Drammaturgia, per sottolineare come abbia segnato una trasformazione nella tradizione teatrale napoletana, inaugurando nuove modalità di scrittura che ibridano la lingua pur riaffermandone, in maniera forse più decisa, la potenza espressiva, segnando però una netta frattura tra un “prima” e un “dopo”(il “Dopo Eduardo”, appunto come è stata definito in una famosa pubblicazione di Luciana Libero, che presentava alcuni dei testi e degli autori più significativi di questa fase, libro di recente ripreso e aggiornato alle nuove realtà, per l’editore Apeiron, dalla stessa autrice).
Una drammaturgia complessa, composta da numerose componenti, non solo testuali, ma anche musicali, come ha sottolineato Paolo Coletta (compositore, regista, commediografo e attore) che rivendica a pieno diritto il riconoscimento di una drammaturgia sonora, una vera e propria interpretazione musicale del testo, a suo parere non abbastanza considerata e valorizzata come invece dovrebbe essere quella che è, a tutti gli effetti, una componente essenziale di ogni messa in scena teatrale.
Si riallaccia al concetto di “Dopo-Eduardo” anche Manlio Santanelli, uno dei massimi drammaturghi contemporanei, per ribadire quella frattura da un certo tipo di tradizione cui già aveva accennato Cervo nella sua introduzione. Santanelli rivendica per la drammaturgia sua, e degli autori affermatisi come lui a cavallo degli anni ‘70 e ’80 (Moscato, Ruccello, Silvestri), una diversità nell’immaginario, nelle tematiche trattate, negli strumenti espressivi utilizzati, nella sperimentazione che si è fatta intorno alla parola. In pratica, di una complessiva innovazione del discorso teatrale attraverso anche un allargamento degli orizzonti, per cui si può parlare di una vera e propria europeizzazione, avvenuta in quegli anni, della drammaturgia napoletana.
Tonino Di Ronza, docente dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, ricorda come, nei decenni presi in considerazione, siano sorte anche pratiche drammaturgiche inusuali per contenuti e forme, riferendosi, in particolare al ciclo di allestimenti per Museum, che sotto la guida di Renato Carpentieri e Lello Serao, ha visto mettere in scena brani di opere letterarie di grandi autori, in qualche caso anche poco frequentati e ricordati, utilizzando come location ambienti museali. Una felice combinazione in grado di dare nuova vita a strutture spesso statiche, quali quelle di certa letteratura classica e delle esposizioni di opere d’arte  nei musei. Di Ronza ricorda anche il contributo importantissimo degli allievi dell’Accademia nell’allestimento degli spazi museali trasformati in spazi scenici.
Nel suo intervento, invece, Carlo Cerciello, regista e animatore del piccolo e vitale spazio del Teatro Elicantropo, parte dal problema della drammaturgia per allargare il campo al più generale disagio che investe oggi il mondo teatrale, non solo napoletano. Nella sua funzione di regista parla della difficoltà oggettiva di scegliere un autore da portare in scena. I margini di libertà sono molto più stretti di quanto si possa comunemente credere. I condizionamenti che vengono dalla produzione, e soprattutto dalla distribuzione, sono enormi. Gli spazi per sperimentare o mettere in scena testi nuovi, anche, a volte, se di autori già conosciuti, sono pochi. Si preferisce andare sul sicuro, riproporre il già noto. E questo porta inevitabilmente a discorsi che investono le strutture istituzionali, che soffocano invece di stimolare, ai limiti imposti dalla nuova legge, ad un “ambiente” complessivo che tende ad appiattire e banalizzare i gusti e le aspettative del pubblico piuttosto che incoraggiare lo sviluppo di una vera e progressiva cultura teatrale. Discorso a cui si è agganciato l’intervento di Peppe Lanzetta, attore, regista e scrittore, riportandolo alla sua esperienza personale di eterno outsider, di persona e di artista che difficilmente trova collocazione in un sistema strutturato sulla base di un’estrema burocratizzazione, dove l’arte e l’estro del singolo sono considerati poco più (o poco meno) di un optional.
In conclusione l’intervento di Gabriele Russo, del teatro Bellini di Napoli, pone l’accento sul fatto che la grande ricchezza drammaturgica della città non trovi spazi per esprimersi con sufficiente libertà e tempi di diffusione. Riportando il discorso sulle emergenze strutturali, lamenta come sia di fatto breve la vita di molti allestimenti, ridotta dal progressivo restringersi delle possibilità di circolazione di cui soffre (ancora la nuova legge) il teatro contemporaneo. Tutto questo contribuisce, oltretutto, a rendere ancor più difficile e precaria la condizione degli attori, le cui scritture, in molti casi si esauriscono in un tempo limitato, anche poche settimane o un mese, molto lontano da quelle che abbracciavano le intere stagioni di una volta. Auspicando, a questo punto, Gabriele Russo, una sorta di resistenza comune, una coesione, determinata e compatta, di tutta la comunità teatrale.
In definitiva ciò che è emerso, oltre al sempre salutare e necessario confronto di idee, è una volontà, anche se molto provata, di non dare per scontato l’anomalia e il guasto. Di non rassegnarsi alla filosofia del “così deve andare”. Di non soccombere, finché si può, ad un “sistema-teatro” che, oggi più che mai, è diventato lo specchio fedele di un “sistema-mondo”.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenti