I 20 anni del Teatro Elicantropo nel libro di Maresa Galli

Servizio di Gabriella Galbiati

 

E’ stato recentemente pubblicato da Guida Editori Elicantropo 20 anni tra sperimentazione e memoria  della giornalista e critica teatrale Maresa Galli. Un testo curato con amore e dovizia di particolari e dedicato al grande traguardo raggiunto dallo spazio teatrale di vico Gerolomini soprattutto grazie alla grande passione che ha animato in questi anni Carlo Cerciello, attore e regista, insieme a Imma Villa, attrice, e Pierpaolo Roselli che nel 1996 lo fondarono.


Maresa Galli ha il merito di raccontare la vita, gli aneddoti, gli spettacoli dell’Elicantropo immettendoli in un’ottica europea e non solo locale e arricchendo l’ opera di contributi fondamentali: in primis i ricordi e le storie di coloro che hanno vissuto e vivono tuttora questa sala teatrale che ha da sempre un fascino speciale sugli addetti ai lavori e sul pubblico. 

 
Maresa Galli, quando è stata la prima volta che è andata al Teatro Elicantropo e che ricordo ha di quest'esperienza?
La prima volta che misi piede al Teatro Elicantropo fu proprio vent’anni fa, nel ’96, e assistei al primo spettacolo che Carlo Cerciello pensò proprio per quello spazio, La Scandalosa, che rivelò la bravura di Cerciello regista e due strepitosi protagonisti: Imma Villa, cofondatrice del Teatro con Cerciello e con Pierpaolo Roselli, e Paolo Coletta, attore, regista, autore e musicista. Ne rimasi assolutamente affascinata e ne diedi ampia recensione sul quotidiano Il Roma con il quale collaboravo. Da allora non ho più smesso per una sorta di “coazione a ripetere” positiva: non potevo più farne a meno. Tanti preziosi lavori presentati all’Elicantropo da compagnie, giovani che sarebbero diventati famosi, tanti classici e insieme lavori contemporanei, sempre di livello.
 
C'è una loro produzione a cui lei è particolarmente affezionata?
A parte proprio La Scandalosa certamente Il Contagio, lavoro per l’adattamento e la regia di Carlo Cerciello, tratto da Cecità, il celebre romanzo di Josè Saramago, presente alla Prima Nazionale assoluta nel ‘98. Una scenografia claustrofobica, a rappresentare l’ex manicomio con gli internati, un cast strepitoso, una regia perfetta e una partecipazione commossa dei partecipanti condivisa con il compianto Premio Nobel. Non si poteva rappresentare meglio la crudeltà umana, la perdita di senso, di solidarietà, direi di umanità: eppure Saramago chiese a Cerciello di lasciare al pubblico l’ottimismo della speranza: la luce, la vista, la condivisione sono (forse) ancora possibili…

Da che punto di vista racconta i 20 anni dello spazio di vico Gerolomini?
Attraverso le preziose testimonianze di Enzo Moscato, Manlio Santanelli, dei critici Giulio Baffi, Angela Matassa, Stefano de Stefano, degli attori Imma Villa, Paolo Coletta, Roberto Azzurro, degli ex allievi del Laboratorio Teatrale Permanente e naturalmente di Cerciello. Ho curato la critica degli spettacoli più importanti presentati in questi vent’anni. Il libro è corredato di locandine e belle foto di scena a colori e di articoli pubblicati su quotidiani e periodici nazionali. Importante la prefazione del saggio a cura di Francesco de Cristofaro, professore di Letterature comparate dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, Tempo pessimo per pensare.

Per lei cosa rende speciale questo teatro e perché consiglieresti al pubblico (giovane e meno giovane) di frequentarlo?
L’Elicantropo è speciale perché coinvolge tutti, ad ogni spettacolo, in una vera e propria magia: uno spazio piccolissimo che si dilata all’infinito mediante il lavoro straordinario di tutti, dal regista al tecnico delle luci. Strepitoso, ad esempio, è stato il più recente Scannasurice di Enzo Moscato per la regia di Cerciello, con una straordinaria Imma Villa, lavoro pluripremiato: le scene costruite da Roberto Crea e nelle quali la protagonista si è mossa con la maestria di un’atleta sono state pazzesche, oltre ogni immaginazione!

Ed è un teatro speciale perché forma i giovani del Laboratorio Teatrale Permanente: ad essere critici, a saper fare gioco di squadra e non vuoto esercizio narcisistico, ad essere preparati alle sfide della vita. Ogni anno escono dal laboratorio neoartisti e addetti ai lavori preparati e motivati che creano proprie compagnie, scrivono lavori teatrali, veri professionisti. E questo è sicuramente il frutto migliore dell’Elicantropo.

Questo 20ennale vede da un lato il riconoscimento da parte del pubblico e della critica (con il premio come miglior spettacolo) a Scannasurice e dall'altro la cancellazione del Teatro Elicantropo dai teatri degni di finanziamento pubblico. 

Secondo lei come si è potuto verificare un tale paradosso?
Il paradosso rientra in una logica più ampia che riguarda la concezione dei beni culturali. Data la ristrettezza dei fondi pubblici le scelte più che artistiche diventano puramente politiche e finanziarie. Il teatro non potrà mai essere fatto di soli numeri e le logiche attuali portano alla costruzione di cartelloni “gastronomici” con nomi alla moda, personaggi televisivi che poco hanno a che fare con il teatro, commedie arcinote. Chi rischia proponendo lavori di qualità lo deve fare sulla propria pelle. Davvero un orribile paradosso perché dai teatri, dai luoghi deputati alla cultura deve alzarsi una voce critica prima che le utopie preconizzate dai grandi scrittori superino la realtà.

 
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