“Canto di un poeta che se ne muore – ( a Orlando Bodlero) – Versi e regia di Mario Fedeli – con Daniele Fedeli e Manuela Mosè

Al Teatro Galleria Toledo di Napoli dal 21 al 24 gennaio

 

Servizio di Antonio Tedesco

 

Napoli –  Dal Mal dei Fiori di Carmelo Bene, all’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, Canto di un poeta che se ne muore, versi e regia di Mario Fedeli, presentato alla Galleria Toledo dalla Compagnia degli Innamorati Erranti, traccia l’itinerario della poesia come trascendenza, come dimensione ulteriore dell’essere, come stato di coscienza più elevato e percettivo, quello, cioè, di una visione che illumina. Messa in scena coraggiosa, che si affida al “sentire”, più che al “vedere”, che parla all’orecchio interiore dello spettatore (o forse al “terzo occhio”), svolgendo così una delle funzioni principali che può oggi attribuirsi al teatro. In un’epoca di ipercomunicazione, di sovraccarico invadente di immagini di ogni provenienza e natura, questa (come definirla?) performance poetica, scava nell’interiorità più riposta, lavora sull’indicibile. Compagnia composta da elementi molto giovani, questa degli Innamorati Erranti, risulta essere proprio per questo un’iniezione di fiducia, un’incoraggiante ripensamento sulla sensibilità e sulla voglia di autentica ribellione interiore delle nuove generazioni, al di là dei luoghi comuni e dell’appiattimento delle statistiche correnti. Non a caso si sono rivelati, proprio con questa performance poetica che per comodità chiameremo spettacolo, nella VI Edizione (2014-2015) della rassegna Stazioni d’Emergenza, organizzata dalla stessa Galleria Toledo con il proposito di far emergere nuove realtà e nuovi linguaggi nel campo della ricerca e della sperimentazione teatrale. L’allestimento, curato su suoi testi poetici da Mario Fedeli, utilizzando le abilità attoriali di Daniele Fedeli e Manuela Mosè, non richiede il cercare necessariamente una spiegazione o un senso (comune) all’azione scenica, quanto piuttosto l’abbandono ad un flusso emozionale abilmente condotto dallo stesso Daniele Fedeli attraverso un impegno fisico ed emotivo totale e coinvolgente, dove la parola, il gesto, il movimento, spesso frenetico e concitato, assumono pari dignità espressiva fondendosi in un tutt’uno con il sapiente gioco di luci, che ritaglia gli spazi di una scena nuda creando squarci di senso e con le musiche (di Mozart, Strauss, Offenbach, oltre a quelle originali di Daniele Fedeli) che si integrano, quasi a prolungare quanto espresso attraverso la voce, la parola, il corpo.

Lo spirito di Carmelo Bene aleggia sull’intera operazione, e risuona nei recitativi di Manuela Mosè, ma la follia di Orlando, in un certo senso, la sovrintende, concentrata nella bella scena finale in cui l’attore cavalca un cavallo alato che rimanda al mitico ippogrifo, per volare lontano sulle “ali” di una poesia che si fa scrittura scenica, che continua ad aprire spazi, ma senza dare risposte. Che si manifesta, infine, nella figura ideale di Orlando Bodlero, come forma (sublimata) dell’essere. 

 

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