“La Fortuna con la F maiuscola” di Eduardo De Filippo e Armando Curcio regia di Franco Pinelli
Al Teatro “Mario Scarpetta”
di Ponticelli dall’8 al 24 maggio
Servizio di Antonio
Tedesco
Napoli – Un esperimento
coraggioso che ha dato ottimi risultati in termini di pubblico e di gradimento.
Questo, in sintesi, può definirsi il bilancio della prima stagione del nuovo
teatro “Mario Scarpetta” di Ponticelli che, gestito dall’Associazione Partenope
e sotto la direzione artistica di Franco Pinelli, ha dimostrato ancora una
volta quanto utile e fecondo possa essere delocalizzare l’offerta teatrale, e
culturale in genere, specie allargandola alle periferie e ai quartieri
disagiati, dove maggiormente se ne avverte la mancanza, e dunque, la necessità.
Si è partiti, in questa stagione, con un ciclo di quattro spettacoli offerti
nell’arco degli ultimi mesi soprattutto per aprirsi la strada e sondare la
risposta del pubblico. Quest’ultima è stata senz’altro positiva, tanto da
incoraggiare la direzione del teatro a rinforzare e diversificare l’offerta per
il prossimo anno.
Pinelli ha optato per
l'allestimento di testi popolari ma non banali, un teatro di tradizione,
sostanzialmente, ma messo in scena con competenza e precisione quasi
filologica, arrivando a proporre anche opere che, pur nell'ambito di detta
tradizione risultano meno scontate, come Il sindaco del Rione Sanità o Sik
Sik, l'artefice magico, due testi di Eduardo sicuramente tra i meno
frequentati.
Sulla stessa linea si
attesta anche quest'ultimo allestimento di fine stagione, impregnato di una
comicità amara e disillusa come, appunto, La fortuna con la F maiuscola,
che lo stesso Eduardo scrisse insieme ad Armano Curcio nel 1942. Qui viene
espressa, con chiarezza, un certo tipo di filosofia che sarà poi alla base di
molte delle successive opere dello stesso De Filippo. Esiste quella che
chiamiamo fortuna? E se esiste, quando arriva, cosa chiede in cambio? C'è un
prezzo da pagare? E come mai per i poveracci questo prezzo è sempre più alto?
Eduardo, si sa (e qui il suo coautore Armando Curcio non gli è da meno) è
sempre scettico e disincantato, il suo, anche quando si traveste da farsa, è
uno sguardo crudo sulle cose degli uomini. Non fa sconti, preferisce lasciare
lo spettatore dubbioso e in sospeso piuttosto che aggrapparsi ad un
consolatorio lietofine.
In sintesi, il protagonista,
un povero scrivano che si arrangia come può per tirare avanti con la sua
famiglia, si scopre destinatario di una forte ed insperata eredità, ma rischia
di perderla perché si è prestato, in cambio di una piccola somma di denaro, a
fingersi padre di un giovane nobile e debosciato che ha bisogno di
regolarizzare la sua posizione anagrafica per poter realizzare quello che, in
tutta evidenza, è un mero matrimonio di interesse. Alla fine, con uno scarto di
orgoglio e di dignità, preferirà pagare il suo debito con la giustizia per il
falso in atto pubblico che ha compiuto, piuttosto che consentire al blasonato
profittatore di godere indebitamente di quanto di diritto spetta a lui e alla
sua famiglia. Intorno alla vicenda principale gira tutto il piccolo mondo
popolare tipico di questo teatro, con i
suoi caratteri e i suoi personaggi, che fa da cornice e motore ad un tempo
della trama e dei suoi sviluppi. Tra questi spicca Erricuccio, nipote di Cristina,
la moglie del protagonista, che, essendo rimasto orfano, la coppia ha adottato
fin dalla nascita e che è ormai un
giovanottone, ma affetto da problemi nervosi che ne fanno un peso più che un
aiuto per la povera famiglia. Il personaggio è reso con molta efficacia dal
giovane Domenico Pinelli che, con già, si direbbe, consumata sapienza
attoriale, tesse un costante “controscena” fatto di gesti e di piccoli tic in
apparenza incontrollati, ma in realtà resi con estrema misura e consapevolezza,
necessarie in un ruolo che porterebbe per sua natura ad eccedere e strafare.
Merito, ovviamente, va anche alla regia di Franco Pinelli che, pure
protagonista nel ruolo del fortunato-sfortunato scrivano Giovanni Ruoppolo,
oltre a dispiegare la sua consumata esperienza di attore, firma, come regista,
un allestimento classico ma essenziale e misurato, nel quale la passione per un
certo teatro di tradizione viene trasmessa al pubblico, senza eccessi o
sbavature. Questo grazie anche al supporto di una compagnia ben calibrata che
vede oltre alla brava Franca Peirce nel ruolo di Cristina, la moglie del
protagonista, e Lina Perugino in quella della portiera Concetta, gli
altrettanto efficaci, Ciro Esposito, Emilia Padronaggio, Antonio Imperato,
Carlo Maratea, Antonio Lippiello, Giovanni Striano, Antonio De Stefano, Emma
Camerlingo e Pasquale Abbruzzese, per quello che possiamo definire, in attesa
della prossima, un gran finale di stagione.
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