“CUORE NERO” - DI FORTUNATO CALVINO - REGIA DI GERARDO GATTA
Con
Lucio Piezzo, Antonio Clemente e Patrizia Rosiello.
Servizio
di Marco
Catizone
Napoli
– Scampoli, di umana pietas, come
lacerti al desco brunito della solitudine; d’anime e sangue, in canto a due,
richiamo avito di peccati scostumati assaje,
consumati al lume d’una catarsi irredenta, impossibile, al fioco lume d’un
altarino ascoso, nel marmo delle chiese sconsacrate, laddove anche i santi
scamazzati cercano ricetto dallo scuorno;
peccato e vergogna per incerto afflato di maschi neri e punciuti, figli di
mater camorra, Pietro (Piezzo) e Tommaso (Clemente), erme di clan come
rostri di tufo, alveo di
brame e sospetti, umori e rumori, assordante cicaleccio che rimbomba silente;
due uomini di malavita fuggiti come rigurgiti dall’ oscena platea, al di là di
catarsi scenica, topoi e zoccole
napulitane che si trascinano limacciosi in un ballo sulfureo di istintualità
carnali ed oscenità di morte, verità infine liberata da mistero; nuda, e nera,
nella sua pallida oscenità, voce rotta e cuore esangue. Cuore nero.
Sogno
ligneo e muscolare, il “pezzo”, la
piece di Calvino nelle mani e nei volti segnati di Pietro e Tommaso è trenoveloce travolge buoni e & cattivi, perché “il male è il prodotto dell'abilità degli
uomini”, Sartre docet, e l’eterna Napocalisse
non fa eccezione: più forte della carne, più forte
del sangue, una sciitilla nero carbone che affumica e non illumina, cova più
che ardere, posta nel grembo di femmina ancilla e postribolare, di Anna la Rossa ( una bravissima, quasi “Magnanesca” Patrizia Masiello, perfetta
nel corpus neapolitano di donna rotta a tutto e sopravvissuta nonostante), ara
pacis dove i due trovano frenesia e singulto e
minimo ricetto; muscolo nero, cuore bruciato, divenuto un frenetico “buco”,
botro, pozzo o gola che assorbe la luce terrena, dell’umano sentire e ne rivela
i contorni, le ombre più vere, le cancrene e le suture, assorbendone il refluo.
Acqua
storta, che pencola dal gelo del marmo, balsamo e medicamento per ferite sconce
di maschi ferini, eretti di vello e membro, che non svilisce le pene, anzi le
ammorba, le enfia, nel cozzare nero stridente dei corpi che si declina per gli
alcuni in mercimonio di carni e ammore, per altri in un sacello reificato, che
conosce passione nell’attimo finale della resa, quando il filo s’assottiglia ed
il fato incombe, su due bersagli tracciti da pallottole. Plauso a Lucio Piezzo
ed alla “Rossa”, un incoraggiamento al giovane Clemente, recitazione fibrosa, a
tratti nervosa, forse su le righe, di certo appassionata. Potente il testo di
Calvino, un classico nell’universo cartaceo della gomorra in riva al golfo.
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