ALDIQUALDILA' Tre Maschere Dell'aldiqua Nell'aldilà Dantesco, da un’idea di Dario Menee, Ettore Nigro, Giuseppe Pestillo, testo di Giovanni Del Prete, Ettore Nigro
Teatro Sannazaro - 2 e 3 novembre 2021, ore 21
Servizio di Pino Cotarelli e Rita Felerico
Una domanda ai protagonisti:
per il regista Giovanni del Prete
«La morte può anche non essere tragica, ma
ogni sopravvivenza è involontariamente comica», una frase di Giambattista
Tiepolo, pronunciata nel suo dialogo immaginario con Pulcinella. Possiamo dire
che è stata scelta per descrivere uno dei punti fondamentali che segnano il
progetto dello spettacolo?
Si...la vita di tutti
nasconde tragedia e commedia insieme: il grottesco, infatti, si annida ovunque,
determina i passi di ognuno, e ci accompagna nel viaggio fino alla fine. I
percorsi sono paralleli, a volte si incrociano, a volte si dividono, ci elevano
verso paradisi perduti o ci trascinano in quotidiani inferni; sta a noi
scegliere la strada e riconoscere se stessi per il nuovo umanesimo di questo
millennio.
La
comicità di questa maschera in che modo si avvicina alla lettura simbolica del
testo?
"Dove devo andare?
Cosa devo fare? Son perso!". Queste sono le prime battute pronunciate
da Arlecchino in questa commedia. La maschera veneziana parte da un profondo
senso di smarrimento a causa della scomparsa dei suoi padroni e la conseguente
perdita del suo ruolo di servitore. Il viaggio che intraprende attraverso
questa commedia è volto proprio alla ricerca del padrone. Arlecchino pur
essendosi smarrito, rimane aggrappato alla sua identità di maschera: rivendicando
il proprio nome e il proprio vestito. La comicità credo sia dovuta alla sorprendente
leggerezza con la quale Arlecchino affronta i suoi disagi esistenziali. È una
risultante comica sicuramente il fatto che sia spinto da un momento di forte
vitalità proprio mentre cerca di capire qual è il modo migliore per morire
insieme a Pulcinella. Il cortocircuito no sense della soluzione è:
"Facciamo così: tu uccidi me e una volta che io son morto, ti
uccido!"
Possiamo
immaginare che la presenza ‘rumorosa’ del Capitano esprima l’incapacità
dell’ascolto dell’Altro? È questo il suo dramma?
Il Capitano della
commedia dell’arte vede solo se stesso e ne è dimostrazione anche la maschera
che indossa; sicuramente da questo si evince una grande difficoltà di ascolto,
un dramma dell’insicurezza che si mostra in una eccessiva
"rumorosità". I capitani, vicini e lontani, hanno paura di non
esistere, di non essere e riempiono il loro vuoto a colpi di gesta inventate,
si immaginano eroi dei due mondi senza nemmeno riuscire controllare il loro
piccolo mondo. Oggi i capitani siedono in quel centro di potere che sono le
capitali del mondo; per questo la scelta di farlo parlare in dialetto romano
unito a uno strano, maccheronico poliglottismo. L'uomo/ capitano si immagina
eterno, immortale, ed è questo il suo dramma, non realizzare dentro di sé la
sua finitezza.
Lo
scettico Pulcinella accoglierà nelle sue mani la luce di Beatrice. Come ti sei
rapportato rispetto alla tradizione nell’interpretare questo Pulcinella?
Mi sono rapportato col dovuto rispetto per la tradizione, cercando di trovare un Pulcinella lontano dai cliché o quello raffigurato in maniera oleografica. C'è stato uno studio approfondito sulla maschera, compiuto con il regista, Giovanni Del Prete e il supervisore della commedia dell'arte, Arduino Speranza. Uno studio che mi ha portato ad un Pulcinella molto diverso: come le altre maschere deve intraprendere un viaggio, ma Pulcinella subirà una trasformazione che alla fine accetterà. Tutto questo lavoro, che possiamo definire di "innovazione" sulla maschera di Pulcinella, è comunque stato possibile grazie a ciò che ha rappresentato la tradizione, per me in questo lavoro punto di partenza per una la ricerca costante di un nuovo Pulcinella fresco, moderno, non oleografico e uguale a tanti altri che si sono visti nel corso del tempo. Spero di esserci riuscito.
per Matelda
Il tuo è il personaggio positivo di questa commedia: cerca le parole necessarie per comunicare, cerca di spiegare, cerca il cambiamento, cerca la condivisione nell’esperienza del viaggio verso la luce e per farlo c’è stata l’esigenza di denudarsi. Ti sei ispirata a qualche modello in particolare o hai appreso da più modelli?
Per la figura emblematica di Matelda
abbiamo cercato di entrare perfettamente in sintonia con l’aspetto visivo dello
spettacolo, molto determinante in questo caso. Avendo “costruito” il nostro aldilà
dantesco attraverso il mondo altamente simbolico dei dipinti, poi videomappati,
del pittore Ciro Palumbo, ho immaginato veramente di muovermi sulla scena come
in un dipinto. Ho cercato di trasferire i significati legati alla figura di
questo misterico personaggio del paradiso terrestre con semplicità. Il nostro
nudo scenico ha voluto comunicare la semplicità e la forza che il nostro corpo
racchiude già in sé stesso. Aiutata dal mascheramento velato del mio viso e dei
miei capelli, ho potuto trasferire la levità, l’armonia, la purezza, la
femminilità spoglia di qualsiasi orpello e connotato, attraverso il mio
“esserci” in quanto tale e nient’altro. Ho cercato di ridurre ad ogni costo
ogni possibile altro significato legato ad un corpo nudo. Grazie anche alla
elegantissima soluzione della nostra costumista, ho immaginato di essere un particolare.
‘Magritte in una primavera Botticelliana’!
Una rappresentazione di pregevole fattura e notevole impegno, che ha richiesto una preparazione attoriale capace di sincronizzare recitazione, mimica, movimento e dialetto, per rendere le maschere di arlecchino, pulcinella, capitano e Matelda, rispondenti ai canoni e alle aspettative. Il pubblico, accompagnato dall’eleganza della bella e significativa scenografia, divertito, ha seguito con attenzione il racconto-percorso dantesco, apprezzando i diversi messaggi espressi da questa drammaturgia non scontata e di grande presa ed effetto.
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