"Ardente Pazienza" di Antonio Skarméta - regia di Carosella e Punzo
Al Teatro "Il Primo" di
Napoli dal 12 al 14 dicembre.
Servizio
di Marco Catizone
Napoli
- Poesia, che ebbra rifulge nei corpi. Poesia,che trafigge a parole, come dardi
nell'animo. E quanta poesia v'era nel testo del cileno Skarméta, e quanta più
ancora nella sofferta umanità e dolente del "Postino" di Troisi per
la regia di Micheal Redford? Un testo asciutto, al centro del conto il Neruda
privato e le sue mutrie, asperità ed indulgenze; l'incontro con speculare poeta
in nuce, negli occhi d'un postino "privato" perchè suo e personale,
dotato d'umana baldanza e riflessione, ladro di parole, per metafore naturali,
chè l'empatia estatica delle palpitazioni amorose non vada dipersa nel
quotidiano brusio d'un isolamento geografico e dei sentimenti.
La Isla Negra e "Don Pablo",
solitudini e sfumature che condensano in promenade esistenziale, con lo
sferragliare d'una vecchia bicicletta, la curiosità esistenziale del postino
Mario, ad accompagnare le voci del mondo ed il battere cadente dei tasti sulla
scrivania del Poeta, invadendo il suo refugium peccatorum coi borborigmi
pezzenti delle "anime di fuori", di quel mondo-massa che sulfureo
invadeva la sfera politica del comunista Neruda: soliloquio a due, sulla malia
del linguaggio, sull'incantamento stregonesco di scintille d'ingegno che
plasmano aneliti e desideri, e corpi all'occorrenza, e quant'altro
nell'universo-mondo.
L'attesa,
silente, ad occupare la scena: d'un premio come marchio per Don Pablo, quel
Nobel per le belle lettere corteggiato e blandito, con disincanto voluto; della
donna, per Mario, poeta dell'essenzialità, ubriacato di metafore, mai sazio se
non appagando il desiderio intimo dell'essere Uomo a completarsi nell'altro,
nella Donna, ricreando l'endiadi, l'origine: due movimenti, come di risacca,
tra il vecchio ed il giovane, un riflusso osmotico, un teatro a paravento,
mentre le ombre della Storia s'addensavano già a cumuli.
E
fu Santiago, fu Nobel, fu celebrazione; e
fu Allende e poi, cupo e diretto, venne Pinochet come poesia per tempi
piombati, e fu razia delle parole, tramutate in pietre e pallottole, mentre con
ardente pazienza gli uomini resistevano al proprio destino, in attesa d'un'alba
che ne rischiarasse il riscatto.
Bene
la compagnia capitanata da Peppe Carosella, un Neruda più che convincente, con
la spalla "Mario", Aurelio De Matteis, in crescendo, pienamente
compenetrandosi nella complessità dell'amico Don Pablo; piece ormai classica,
resa ancor più celebre dal nostro compianto Massimo e dalle sue afasiche e
smozzicate movenze: plauso e riflessione, una storia semplice dritta al cuore
della Storia.
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