Anita Caprioli: fanciulla in fiore nella tragedia di Sofocle

“La storia di Antigone”
Intervista di Vincenzo Perfetti

“La storia di Antigone-Favola in musica per cornacchie, cani selvatici, maledizioni, tiranni, sepolcri & fanciulle in fiore” è lo spettacolo che occuperà la scena del Teatro “Piccolo Bellini” dal 6 marzo fino a domenica 9. Una rilettura (il racconto è affidato al punto di vista di una cornacchia) della tragedia sofoclea, scritta dalla scrittrice scozzese Ali Smith e, portata sui palcoscenici italiani per la regia di Roberto Tarasco. Sulla scena, l’interpretazione dell’attrice Anita Caprioli. Musiche di Didie Caria. Una rilettura che si inserisce tra modernità e classicità, alla base della quale c’è l’enorme peso della “parola”. La volontà di rendere fruibile, accessibile, “evocativa” e partecipata una tragedia, quella della “dissidente” Antigone, che non finisce mai di stancare. Portatrice sana di una “scelta ideologica” vera e propria. Magari, da prendere come monito per il senso che quelle righe portano con sé.

Anita Caprioli, come mai un personaggio appartenente alla lontana cultura greca continua a suscitare interesse?

“Più che un personaggio della cultura greca, mi sembra che sia importante oggi la storia di Antigone perché nella cultura greca, la sua storia raccontava la forza e la grande scelta ideologica di una ragazzina di dodici anni che decide di morire in virtù di un valore molto profondo legato alla famiglia, ai legami di sangue, contro le leggi di Stato che non considerava giuste. E oggi, mi sembra attuale non l’atteggiamento di Antigone, ma il conflitto che c’è tra la legge di Stato e i diritti umani o le scelte legate appunto all’uomo, prima ancora che vengano imposte delle leggi che spesso non hanno nessun tipo di percezione o di attenzione nei confronti dell’uomo e dei suoi diritti”.

Cosa vuol dire rileggere e riadattare un testo classico (in chiave moderna)?

“In questo caso Ali Smith, più che modernizzare il testo dell’Antigone, l’ha scritto, raccontandolo da un punto di vista diverso, cioè, facendolo raccontare attraverso gli occhi e lo sguardo di una cornacchia che, dall’alto di Tebe vede questi esseri umani, segue le azioni di questi uomini, e li guarda con uno sguardo di distacco. Perché poi, fondamentalmente per lei l’uomo, cioè l’essere umano, è carne di cui cibarsi. Per cui, questo sguardo molto lontano e anche molto cinico, per assurdo, mette in evidenza ancora di più l’incongruenza e alcuni atteggiamenti dell’uomo che ci sono nella tragedia sofoclea. Diciamo che in questo caso, Ali Smith ha mantenuto completamente il testo. Semplicemente, ha spostato il punto di vista e ha fatto sì che il punto di vista primario fosse quello di un animale”.

All’interpretazione si è ispirata a qualcuno?

“Racconto questa favola, per cui nel racconto, per me era importante riuscire a restituire una storia, perché il pubblico potesse entrare nella storia, e capire, quali sono i passi fondamentali all’interno del racconto. E questo lo faccio anche con un compagno in scena, Didie Caria che è un musicista, e che ha fatto un lavoro molto bello sulle musiche, facendo una ricerca su dei suoni arcaici che potevano appunto ricordare i cori dell’antica Grecia, e anche una ricerca su delle sonorità molto moderne che si sposano comunque al contenuto del testo”.

Quali sono le difficoltà alle quali si va incontro con testi del genere?

“Quando racconti una favola, come in questo caso, la difficoltà da superare è quella di far in maniera tale che la storia arrivi. Che arrivi al pubblico perché, seppur riscritto, rimane comunque un racconto articolato, per certi versi. Però, abbiamo proprio fatto in modo che la parola potesse essere non solo sostenuta da un accompagnamento musicale, ma anche essere resa più funzionante per quanto riguarda una dimensione evocativa. E abbiamo cercato appunto di renderla leggera e fruibile. Ci siamo concentrati sulla parola, sul fatto che la parola, intesa come testo, potesse arrivare in una forma semplice senza perdere i contenuti fondamentali della tragedia di Sofocle”.

Quanto di lei c’è in Antigone o in Ismene? In quale personaggio si ritrova di più?

“È difficile, perché sono due ragazzine e mi rendo conto che è difficile fare un paragone. La cosa che mi piace, che mi ha affascinato da subito di questa storia, da sempre, è che appunto Sofocle racconta la storia di una ragazzina in particolare, Antigone, che decide di combattere in maniera così forte. È una dissidente totale e decide di andare contro un potere più grande di lei nonostante abbia undici/dodici anni. Il fatto che una bambina abbia un credo e un ideale, una forza così bella, così ardua. La cosa che mi ha sempre affascinato è appunto questa, che tutti questi elementi così forti, di contrasto, fossero nel corpo e nella mente di una bambina”.

 

07/03/14

 

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