COSÌ PARLÒ BELLAVISTA di Luciano De Crescenzo, regia di Geppy Gleijeses

Al Teatro Augusteo dal 19 al 28 novembre 2021

Servizio di Marco Catizone

Napoli - “A Napoli ognuno vive in una inebriata dimenticanza di se”, ed è esergo Goethiano, motto ad incipit del romanzo che fu, quello cartaceo del Bellavista d'antan, del '77 d.C., o ante “Bellavista”, almeno a scandir clessidra dalla resa a cinematografo, la riduzione classicheggiante, nouveau classique che il verace partenopeo ripete a mantra, come i vaudeville del Totò-Principe De Curtis; claro, perché per i più a divenir massa, “Così parlò Bellavista” è classico vesuviano, magma di cellulosa, che diede fama e ribalta all' “Ingegnere”, ben prima dell'omologo Ferlaino, del Pibe de Oro dei suoi fasti, quel culto dionisiaco del Maradona satiro a divinità. Mitopoiesi plebea, fatta di cunti, fatterelli, vicoli, rue e palazzi semi-nobiliari, figure e bozzetti a macchia, viepiù a macchietta, il Bellavista-De Crescenzo, sornione e stoico, iconografico retore di una Napoli-Gemeinshaft (comunità d'amore, abbacinante a macerarsi) in chiaroscuro, abbozzò il suo personale Decameron a simposio, sull'orme di un Socrate illuminista, borghese d'intelletto, che ammanta il suo dasein neapolitano della sciassa poli-semica del sociologo innamorato del suo oggetto a studio, per una silloge prospettica di luci ed ombre grottesche a calembours, un cabaret sociale di maschere irresistibili, ever green d'immaginario: il Bellavista-filosofo d'amore, il Cazzaniga-milanese, xenotipo a zafferano, Salvatore-vice-sostituto-portiere, terzo in grado nell'accudire l'onfalos condominiale; e poi Saverio, Rachelina e le sue bizze domestiche, la Signora Maria-Santippe vesuviana, Giorgio-laureato-disoccupato, et alia; maschere atellane d'una umana commedia barocca a consolazione, per un conto nostalgico a grappolo, che ascende al purgatorio letterario, immaginifico, d'una Città-Mondo, da sempre locus sentimentale, d'anima tribale e serraglio carnale, per vezzi carnascialeschi ed impudicizie quotidiane.

Trasposizione speculare, pièce in crescendo, a solleticare il vello d'un pubblico aficionado, per la centesima replica, in quel d'Augusteo: patron di scena e cicerone Geppy Gleijeses, il fu Giorgio dell'opera primigena, a condurre a Bellavista un curricolo d'attori e caratteristi d'alta scuola, amalgamato e rutilante sulle scale in sali-scendi del Palazzo, con le trame intersecate ed i quadri a conciliabolo ad integrarsi nella ormai classica boiserie a sipario, d'una scenografica mise a doppia scala, sulla scia d'una Neapoli illuminista e nobiliare, in cuor di Sanità, a specchiarsi nel comico andazzo d'una pièce signorile e popolare, sempiterna, ridondante e consolatoria, mai datata perché assurta all'empireo delle cose care, delle vestigia famiglie.

Matronale, quando appare sulle assi, la Laurito-Signora Maria, il suo rotacismo lasso, il suo esser vestale in guisa di Santippe, controcanto e pragmatismo muliebre contra convivium di filosofo, con i discenti apostoli, peritateci a bozzetto, assisi al desco del Bellavista: Salvatore, Saverio, Luigino, a confabulare sodali, a gozzovigliare ebbri, di chiacchiere e 'mbasciate, sbrodolando il senso eziologico d'esser partenopei, alfieri del nesso causale, per una città che dilava nel posticcio caricaturale, quando rinuncia al suo ego, d'esser capitale d'anima a contraddizione, più che algida rena per speculazioni socio-economiche, portate avanti con vezzo d'entomologo.

Pubblico in campo, a caldera, a ripetere il verso, d'esser di scena in platea, ritrovarsi nel rito d'una rappresentazione collettiva, un Cunto empatico, a suggerire imbocco per parole ripetute, sub-conscio corale, che si rigenera nel riconoscersi, nel centellinare le battute, accompagnando le maschere verso un abbraccio famiglio: caratteristi d'eccezione, le vecchie glorie non tradiscono; appunto invero da muoversi alle giovani leve integrate nel cast, non in gran spolvero, in resa meccanica, imballati a bozzetto, poco responsive nell'adattarsi al ritmo prossemico, nel rivivere i frames mandati a memoria, col pubblico evocante, a richiamare alla scena in punto di memoria lo scontro titanico tra lavastoviglie riottosa e Rachelina, le vecchiarelle alle prese coi bersaglieri a cavallo, 'A libertà da provarsi anche da pennuto fuggiasco, 'A finta 'e Maradona,  Il cavalluccio rosso ad libitum, Core 'ngrato e le avvisaglie sinistre d'una Camurria lasciata in controluce, Cazzaniga forestiero-partenopeo e la liturgia d'esser sempre meridionali di qualcuno; una silloge forse oleografica,sovente caricaturale, per noi umani post pandemici assuefatti al solipsismo di tempi vacui e in social loop, eppure ancora alla recherche d'una trama comune, che ci renda comunità, che ci renda il senso a condivisione, nel nome d'un piccolo gioiello di humor partenopeo a firma Bellavista. Pardon, De Crescenzo.

Applausi, ciak, sipario.


“COSÌ PARLÒ BELLAVISTA”, di Luciano De Crescenzo, 

Con Geppy Gleijeses, Marisa Laurito, Benedetto Casillo, Gianluca Ferrato ed altri. 

Regia di Geppy Gleijeses,

  

 

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