“BESTIE DI SCENA” Ideazione e regia di Emma Dante
Al Teatro Bellini di
Napoli dal 5 al 10 febbraio
Servizio di Antonio Tedesco
Napoli
- Sono già lì, sulla scena. Corrono,
saltano, girano in cerchio, accennano, in perfetta sintonia, passi di danza,
quasi una coreografia scrupolosamente studiata.
Poi
all’improvviso qualcosa si rompe. Le luci in sala si abbassano, gli attori
sembrano perdere quella specie di sintonia che li univa e cominciano a muoversi
disordinatamente, ognuno per sé. Poi uno
alla volta si portano al proscenio, guardano la platea attoniti, quasi stupiti,
come se solo in quel momento scoprissero che c’è un pubblico là in sala, a
guardarli. Ed è allora che, sempre uno per volta, cominciano a spogliarsi. E’
un incipit folgorante, che non ha bisogno d’altro per dire tutto il senso del
teatro. Come tutto lo spettacolo, del resto, racchiuso in poche quinte ed un
fondale, privo di parole, di forme drammaturgiche, di apparati scenografici. Un
teatro che “scopre” semplicemente sé stesso di fronte al mondo e si mostra per
quello che è. Corpi-anima nudi, esposti, indifesi. A parte qualche tentativo,
all’inizio, di coprire con le mani le proprie parti intime. Eppure corpi irriducibilmente
dinamici, in costante movimento, inarrestabili.
E’
una riflessione profonda e dissacrante sul “corpo” del teatro quella che Emma
Dante mette in atto con Bestie di scena, (al Teatro Bellini fino al 10
febbraio). Un “girotondo” di corpi che nella loro nuda (è il caso di dire)
essenzialità quel teatro sembrano contenerlo tutto. Emma Dante ripulisce (anche
letteralmente) la scena dai suoi orpelli decorativi, dai suoi automatismi (la bambolina meccanica che ripete le sue frasette
preregistrate al battito delle mani, prontamente imitata da un’attrice che si
muove a scatti come lei), i tentativi interni di rappresentare qualcosa di
riconoscibile (una ballerina, un duello, una volgare baruffa) prontamente
stroncati dalla loro stessa impossibilità di esistere in maniera credibile, e
che sfociano tutti nella scena centrale delle scimmie bombardate da una
quantità di noccioline che piovono dall’alto. Attori-scimmia. Attori-bambola
meccanica. Attori che si affannano ad essere qualcosa d’altro ma che ritornano
sempre, inesorabilmente se stessi. Nell’essenzialità, nel vuoto, nella “nudità”
della scena e degli attori che la abitano, c’è il messaggio più grande e
universale di un’artista matura, che può permettersi di spogliare se stessa, il
suo teatro, di ogni copertura drammaturgica e scenografica. Non sono gli attori
ad essere “nudi”, ma il teatro stesso, e con esso il mondo che rappresenta. Ed
è proprio in questo apparente annientamento che Bestie di scena si
presenta, invece, come un grande atto d’amore. Verso il teatro, verso gli
attori che denudano il corpo per mostrare la loro anima, verso una pratica che
ha bisogno di coraggio, di dedizione, di abbandono totale, per non perdere di
senso, per non ridursi, appunto, a un semplice “scimmiottare”.
Il Teatro è morto, viva il Teatro,
sembra dirci Emma Dante con questa feroce (prima ancora che coraggiosa) messa
in scena. Perché se messo in pericolo e attaccato da tutti i lati il teatro può
solo rispondere rilanciando. Alzando la posta senza piegare la testa.
Mettendosi in mostra anche in maniera crudele (o-scena, appunto). Portando alle
estreme conseguenze la lezione dei Maestri del ‘900, Kantor, Grotowski,
Beckett. Quella di un teatro disadorno, luogo della rappresentazione di un
mondo desolato, privato, o meglio, spogliato, delle sue illusioni, delle sue
fittizie coperture. Un mondo che quei semplici, nudi corpi d’attore, riflettono
abbagliando.
Instancabili, in una sorta di moto
perpetuo, hanno offerto la loro formidabile prova
ginnico-atletica-mimico-espressiva-simbolica-rappresentativa:Sandro Maria
Campagna, Viola Carinci, Italia Carroccio, Davide Celona, Sabino Civilleri,
Robert Galbo, Carmine Maringola, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi, Daniele
Savarino, Stephanie Taillandier, Emilia Verginelli, Marta Zollet. Il Teatro è tutto qui. Scusate se è
poco.
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