“In quelle tenebre - La verità è un intreccio di voci”

 Al Festil di Udine il caso di Franz Stangl, comandante di un campo di streminio, e il suo incontro con la giornalista Gitta Sereny. A teatro per la regia di Rosario Tedesco


di Andrea Fiorillo


Ha debuttato in prima assoluta, venerd
ì 9 luglio 2021 a Udine, per la sesta edizione di FESTIL_Festival estivo del Litorale, In quelle tenebre La verità è un intreccio di voci, psicobiografia di Franz Stangl, comandante dei campi di sterminio di Sobibór e Treblinka (Polonia), che prestò servizio in Italia a Udine e Trieste, presso la Risiera di San Sabba, per poi essere arrestato nel 1967 e rinchiuso a Düsseldorf, in Germania. È qui che la giornalista Gitta Sereny lo intervistò, nel 1971, in un colloquio di 70 ore, avvenuto nella cella in cui stava scontando lergastolo. Attraverso il linguaggio immediato della frontalità, gli interpreti Nicola Bortolotti e Rosario Tedesco, che si occupa anche della regia, lanciano dal palco domande potenti, che ripercorrono una storia che non potrà mai essere dimenticata.

Rosario Tedesco, da dove è partita lidea di raccontare il caso di Franz Stangl ed il suo incontro con la giornalista Gitta Sereny?
Questa è una storia che comincia da lontano e per casualità. Nel 2005 ho scoperto, per caso, poiché cercavo ben altro, in una libreria di Torino, “Il vicario” di Rolf Hochhuth, testo che mette al centro del racconto due protagonisti giovanissimi: un soldato tedesco (Kurt Gertstein, realmente esistito), e un prete italiano (Padre Riccardo Fontana, figura di fantasia ispirata a Padre Maximilian Kolbe). Questi due ragazzi, mentre lEuropa brucia divorata dalle fiamme del nazi-fascismo, comprendono che essere uomini non significa portare una divisa, ma farsi carico delle responsabilità del proprio tempo. Il vero vicario del titolo, oltre naturalmente a Pio XII, sono loro. E di conseguenza, siamo noi.
Da quel momento il tema della responsabilità è diventato centrale nella mia ricerca. I fisici di Dürrenmatt; “Destinatario sconosciutodi K. Kressmann-Taylor; Infanzia berlinese” di Walter Benjamin; In quelle tenebre - La verità è un intreccio di vocidi Gitta Sereny; Due dentro ad un foco - Storie di pietradi Rosario Tedesco; con questi spettacoli ho intrapreso un percorso teatrale, che ancora mi conduce attraverso le pieghe e le domande della Storia.
Altrettanto per caso è avvenuta la scoperta del testo di Gitta Sereny. Una sera a cena, unamica ebrea askenazita, che ancora ringrazio per il suggerimento prezioso, conoscendo il mio lavoro, mi ha detto che avrei dovuto leggere In quelle tenebre. E così, dalla mattina dopo, questo straordinario testo maccompagna.
 
La giornalista non prova a spiegare, però sente lesigenza di portare a conoscenza dei lettori lefficienza di una macchina mortale. Come sei riuscito a rendere quelle parole, così drammaticamente violente e allo stesso tempo razionali ma inspiegabili, una messinscena?
Ho letto e riletto il libro della Sereny molte volte; e il mio lavoro sul testo non si chiude mai, ma si continua ad evolvere con e grazie alle repliche. Allinizio di questo lungo processo, pensavo a qualcosa che mettesse in scena il rapporto tra la Sereny e Stangl, ma questa strada benché interessante, mi lasciava insoddisfatto. 
Nel frattempo altre esperienze nel campo della memoria, e del lavoro sulla memoria, mi hanno fatto scoprire una via diversa.
Ad un tratto mi è stato chiaro che la funzione della Sereny è quella di colei che interroga il mistero assoluto della nostra contemporaneità: Auschwitz.
Gitta Sereny è colei che pone domande. Come in una tragedia greca, il messaggero è l’unico che ha visto la morte di Antigone, ed è riuscito a tornare indietro e a trovare le parole per raccontarcelo. Così fa la Sereny: si confronta con il mistero assoluto, la tenebra. E riesce a tornare indietro e a trovare le parole per condividerlo con noi. Nel tempo che viviamo, oggi, ho subito pensato che Gitta Sereny, dovessimo essere noi: cittadini, spettatori, partecipanti attivi del nostro presente. Per questo ho scelto 10 domande di Gitta e le ho chiuse in 10 buste colorate per darle direttamente al pubblico, per far sì che fossero, loro, i partecipanti, ad interrogare direttamente il mistero e a condividere quelle domande che da sempre ci tormentano: Perché? come è stato possibile? E se ci fosse stata sua madre, sua moglie o sua figlia al loro posto? E soprattutto, una domanda per noi: Quando i nostri figli inizieranno a porre domande sul nostro presente (il loro passato), avremo, noi, il coraggio di raccontare loro la verità?

Una denuncia che ancora oggi ha valore di memoria necessaria, visti i tempi.
Da “Il vicario” ad oggi, continua ad evolversi il senso di ciò che porto in scena e del perché lo faccio. Ad un primo momento di raccolta delle fonti, di studio dei materiali, è seguito anche un momento più introspettivo: io racconto queste storie per ricordare e fare memoria, sì, senza dubbio. E lo faccio anche perché credo che se il passato è uno strappo, una ferita ancora aperta, allora solo mettendo piede nel passato, conoscendolo, e mettendoci mano per riparare quello strappo, quella ferita, conosceremo noi stessi.
L’azione di raccontare diventa unazione di conoscenza, senzaltro, ma è una conoscenza che agisce non solo nei confronti del passato, bensì tanto più nei riguardi di noi stessi e del nostro presente.
La mediocrità del male che dà concretezza allorrore. Quanto il teatro può essere ponte tra noi e quelle tenebre che danno il titolo al libro e al vostro spettacolo?
Un attore sa bene che Io è un altrocome scrive il poeta Rimbaud. 
Solo nei panni di un altro, conosco me stesso.
E la cosa davvero ricca di mistero, nello spazio condiviso del teatro, è che in quel preciso spazio, durante quel tempo fluttuante, davanti a quelle vicende, noi ci conosciamo l’un l’altro come una comunità.
Lo specchio che il palco ci offre, svela chi siamo individualmente e collettivamente. Una cosa che solo il teatro riesce a fare.
A patto che lo straniero per eccellenza, l’attore, prenda la storia di un gruppo di una comunità per farla propria e raccontarla di nuovo con parole nuove.
A patto che Io sia un altro, il teatro può illuminare le tenebre che ci circondano.
Quel ponte gettato tra noi e le tenebre può essere distrutto o attraversato. Credo che dipenda solo da noi.



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