L’Arancia meccanica di Burgess nella straordinaria messa in scena firmata Russo al Bellini

Lo stupro, l’ultra-violenza e Beethoven: arrivano i “drughi” della società contemporanea
Servizio di Francesco Gaudiosi

Napoli- Il Bellini non poteva concludere in maniera migliore la sua stagione teatrale. E’ per l'appunto notevole, ma soprattutto lodevole, l’interessamento che questo teatro ha riversato nei confronti di drammaturgie di respiro europeo pressappoco sconosciute nei teatri italiani, proprio come nel caso di “Arancia meccanica”. Un testo ritenuto alquanto rischioso a causa della magistrale resa cinematografica del 1971 firmata da Kubrick. Ma a sfatare questo insostenibile tabù ci ha pensato il giovane regista Gabriele Russo, che ha deciso di concentrare la sua attenzione totalmente sulla drammaturgia teatrale dello stesso spettacolo, firmata sempre Burgess, decidendo in tal modo di prendere le distanze dalla versione cinematografica e di creare un prodotto totalmente innovativo e ricco di spunti di riflessione. Il testo presenta infatti numerosi tratti di assonanza con “1984” di George Orwell; uno tra tutti la distopia della società moderna: un universo terribile ed orrorifico nel quale trionfano lo svuotamento dell’individuo, la reificazione dell’animo e l’annullamento del pensiero. Protagonista della mise è Daniele Russo, nei panni di Alex, giovane ragazzo “Drugo” che ha come uniche passioni lo stupro, l’ultra-violenza e Beethoven. Tutto l’impianto di regia è proiettato nella mente del giovane Alex: lo spettatore non vede altro che le immagini, le sensazioni e le impressioni percepite dalla mente perversa del ragazzo. Le stesse musiche, semplicemente straordinarie firmate da Morgan, restituiscono allo spettatore la “manipolazione” della musica classica ed il suo relativo deformarsi all’interno della psiche del protagonista. Alla meritoria interpretazione del protagonista si aggiungono anche quelle dei suoi “amici-drughi” Sebastiano Gavasso e Alessio Piazza, rispettivamente nei ruoli di Dim e George. Surreale e degna di nota è inoltra la suggestiva scenografia firmata da Roberto Crea, che trasferisce lo spettatore in un non-luogo impossibile da contestualizzare, un’atmosfera che ricorda tutto e niente, lontana dalla realtà del quotidiano ma allo stesso tempo anche decisamente vicina per il buio che sempre di più avvolge ogni individuo. Un buio nel quale è lecito domandarsi: “La parola libertà significa qualcosa di preciso? Ed in particolare, è meglio essere malvagi per  propria scelta o essere retti e onesti grazie ad un lavaggio scientifico del cervello?” (Gabriele Russo). Nel clima distopico è adattissimo il disegno di luci di Salvatore Palladino, che si sposa perfettamente con l’impianto scenico dello spettacolo. Una nota di merito va anche ai costumi, che nella loro semplicità presentano un’elaboratezza formale non indifferente allo spettatore, consentendo una costruzione ancora più chiara (e di conseguenza terribile) della psicologia dei personaggi. Uno spettacolo decisamente apprezzato anche dal pubblico, che dimostra l’esigenza di portare sulle scene testi e drammaturgie innovative ed innovatrici all’interno dello spazio teatrale, proprio come Russo con “Arancia meccanica”, che rende perfettamente l’idea di quello che si potrebbe definire “Il sublime portato sulla scena”. Repliche fino al 13 aprile.


10/04/2014


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