“IL GIORNO DELLA LAUREA” Testo e regia di Giovanni Meola
Al Teatro Ridotto del Mercadante di Napoli dal 26
aprile al 1 maggio
Servizio di Antonio Tedesco
Napoli – Ritratto di borghesia in nero. Con
striature di rosa, certo, ma che non servono ad addolcire la pillola, quanto,
piuttosto, a far risaltare quel “nero” in maniera ancor più evidente. E’ un testo duro il giorno della laurea, il
lavoro scritto e diretto da Giovanni Meola, che il Teatro Stabile di Napoli
presenta al Ridotto del Mercadante dal 26 aprile al 1 maggio. Un testo che non
fa sconti a nessuno, e che dietro l’apparente leggerezza con cui sembra
scorrere, specie nella prima parte, nasconde riflessioni tutt’altro che banali.
E’ un testo che strappa la maschera alla borghesia media, “normale”,
benpensante, e la inchioda alle proprie responsabilità. Lo spettatore si
riconosce facilmente nei due personaggi sulla scena, una comune coppia di
marito e moglie, con lunghi anni di matrimonio alle spalle, che si dibattono,
anche in maniera un po’ stanca e rassegnata, con i problemi di tutte le
famiglie appartenenti al loro ceto sociale, tartassate da anni di incalzante
crisi economica.
La coppia è colta in un giorno per loro molto
particolare, quello, cioè, della laurea del loro unico, amatissimo, figlio. Un
giorno che, però, contro ogni aspettativa, li costringerà a fare una scelta.
Che non solo si rivelerà dolorosamente tragica, ma, nel disegno drammaturgico
di Meola, apre anche uno squarcio profondo sulle responsabilità di un ceto
sociale, quello medio borghese, appunto, e ancora mediamente benestante, che
rappresenta la parte predominante del tessuto sociale di tutto
l’Occidente. Nel finale (che preferiamo
non svelare), sollecitati da una lettera del figlio laureando, la “normale”
coppia di coniugi, coerentemente con i principi consolidati di quel ceto cui di
diritto appartiene, si mostrerà capace di fagocitare, inglobare e digerire
tutto, anche ciò che può, dapprima, sembrare dannoso ai suoi interessi, ai suoi
affetti e alla sua stessa vita. E non mancano le allusioni a una cultura media
diffusa quanto inutile perché incapace di creare i giusti anticorpi
all’acritico conformismo sociale, vissuto come una sorta di teatro globale dove
ognuno recita diligentemente il ruolo che la società stessa gli assegna.
In una messa in scena che, sotto la regia dello
stesso Meola, sembra partire “in minore” e va crescendo man mano di intensità e
tensione fino al sorprendente finale, si segnalano le buone prove dei due
attori in scena, Cristiana Dell’Anna e Enrico Ottaviano, chiamati all’ingrato
compito di rappresentare la mostruosità dell’essere normali, anche attraverso
una recitazione che potremmo definire “a sottrarre”, cioè dimessa, contenuta, e
in questo senso, forse, ancor più evocativa, con le scene di Luigi Ferrigno,
anche queste essenziali, ma caratterizzate da un'inquietante colonna luminosa,
quasi un totem, che campeggia al centro della scena.
In conclusione è doveroso segnalare anche la
partecipazione e la sentita accoglienza di un pubblico numeroso che riempiva
(alla replica cui abbiamo assistito, il giorno 28 aprile) ogni ordine di posti
del Ridotto, a testimoniare la necessità di promuovere e incoraggiare una scrittura
teatrale che sappia parlare i linguaggi della contemporaneità e portare sulla
scena vicende reali, riconoscibili, perché lo spettatore possa ancora percepire
la funzione del teatro come specchio (a volte oscuro) della propria esperienza
esistenziale.
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