BRECHT, NOSTRO CONTEMPORANEO, LA MADRE di Bertolt Brecht - regia di Carlo Cerciello
Alla Sala Assoli di
Napoli dall' 8 al 13 aprile
Servizio di Antonio Tedesco
Servizio di Antonio Tedesco
Napoli.
C’era una volta il teatro politico. Poi le ideologie sono passate di moda. Il pragmatismo e l’interesse immediato (il
qui e subito) hanno preso il sopravvento. L’ubriacatura delle merci, il culto
del consumo, hanno soppiantato ogni idea di giustizia sociale. La classe
operaia, oltre a “non andare in Paradiso”
è divenuta una componente marginale della società. Risucchiata da una
classe media informe e indefinita che ha smesso di frequentare le sedi del
“Partito”, per ripiegare nei centri commerciali
o fare la fila ai banchi dei megastore per sottoscrivere un
“finanziamento”. Dove stia andando a questo punto il mondo non è neanche il
caso di sottolinearlo. Come non è il caso di dilungarsi qui su quale siano
state, storicamente, le conseguenze di un distorto uso delle ideologie.
Ciò che conta, invece, è ribadire come gli
errori (o le omissioni) non debbano farci perdere quelli che potevano essere i
giusti principi. Ritornare a Brecht, quindi, che alcuni negli ultimi tempi
hanno considerato un po’ démodé, è come fare una
sorta di punto e a capo. Vedere dove eravamo arrivati e scoprire in cosa, poi,
abbiamo sbagliato. Un testo lineare e didattico come La Madre che Brecht, nel 1932, trasse dal romanzo omonimo di
Gorkij, ci sembra proprio il punto adatto da cui ripartire. Anche perché il
teatro di Brecht sapeva essere non solo politico e didattico, ma anche epico. E
non tanto per quanto riguarda l’epopea della lotta in sé, quanto per la “presa
di coscienza”, vale a dire per l’acquisizione di consapevolezza che il testo
rappresenta. E non solo nel percorso esistenziale della Madre, che da povera
contadina analfabeta si trasforma in fervente rivoluzionaria, ma per quello
compiuto da tutto una classe (quella dei lavoratori) che decide, anche a costo
di immani sacrifici, di riscattarsi da una condizione di totale subordinazione
e far valere i propri diritti. E’ qui la chiave, acquisire consapevolezza del
proprio ruolo e del contesto in cui ci si muove. Un pensiero che dovrebbe dire
ancora molto oggi, a noi, che annaspiamo un po’ storditi nel nostro evoluto e
tecnologico mondo contemporaneo.
Ancora una volta, quindi, la scelta fatta da
Carlo Cerciello di mettere in scena questo dramma (tra i meno rappresentati del
già, oggi, poco rappresentato Brecht) non è un’operazione di rimpianto o di
nostalgia, ma si inserisce pienamente in un discorso teatrale coerente che, per
Cerciello, è lontano da ogni conformismo scenico o di pensiero. L'allestimento,
al contrario, risponde alla scelta coraggiosa di chi non ritiene di dover (come
si dice) “buttar via il bambino con l’acqua sporca”, riproponendo, piuttosto, una
funzione specifica del teatro, quella cioè di risvegliare le coscienze
intorpidite e mostrare attraverso la finzione scenica lo stato reale delle
cose. E se lo vogliamo ancora chiamare “teatro politico”, dobbiamo anche
convenire sul fatto che oggi ne abbiamo più che mai bisogno.
Tutto questo, poi, arriva allo spettatore con
la dovuta efficacia, in quanto ci troviamo di fronte ad una messa in scena ben
curata in ogni dettaglio, sostenuta da un ritmo recitativo incalzante che, come
sempre in Brecht include le parti musicali e cantate (singole o corali,
rielaborate qui da Paolo Coletta) come sostanza viva della rappresentazione,
strumento espressivo forte che amplifica sensi e significati. Affidata,
inoltre, ad un’ottima compagine di giovani attori (molti cresciuti
artisticamente alla scuola dell’Elicantropo, diretta dallo stesso Cerciello)
guidati dalla sempre brava Imma Villa nel ruolo principale della Madre, questa
vecchia contadina russa che riesce a
trasformare se stessa in un simbolo della rivoluzione, e della quale sa rendere
al meglio ogni gesto e ogni palpito, offrendo, così, un’ulteriore prova della
sua forza e intensità recitativa.
13 aprile 2014
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