“SPACCANAPOLI TIMES” - Testo e regia di Ruggero Cappuccio


 Al Teatro San Ferdinando di Napoli dal 4 al 22 novembre

 

Servizio di Antonio Tedesco

 

Napoli -  Elogio della follia? O presa d'atto dell'impossibilità di (non) essere folli? Queste ci sono parse le domande di fondo poste da Spaccanapoli Times che sarà in scena al Teatro San Ferdinando fino al 22 novembre, e di cui Ruggero Cappuccio è autore e regista, oltre che interprete. Quattro fratelli, due maschi e due femmine, si ritrovano nella vecchia casa di famiglia nel cuore di Napoli. Il motivo per cui uno di loro, Giuseppe, ha convocato gli altri appare dapprima misterioso. I quattro, del resto, presentano ognuno stranezze e fobie molto particolari, e il loro modo di relazionarsi sembra subordinato a codici misteriosi che risalgono all'infanzia e alla giovinezza trascorse proprio in quella  casa. Su questi presupposti si sviluppa una messa in scena che abbraccia senza riserve la cifra del grottesco e del surreale, e non teme di servirsi del buffo e del nonsense per affrontare tematiche tutt'altro che banali e che, sostanzialmente, riguardano il disagio del vivere in un contesto sociale che sembra risucchiato da un vortice di frenesia tecnologica e consumistica dove poco spazio resta per affermare, o solo considerare, la dimensione umana di ogni singolo individuo. I quattro fratelli si muovono sulla scena come seguendo linee soggettive che si incrociano senza mai incontrarsi veramente. Sopraffatti dalle rispettive solitudini, come personaggi di Beckett, rivisti però alla luce di Petito e della grande tradizione del teatro napoletano.  Tenacemente attaccati ad un mondo che non esiste più, sono anche un inno alla decadenza, e alla sua residua nobiltà, che si  manifesta attraverso sfalsamenti dello spazio e del tempo (i rispettivi orologi segnano sempre ore contrastanti, il senso delle distanze è molto soggettivo) a dichiarare la radicale impossibilità di essere in sintonia con il mondo esterno. Forse come la stessa Napoli, nel cui centro storico l'azione è ambientata, e che più volte viene richiamata nella sua topografia e nei suoi (dolorosi) mutamenti socio-ambientali. Città “decadente” per eccellenza, ma che proprio in questa dimensione trova il segno forte del suo carattere e la sua universale riconoscibilità.

Ma purtroppo, per i quattro fratelli Acquaviva (questo il cognome di famiglia) e per Napoli, anche la follia non è più quella di un tempo, e i veri folli non hanno altra scelta che fingere per essere ritenuti tali. Così nel finale, l'incontro-scontro con lo psichiatra della ASL che deve decidere sulle loro pensioni di invalidità (era questo il vero motivo della riunione) si trasforma in un'ulteriore finzione che finisce con lo svuotare i quattro fratelli di ogni residua vitalità. Restituendoli pienamente a quella che è forse la loro funzione originaria di fantasmi, ectoplasmi residuali di un'altra epoca, che nemmeno la follia, voluta o patologica che fosse, è più in grado di conciliare con il presente. E dunque, è una morte in scena quella con cui la piece si conclude, si direbbe in maniera quasi inevitabile. Cappuccio ritrova in questo lavoro, seppur in una rinnovata chiave brillante e divertita, certi temi che erano alla base dei suoi primi testi, in special modo Delirio marginale (Premio IDI 1993), dove l'autenticità dell'ispirazione riesce ad essere molto personale e ad assumere, allo stesso tempo, risonanze universali. Ma grande merito per la godibilità di questo lavoro va anche agli attori alle prese con ruoli che lasciano ampio spazio all'estro e alla creatività recitativa. Gea Martire, Giovanni Esposito, Marina Sorrenti e lo stesso Cappuccio, che si è messo in gioco anche nella recitazione, impersonano in maniera esemplare i componenti di questa squinternata famiglia distinguendosi sia nel “gioco di squadra” che negli applauditi “a solo”. Altrettanto efficaci nei loro ruoli, Giulio Cancelli, un apparentemente normale spasimante di una delle sorelle e Ciro Damiano, psichiatra della ASL non meno disturbato dei suoi pazienti. Il tutto nella cornice della bella scenografia di Nicola Rubertelli (pareti fatte di bottiglie di plastica vuote, come ad avvolgere gli Acquaviva nel loro stesso elemento – liquido – naturale) e impreziosito dai fantasiosi e raffinati costumi di Carlo Poggioli. Molto gradimento e lunghi applausi da parte del pubblico della “prima”.

 

 

 

 © RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenti