Il teatro è una questione d'amore

Intervista a Sara Bertelà
 
Servizio di Mario Migliaccio

 
Roma –  Una ragazzina rimasta addormentata per quasi trent’anni si risveglia. È convinta di andare alla festa del suo compleanno, ma si accorge di essere rimasta senza genitori. E di dover, invece, fare i conti con una donna di quarantacinque anni, lei stessa.
Al Teatro dell'Orologio, lo spettacolo “Una specie di Alaska”, di Harold Pinter, diretto da Valerio Binasco, sta riscuotendo un gran successo. La protagonista, Sara Bertelà, nel ruolo davvero molto impegnativo di questa donna-bambina, ci rilascia alcune impressioni, dichiarazioni e anticipazioni sui suoi progetti futuri.
 
Vestire i panni di una bambina che si sveglia dal coma dopo 29 anni, non è per nulla semplice. Cosa hai provato ad interpretare questo ruolo?
 
Pinter racconta di una ragazzina che si è bloccata a 15 anni e fondamentalmente mi sono concentrata sui miei 15 anni, sulla mia adolescenza. La bellezza del testo, che abbiamo portato in scena, è proprio questo paradosso, poiché le devono spiegare che ormai non ha più 15 anni ma 44 anche se di quei 29 anni trascorsi lei non sa nulla. I suoi unici ricordi sono legati, al suo cane, alla famiglia, al fidanzatino e alle prime esperienze erotiche. La regia mi ha aiutata molto nell'immedesimazione perché si basa sullo stare in una sorta di vuoto, arricchendosi di immagini prima dello spettacolo, ma rilassandosi molto durante la rappresentazione e lasciando che sia il testo stesso a condurti nelle emozioni.
 
Un ruolo che pare sospeso tra la vita e la morte. Cos'è per te il senso della vita?
 
Io ricerco il senso della vita nel recitare. Credo di fare questo mestiere perché mi piace cercare di stimolare il pensiero proprio sulla vita...La ragione per cui ho iniziato a farlo è perché, dopo aver visto uno spettacolo di Shakespeare all'età di 14 anni, mi sono sentita come inseminata di cose nuove che mi hanno fortemente colpito. Mi son detta "io voglio fare questo mestiere!"... Il mestiere dell'attore ti permette di seminare a tua volta emozioni, dubbi, pensieri sulla vita. Secondo me tutto ciò ti permette di fare un percorso personale verso la coscienza più profonda.
Oltre "Una specie di Alaska" che sarà portato in giro per l'Italia, hai qualche altro progetto per il futuro?
 
Ci sarà ancora una piccola tournée, siamo andati già in scena un bel pò di volte a Milano, e in altre piazze, ma lo spettacolo aveva debuttato già nel 2009 in un festival a Porto Venere. La scommessa di questo allestimento è che il pubblico sia vicinissimo, quasi in scena. Infatti lo spettacolo nasce per 50 persone e pian piano ci siamo trovati davanti un pubblico sempre maggiore. Per quanto riguarda i progetti fururi, il prossimo spettacolo sarà al teatro Due di Parma dove metteremo in scena un testo di Cechov per la regia di Filippo Dini. Poi ci sono anche altri progetti in cantiere che svelerò più in là.
 
Essendoti cimentata anche nella regia, a te interessa più dirigere un gruppo di attori o essere diretta?
 
Mi piace moltissimo fare regia però ho molte più esperienze da attrice che da regista. La cosa che mi interessa molto è la didattica, mi piace lavorare sulle persone e trovare in esse quella parte nascosta che a volte è la più luminosa, la più ricca. Mi piace trovare il modo affinché chi voglia cimentarsi nel mestiere di attore, possa trovare   in se stesso la forza per superare quella paura che a volte ti blocca. Sinceramente ho pensato anche ad una futura scuola di recitazione e questa è un'idea che mi affascina moltissimo perché è uno dei sogni che avevo sin da piccola. Penso che alla fine sia sempre una questione d'amore...Amo il mio lavoro e dunque mi piacerebbe trasmettere agli altri, con quello stesso amore, tutto ciò che posso insegnare.

 
 
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