“La Scena” - testo e regia di Cristina Comencini con Anna Finocchiaro e Maria Amelia Monti.

Al Teatro Diana di Napoli dal 3 al 14 dicembre.

 

Servizio di Marco Catizone

 

Napoli – “La seduzione implica e misura l’incapacità delle donne a parlare per se stesse o a reclamare in quanto genuina, una sessualità indipendente dai sogni che gli uomini fan su di loro”(Jane Miller).

 Sesso. Al centro dell’eloquio, a cascata come refrain, file rouge a doppia elica per due donne amiche che dell’una riconoscono i vezzi, specchiandosi nelle debolezze e nei bisogni dell’altra; sesso, come sacello e refugium dell’una, Maria (la Monti), dissipazione per l’altra, Lucia ( la Finocchiaro); sesso come autoscontro per desideri in conflitto, a sbreccare il carapace di maschi contro femmine, alla ricerca d’una sintesi impossibile tra ellissi a gravitare: la mutria della femmina, del tapino di turno alla recherche, spassatempo ciarliero, garrulo e (mai) sincero: e via, in singulti da sprinter, in rincorsa al merlo maschio, con fischiomaschioesenzaraschio, giusto il rischio di doversi quietare scoprendo l’ennesimo bamboccione, il solito infingardo, l’ordinario travet grigio-topo, il borioso ballon d’essay; e giù di manfrina, a confidarsi strenuamente, un canto a due, tra amiche e donne che più speculari non si può.

Lucia “fredda” e siderale, attrice di testa, compagna di scena e mai di letto, nel diletto d’esser fedele agli uomini veri, che più teatrali non si può, usciti in fantasia alla Otello, Amleto, Cassio, Cesare; Maria “calda” ed umorale, che senza maschi non sa stare, sostando nell’intermezzo d’un’ agnizione impossibile, cercando nel sesso virile la maschera dell’Uomo, per conforto e protezione: e in mezzo lui, il Ragazzo (Stefano Annoni), eruttato al centro de “La Scena”, ultima conquista di Maria, sedotto e abbandonato nel talamo preadolescenziale, nella stanza del figlio, tra robottoni e peluche, risvegliato dal letargo come putto smutandato, disperso nella pièce a controcanto delle due donne, milfs alla Macbeth, stregonesche nel viluppo, due Circe nel garbuglio di parti a sovvertirsi; Lucia sarà Maria, l’una diverrà l’altra, Victor-Victoria tutto al femminile, col povero bamboccio stretto nel mezzo, evaso a sua volta da costrizioni materne, costretto a mimare una marziale forza virile, virale, pur di non esser contagiato dal tracimante passato e pencolante delle due carcieriere, transfughe dalla propria personale “casa di rovine”, terremotata il giusto da una vita che non è mai quella per cui si è speso ab initio il prospetto.

Plauso al testo della Comencini, di aver reso in plastica dinamica il non-sense di questi nostri anni sfuggenti, con maschere sociali come guitti atellani, pronti al cambio di sciassa e veste, in un gioco delle tre carte al ribasso, con donne e uomini mostrificati a clichè, nella resa dei ruoli, ove la parità dei sessi mostra gli assi truccati nel manico, depone le armi e si dichiara prigioniera di guerra tra opposti; e dove basterebbe comprensione ed empatia reciproca per evitare la ressa. Peccato che le boutades piccanti della Monti e della Finocchiaro risentano d’uno stile vieppiù catodico, da sitcom mediatica, con innesti drammaturgici dal piglio shakespiriano non sempre riusciti, con intermezzi prolassanti, che in palcoscenico appaiono fuori corso, panegirico autoreferenziale per battuta piazzata; ottimo prodotto per un episodio da comedy seriale, forse un po’ fiacco per un debutto teatrale.

 

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