Tà-Kài-Tà testo e regia di Enzo Moscato

Al Teatro Nuovo di Napoli dal 23 al 26 ottobre

 Servizio di Vincenzo Perfetti

 NAPOLI- Il regista e attore partenopeo Enzo Moscato, ha riproposto al Teatro Nuovo Tà-Kài-Tà, rimasto in scena fino a domenica 26 ottobre. L’espressione che dà il titolo allo spettacolo appartiene alla tradizione greca e sta a significare “Questo e Quello”. È su questa logica dialettica che si rende opportuna l’esemplificazione della pièce/monologo a due voci/analisi. Ad accompagnare Moscato, infatti, è un’altra grande della scena napoletana e nazionale, Isa Danieli. I due sono come lo sdoppiamento di una stessa, vita, di una medesima esperienza. Coscienza, viso, occhi e parole di un’unica persona, quella di Eduardo De Filippo. Tà-kai-tà è il titolo del film che Eduardo stava progettando di girare con Pasolini se questi non fosse stato ucciso nove anni prima della scomparsa dello stesso De Filippo. Da qui parte l’azione. Un’analisi a 360° che si muove tra il “Questo” e il “Quello” appunto. Un “periplo” che avviene per frammenti, “pensieri critici” che iniziano ad insinuarsi nel piccolo Eduardo nel periodo in cui conosce il mondo del palcoscenico, lui figlio di un altro grande artista, Eduardo Scarpetta: “Terrorista d’o vacante” “sovvertitore del normale”. Quella di Eduardo viene presentata come coscienza romantica, osservatrice, cinica in apparenza, fredda per scelta, per protezione di sé. Eduardo è “Questo” l’uomo e “Quello” l’artista. O viceversa. È questo: l’uomo che sostiene ”Me so’ riparato ‘a faccia e l’anima contro lo sguardo degli uomini”. È quello: l’artista conscio che la “suprema verità è la suprema finzione”. È l’uomo che adolescente ha paura dell’innamoramento, della delusione, ed è l’artista che ha voglia di creare, interpretare. Il suo imperativo: ”Fatti pelle scunsacrata ‘a tutti ‘e cimiteri”. Moscato porta in scena questo “vagare” per ipotesi, illazioni, supposizioni, che conferiscono significato alla vita di un uomo, e cerca di cogliere quell’intimità, che nei riguardi di un’artista, non è sempre facile vedere, conoscere, afferrare. Della sua vita resta il rapporto con il padre Scarpetta nel ricordo più forte: il momento dell’addio. La chiama “moritudine grottesca”, morte apparente, morte recitata. C’è poi il conflitto con i fratelli, da loro chiamato “’O direttore”. Un rapporto mai chiarito né definito, dovuto forse al suo modo differente di essere artista. A Eduardo restano solo le sue “dita”, “chiodi arrugginiti” che tanto hanno patito. E poi c’è la figlioletta Luisa, scomparsa in giovane età, mai dimenticata. Un ricordo posto in una teca di vetro, come protezione. La stessa teca di cui si rivestirà lui stesso.  Eduardo, uomo consapevole che “Nuje simme fatte da’ stessa stoffa d’e suonne”. Ed è proprio questo che lo ha spinto a cercare un rapporto infinito e profondo tra vita e teatro.

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