“Sincopi, deliqui, infarti e altri mancamenti – Cechov fa male”, di e con Sergio Basile, con Claudia Natale, affiancati da Elisa Sfameli
Napoli - Teatro Elicantropo - dal 7 al 10 febbraio 2019
Servizio di Maresa Galli
Napoli - Al Teatro
Elicantropo Fondamenta e Associazione Imprenditori di Sogni, in
occasione dei suoi dieci anni di attività, mette in scena “Sincopi, deliqui,
infarti e altri mancamenti – Cechov fa male”, di e con Sergio Basile e con Claudia
Natale, affiancati da Elisa Sfameli. La messinscena, che richiama il monologo cechoviano “Il tabacco fa male”,
racconta la drammatica vicenda dell’attore russo Serghiej Kozinkov, che, nel ‘39,
insieme con sua moglie Varvara Ozolin, presentò una richiesta al Glavrepertkom
(Comitato centrale per il repertorio teatrale), l'ufficio culturale istituito
da Stalin per il controllo delle rappresentazioni teatrali, per ottenere il
permesso di rappresentare un suo spettacolo, “Sincopi, deliqui, infarti e altri
Mancamenti”. Purtroppo il lavoro dell’attore che, pur in là con gli anni, si
dedica anima e corpo al Teatro, è ispirato ad un progetto su Anton Cechov,
inviso al realismo socialista. Dramma che coinvolge anche Vsevolod Mejerchol’d, il grande maestro di cui Serghiej è collaboratore, famoso regista
della Rivoluzione d’Ottobre che aveva rappresentato Cechov nel suo teatro a
Mosca, nel ’34, con il titolo di “33 Svenimenti”. Mejerchol’d, allievo
di Nemirovic-Dancenko, dal 1898 fece parte del Teatro d’Arte di Stanislavskij. Distaccatosi da una concezione realistica del teatro,
in favore di una messa in scena astratta e stilizzata, condusse una costante
ricerca sull’arte dell'attore, dedicandosi allo studio di numerose arti
performative tradizionali, fino a delineare il sistema di educazione della
Biomeccanica Teatrale. Nel ‘38 il Teatro Mejerchol’d viene chiuso e il
regista, caduto in disgrazia, viene arrestato, torturato e giustiziato con l’accusa
di spionaggio. Al suo teatro, a quello di Konstantin Stlanislavskij, si lega la visione
di Sergej e della moglie, Varvara di Astapovo – spezzoni di filmati d’epoca
trasportano nell’atmosfera della Russia di quegli anni di grandi purghe,
delatori, processi sommari e fughe di cervelli. Anche Varvara, trovato lavoro
ad Hollywood al fianco di Michael Cechov, scritturata come coach della divina
Garbo interprete di “Ninotchka” di Ernst Lubitsch, rimarrà negli Stati Uniti
abbandonando il marito al tragico, ingiusto epilogo. L’epoca del cinema fatto
da grandi registi come Lee Strasberg, che sviluppò il metodo Stanislavskij
forgiando all’Actor’s Studio i più grandi attori hollywoodiani. La scena
apre in una sala prove negli anni ’50: si tratta dell’Actor’s Lab di Hollywood, dove Varvara sta insegnando recitazione ad
una giovane attrice americana. L’azione
si sposta nella sala d’aspetto del Glavrepertkom
dove Serghiej e Varvara si confrontano tra
realtà, flashback, sogni impossibili. Nel loro appartamento
provano scene dello spettacolo tratto dai “Tre Atti Unici” di Cechov. Varvara
vuole fare propria la psicologia di Natal’ja Stepanovna, la protagonista di “Proposta di
Matrimonio”. Serghei, invece, punta al vaudeville, a divertire il
pubblico. DI nuovo dinanzi al funzionario, i due attori esaltano la grandezza di Cechov, un gigante rispetto ai
banali autori contemporanei, inventore del realismo, cosa che anche Stalin sa
ma purtroppo è circondato da leccapiedi, concludono i due idealisti che non si
danno per vinti. Burocrati, partito, sindacato, la stampa: tutti devono dire la
loro… Cechov, per il potere, rappresenta ormai la decadenza borghese, fa male
al popolo, alla rivoluzione. Alla fine, il funzionario delegato all’esame della
pratica proibirà lo spettacolo. Serghiej e Varvara si separeranno per sempre,
lei riuscendo ad espatriare e lavorare ad Hollywood, lui arrestato, torturato e
giustiziato nella sua amata Unione Sovietica. Molto bravi gli attori, sapiente
la scelta della colonna sonora che inanella melodie russe e un canto di Eugenio
Finardi. Toccante il finale nel quale Serghiej confessa tutto, con un naso da
clown, burattino nelle mani di un potere fagocitante. Si riflette sulla
necessità di un teatro scomodo, sulla responsabilità politica di chi fa arte, specie
quando il vento soffia contrario.
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