“CUORE NERO” - DI FORTUNATO CALVINO - REGIA DI GERARDO GATTA


 
Alla Sala Assoli di Napoli  dal 18 al 21 dicembre. 

 
Con Lucio Piezzo, Antonio Clemente e Patrizia Rosiello.

 
Servizio di Marco Catizone

 
Napoli – Scampoli, di umana pietas, come lacerti al desco brunito della solitudine; d’anime e sangue, in canto a due, richiamo avito di peccati scostumati assaje, consumati al lume d’una catarsi irredenta, impossibile, al fioco lume d’un altarino ascoso, nel marmo delle chiese sconsacrate, laddove anche i santi scamazzati cercano ricetto dallo scuorno; peccato e vergogna per incerto afflato di maschi neri e punciuti, figli di mater camorra, Pietro (Piezzo) e Tommaso (Clemente), erme di clan come rostri di tufo, alveo di brame e sospetti, umori e rumori, assordante cicaleccio che rimbomba silente; due uomini di malavita fuggiti come rigurgiti dall’ oscena platea, al di là di catarsi scenica, topoi  e zoccole napulitane che si trascinano limacciosi in un ballo sulfureo di istintualità carnali ed oscenità di morte, verità infine liberata da mistero; nuda, e nera, nella sua pallida oscenità, voce rotta e cuore esangue. Cuore nero.

Sogno ligneo e muscolare, il “pezzo”, la piece di Calvino nelle mani e nei volti segnati di Pietro e Tommaso è trenoveloce travolge buoni e & cattivi, perché “il male è il prodotto dell'abilità degli uomini”, Sartre docet, e l’eterna Napocalisse non fa eccezione: più forte della carne, più forte del sangue, una sciitilla nero carbone che affumica e non illumina, cova più che ardere, posta nel grembo di femmina ancilla e postribolare, di Anna la Rossa ( una bravissima, quasi “Magnanesca” Patrizia Masiello, perfetta nel corpus neapolitano di donna rotta a tutto e sopravvissuta nonostante), ara pacis dove i due trovano frenesia e singulto e  minimo ricetto; muscolo nero, cuore bruciato, divenuto un frenetico “buco”, botro, pozzo o gola che assorbe la luce terrena, dell’umano sentire e ne rivela i contorni, le ombre più vere, le cancrene e le suture, assorbendone il refluo.

Acqua storta, che pencola dal gelo del marmo, balsamo e medicamento per ferite sconce di maschi ferini, eretti di vello e membro, che non svilisce le pene, anzi le ammorba, le enfia, nel cozzare nero stridente dei corpi che si declina per gli alcuni in mercimonio di carni e ammore, per altri in un sacello reificato, che conosce passione nell’attimo finale della resa, quando il filo s’assottiglia ed il fato incombe, su due bersagli tracciti da pallottole. Plauso a Lucio Piezzo ed alla “Rossa”, un incoraggiamento al giovane Clemente, recitazione fibrosa, a tratti nervosa, forse su le righe, di certo appassionata. Potente il testo di Calvino, un classico nell’universo cartaceo della gomorra in riva al golfo.

 

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