“CARMEN” – di Enzo Moscato – Adattamento e regia di Mario Martone Direzione Musicale: Mario Tronco
Al
Teatro Bellini di Napoli dal 12 al 24 aprile
Napoli – Carmen, Carmén, Carmela.
Attraverso questo slittamento semantico lievissimo, eppure carico di
significati, Enzo Moscato riscrive alla sua maniera la storia della Carmen, celeberrima opera di Bizet,
ispirata al racconto di Prosper Mérimée. E trasforma l’icona della donna
fatale, ma allo stesso tempo selvatica e inafferrabile, in un simbolo che si
carica di ulteriori significati. Trasportandola in una Napoli carnale e
“verace”, con la quale, questo personaggio di donna mediterranea e indomabile,
sembra immediatamente identificarsi. Stabilendo con la città un connubio quasi naturale,
fino ad appropriarsene, a farsene carico sulla propria pelle, a confondersi con essa, arrivando ad incarnarne
quello spirito ancestrale, anarchico e insondabile.

Servizio
di Antonio
Tedesco

Ci troviamo, quindi, con questo testo,
di fronte ad un’ulteriore e significativa variante del discorso su Napoli che
Moscato porta avanti, in maniera inesausta, da lungo tempo, ormai, attraverso
la sua inconfondibile e ineguagliabile scrittura, rilanciando ancora una volta
il nodo centrale del contrasto tra la città “poetica” e la città “prosaica”. Consapevole
che l’una non può esistere senza l’altra, e che anzi, come fa dire (in altri
termini) anche nel testo alla stessa Carmèn, la verità su Napoli si esprime
appieno quando queste due facce si incontrano e si fondono, in maniera armonica,
in un’unica irripetibile realtà.

A partire da questo materiale
drammaturgico la regia di Mario Martone sembra ritornare all'ispirazione,
appunto, “poetico-prosaica”, di Rasoi (allestito nel 1991, sempre su
testi di Moscato) disegnando intorno a Carmen una piccola galleria di
personaggi che richiamano, appunto, lo spirito della città. Ma allargando,
stavolta, il campo all'intera area mediterranea, facendo convergere e confluire
nello spazio scenico lingue e dialetti, come l'arabo e lo spagnolo, che, con il
linguaggio napoletano, hanno strettamente interagito. Restituendo alla città
stessa il ruolo storico di capitale del Mediterraneo. Luogo di convergenze dove
culture molteplici e differenziate trovano il loro punto d'incontro e di
fusione (per tutte, la felice invenzione del neomelodico che canta in arabo). E
tutto questo trova la sua sintesi perfetta nella figura di Carmén, che Moscato
ha reinventato e Martone ha fatto rivivere attraverso l'efficacissima
interpretazione di Iaia Forte. La quale ne ha fatto, a sua volta, una nuova
icona della napoletanità, che non ha nulla da invidiare, probabilmente, a
personaggi altrettanto noti, quali Assunta Spina e Filumena Marturano. Il tutto
in uno spettacolo dai ritmi veloci e incalzanti, scandito dalle musiche dal vivo
di un gruppo coerentemente multietnico come quello dell'Orchestra di Piazza
Vittorio, i cui componenti interagiscono sulla scena con gli attori,
partecipando direttamente all'azione. A Roberto De Francesco va invece il ruolo
del coprotagonista Cosé, soldatino nordico e ingenuo che viene risucchiato nel
gorgo dell'amore per Carmén (ma, ancora una volta, più che la donna la città)
che non comprende, ma che lo affascina irresistibilmente, e che ricopre una
funzione di contrasto per meglio evidenziare lo spirito inafferrabile della
donna (e della città, appunto). Così come significativo è il ruolo di Ernesto
Mahieux che, in quanto oste di una taverna che si direbbe presa pari pari da
una rappresentazione presepiale, svolge funzioni di narratore, risultando centrale
almeno quanto la stessa Carmén, perché Napoli, si sa, vive nella continua
narrazione di se stessa. Ma la messa in scena orchestrata da Martone è tutta un
concentrato di allusioni e riferimenti alla cultura partenopea e alle sue
molteplici stratificazioni (dalle feste popolari ai ghetti malavitosi, dai
“gigli” con tanto di musica e cantanti a Raffaele Viviani), mirabilmente citati
anche nelle musiche, che non mancano di omaggiare Bizet, dall'Orchestra di
Piazza Vittorio, diretta da Mario Tronco.
Nel finale del testo di Moscato Carmén
non viene uccisa, ma accecata da Cosé.
Questa mutilazione, però, le consente di rinascere a nuova vita, di
trovare altre risorse nella sua sensibilità, di rinnovare orgogliosamente se
stessa, la sua esistenza, come se la cecità stessa fosse, al contrario, una
visione, e uscendo in qualche modo,
ancora una volta, e nonostante tutto, vittoriosa.
Tutti efficaci e giustamente evocativi
delle svariate tipoloigie rappresentate, sono gli altri interpreti, Giovanni
Laudeno, Anna Redi, Francesco Di Leva, Houcine Ataa, Raul Scebba, Viviana
Cangiano, Kyung Mi Lee, con le scene di Sergio Tremonti e le luci di Pasquale
Mari. Per uno spettacolo che mostra in maniera, diremmo, esemplare come si
possa lavorare sulla tradizione (in quanto ricchezza e risorsa culturale)
rinnovandone il senso e il “discorso”, e riaffermando, e facendo sensibilmente
avanzare, l'idea stessa di teatro.
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