“SOGNO DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE” - di Ruggero Cappuccio, liberamente ispirato all'opera di William Shakespeare –
Con Isa Danieli e Lello
Arena
Regia di Claudio Di Palma
Servizio
di Antonio
Tedesco
Napoli - C'è un filo conduttore sottile, eppure evidente, tra Spaccanapoli Times, il testo di Ruggero Cappuccio visto qualche mese fa, e questo Sogno di una notte di mezza estate, dello stesso autore che, presentato dall'Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro, per la regia di Claudio Di Palma, è in scena in questi giorni al Teatro San Ferdinando.
Un fil rouge che attraversa buona parte della drammaturgia dell'autore, almeno quella, forse, più legata alla sua esperienza autobiografica, a partire dagli esordi di Delirio marginale. Qualcosa che si ricollega ai luoghi della memoria, a un mondo perduto, e che simbolicamente si identifica in antiche case padronali, situate in vecchi palazzi, un tempo nobili, e ormai fatiscenti, luoghi dove l'antico splendore si può, ormai, solo intuire. Generando, al di là dei risvolti anche comici e grotteschi che pur in entrambi i testi sono presenti, un sentimento di struggente e sofferta nostalgia. Come per “Spaccanapoli”, anche in questo “Sogno”, la vecchia casa nell'antico palazzo situato nel cuore di una Napoli da cui arrivano echi di una tradizione culturale che mostra anch'essa, per molti versi, evidenti segni di fatiscenza, ha un ruolo centrale. E la stessa scenografia, di Luigi Ferrigno, presenta rimandi evidenti al precedente spettacolo.
Regia di Claudio Di Palma
Al
Teatro San Ferdinando di Napoli dal 10 al 21 febbraio
Napoli - C'è un filo conduttore sottile, eppure evidente, tra Spaccanapoli Times, il testo di Ruggero Cappuccio visto qualche mese fa, e questo Sogno di una notte di mezza estate, dello stesso autore che, presentato dall'Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro, per la regia di Claudio Di Palma, è in scena in questi giorni al Teatro San Ferdinando.
Un fil rouge che attraversa buona parte della drammaturgia dell'autore, almeno quella, forse, più legata alla sua esperienza autobiografica, a partire dagli esordi di Delirio marginale. Qualcosa che si ricollega ai luoghi della memoria, a un mondo perduto, e che simbolicamente si identifica in antiche case padronali, situate in vecchi palazzi, un tempo nobili, e ormai fatiscenti, luoghi dove l'antico splendore si può, ormai, solo intuire. Generando, al di là dei risvolti anche comici e grotteschi che pur in entrambi i testi sono presenti, un sentimento di struggente e sofferta nostalgia. Come per “Spaccanapoli”, anche in questo “Sogno”, la vecchia casa nell'antico palazzo situato nel cuore di una Napoli da cui arrivano echi di una tradizione culturale che mostra anch'essa, per molti versi, evidenti segni di fatiscenza, ha un ruolo centrale. E la stessa scenografia, di Luigi Ferrigno, presenta rimandi evidenti al precedente spettacolo.
Ma se in quello, Ruggero Cappuccio
si serviva della follia come metafora dell'incapacità o dell'impossibilità di
adeguare ai tempi che cambiano una visione fortemente radicata in altri
contesti epocali, qui si serve di Shakespeare per riproporre il discorso in
chiave poetica, affidando quella stessa nostalgia alla eterea e impalpabile
dimensione del sogno. E' come se la realtà, non più riconoscibile, non più
afferrabile, si addensasse in un ambito diverso, facendosi fiaba, narrazione di
pulsioni e sentimenti sempre più sfuggenti, che solo in questo contesto, per
certi versi trascendente, possono ancora concretizzarsi rivendicando pieno
diritto di cittadinanza. Qualcosa che, come lo stesso Shakespeare insegna, ha
strettamente a che fare con il teatro e con le sue funzioni.
E allora, Oberon e
Titania (Lello Arena e Isa Danieli), shakespeariani re e regina delle fate, si
trasformano qui in una sorta di “artefici magici” trasferiti dal canonico bosco
del testo originario, in questa vecchia casa dove il sonno, a cui sono
principalmente dediti, sembra quello del tempo, prima ancora che della ragione.
Qui rivivono, con l'aiuto di improbabili elfi, le storie di un'epoca mitica e
lontana dove gli intrecci amorosi evocati dal grande elisabettiano, sembrano
trovare, anche attraverso l'uso dei burattini (o meglio “guarattelle”), che
diventano, qui, creature stesse del sogno, quello spirito originario del
teatro, dove si parla una lingua universale, che non conosce confini, e dove la
tradizione teatrale napoletana dialoga alla pari con Shakespeare e con tutto
ciò che egli rappresenta, illuminandosi reciprocamente e, allo stesso tempo,
contrastando e dando un senso a quell'incipiente decadimento che sembra
sovrastare ogni cosa.
La
regia di Claudio Di Palma si inserisce pienamente in questa struttura
drammaturgica lavorando soprattutto sugli attori. Evocando attraverso gli stili
recitativi dei due protagonisti i riferimenti a una tradizione “nobile” che
include la comicità classica, quasi scarpettiana di Arena, e quella dai
riferimenti più colti (con ascendenze desimoniane) di Isa Danieli. Entrambi gli
attori offrono, comunque, un'ottima prova, tenendo il palcoscenico
costantemente sospeso in una dimensione dove sogno e realtà si intrecciano
continuamente, perfettamente coadiuvati da altre figure, concrete ed
evanescenti ad un tempo, che rimandano a Puck (che si apparenta qui con un
Pulcinella partorito dalla stessa Titania), agli Elfi-burattini e agli
“artigiani”- burattinai, riproponendo il testo di Shakespeare come fosse, a sua
volta, un sogno generato dalla stessa Napoli e dal suo teatro. Ruoli in cui ci sono parsi tutti a loro agio
Fabrizio Vona, Renato De Simone, Enzo Mirone, Rossella Pugliese e Antonella
Romano. Per uno spettacolo che corre liscio e godibile per la gran parte, ma
che avrebbe forse bisogno di essere asciugato un po' qua e là, specie nel finale.
Vivo
gradimento del pubblico che, alla replica cui abbiamo assistito, vantava una
larga presenza di giovani, cosa che a teatro, di questi tempi, non è da poco.
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