Al Teatro Troisi, Milena Vukotic in “C - Come Chanel” , la belle epoque d’una donna straordinaria

Servizio di Marco Catizone

Napoli- Donna sirena, lo sguardo en blanc et noir, sfuggente, il vezzo femminile di celarsi nella diafana luce dell’apparenza, mostrandosi nuda nell’intima essenza d’una recherche  suadente e tronfia, spettacolare; rigore e celebrità, imperscrutabile taglio nella tela dell’esistenza: Cocò Chanel, al secolo Gabrielle Bonheur Chanelle, figlia delle Moire, in perenne agnizione d’una genesi parca, viepiù misérable, charmant tranciava il file rouge del suo essere donna al principio novecento; via i puntelli aristocratici per donne da voliera, via trucchi e parrucchi, finis terrae , aldilà v’è solo il nero, o il bianco, una tela da ridisegnare; via damaschi, trame e velluti, via! Il tocco vitale di sartina semiorfana e affamata, di padre, di essenza, di tutto, la portò ad innalzare calici dove il cristallo riluceva meno della sua figura, fasciata in tubini, visioni intessute, bagnate dal tenue riflesso d’una luce avvolgente, rocchetto e filato a far da puntello; cöté espressionista, una danza di cappelli e lustrini che si fondono nel disegno, perdendosi nel flusso del “n° 5” a distillare dal fusto, tra un Picasso e un Cocteau, uno Stravinskji ed un Max Jacob; Mademoiselle era così, prendere o lasciare: bigger than life, per dirla allammericana.

Un vezzo prismatico per la contaminazione, le facce smerigliate d’una cifra stilistica languidamente divisa tra aristocratica lepidezza e pudicizia proletaria; Cocò che l’arte disfece in povertà, che s’arrese all’evenienza in tempi magri e neri di guerre in euroscope, che s’arrischiò quando il mondo che fu collassava ad ellissi, gli obici tuonavano e la moda cangiava: Milena Vukotic possiede giusta lente focale, precisa e convessa, atta ad inquadrare la figura versatile di Mademoiselle Chanel, musa del novecento, vocazione inquieta, vera icona per una Signora attrice dal percorso scenico che tocca il suo azimut  mediale tra “classiche” commedie fantozziane, dal tocco etereo e disincantato (la Pina!), teatro d’autore e sua Maestà Televisione;  perché “la moda passa, lo stile resta”,  così come sciabordano via le frotte di personaggi fumosi, tronfi, vedette da palcoscenico, “personaggini” di contorno, persi in velleità pseudo-artistiche, spesso smarriti nella lutulenza della loro evidente mediocrità, a far da sfondo senza luce alla Signorina Cocò.

La Vukotic calca il personaggio con giusta misurazione, non cede al bozzettismo cesellato che una maschera sì pregna vorrebbe assecondato; forse il testo ammanca di ritmo, risulta flemmatico e a scartamento ridotto, curva e stride con la cinica levità della Cocò terrible che la prammatica del tempo riporta,  “refugium peccatorum” per artisti, scrittori ed intelletuali spiantati e d’avanguardia, amante di rampolli benestanti e riccastri arrembanti, trompe d’oeil intimista, per elicoidale fuga in avanti d’un’anima in perenne rincorsa.  David Sebasti è contraltare maschile, mille volti per Uomo che insegue la preda e da essa viene avvinto: l’ego polimorfo d’un Padre assente, lemure infecondo, Amanti in affanno, stolidi o lungimiranti, uomini ed ominicchi che s’assisero ai piedi del suo monumento, contemplandone la fiera malizia e l’orgoglio irriducibile.

Manca il ritmo scenico s’è detto, ed è nota stonata, per una piece elegante che merita giusto plauso per la mimesis della protagonista, una Chanel costruita per sottrazione. Chapeau, Milena. Andato in scena fino al 13 aprile.

 

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