“Sudori freddi” - ideato e diretto d Giancarlo Sepe - Ispirato ai personaggi creati da Pierre Boileau e Thomas Narcejac

Castel Sant’Elmo 4-8 giugno per il Napoli Teatro Festival 
Servizio di Francesco Gaudiosi
Napoli - Comincia il Napoli Teatro Festival e comincia un mese di spettacoli e produzioni italiane ed europee che si avvicenderanno dal 3 al 28 giugno su numerosi palchi partenopei ed anche nella splendida cornice di Castel Sant’Elmo. Ed è proprio qui, nella gelida Sala dei Cannoni, che, muniti di plaid – saggiamente forniti dagli organizzatori – ci si appresta a vedere Sudori Freddi, di fatto primo spettacolo di festival puramente recitato, dopo la danza di La doulceur perméable de la rosée e le letture di Dediche alla città di Napoli. Sudori freddi sarà in scena per ben sei giorni, con un numero di repliche notevoli considerato la media degli altri di appena un paio di date.
Sepe si ispira nella sua mise a due indiscussi autori del genere noir del ‘900 come Pierre Boileau e Thomas Narcejac, che scrissero tra il 1952 ed il 1991 una quarantina di romanzi noir ed ispirarono sceneggiature che hanno fatto la storia del cinema mondiale, quale tra tutte La donna che visse due volte di Hitchcock.
 “Il protagonista nell’inseguire un criminale scopre di essere affetto dall’acrofobia, da quel senso di perdita di coscienza e di sballottamento che crea la vertigine, vertigine che ha come effetto immediato il sudore freddo, quello che nasce dalle paure notturne, dai grandi spaventi, dalla paura della morte”.  L’ambientazione quasi esclusivamente notturna crea un elemento di notevole suggestione scenica, che ben riposa su un genere di sceneggiatura dove il giallo non è l’elemento unico della vicenda: potrebbe infatti ritenersi nodo fondamentale proprio la questione amorosa, “l’amore, quello vero, prende il posto centrale nella storia, la storia criminale si depotenzia e affiora un grande melò”. E nel melò di Sepe sono presenti quei bui, quelle musiche e quelle fioche e pallide luci della notte che riescono a rendere bene l’immedesimazione e la contestualizzazione delle vicende all’interno dell’esecuzione scenica. Ciò anche e soprattutto grazie al magnifico e riuscitissimo gioco di luci di Marco Laudando, ai sontuosi e rievocativi costumi di Carlo de Marino (che firma anche le scene dello spettacolo) ed alle musiche di Davide Mastrogiovanni.
Alla riuscita ambientazione noir che si ricrea dall’idiosincrasia di questi fattori, vengono però fuori nella realizzazione alcuni elementi stridenti e poco coerenti con l’andamento generale che si vuole conferire allo spettacolo: innanzitutto una sceneggiatura lacunosa, enigmatica, all’interno della quale risulta difficile orientarsi e cercare di trovare un filo conduttore unico che sia compatibile con il finale. Risulta infatti in contraddizione un “noir senza storia, con l’idea di raccontare le iconografie del giallo che fa da sfondo ad una storia passionale”, rispetto alla effettiva realizzazione di una storia non immediatamente lineare e di un giallo che talvolta invade l’elemento passionale e viceversa, andando a spezzare, ciascuna di queste componenti, i ritmi ed i tempi scenici dell’altro.
Nella sovrapposizione più parassitaria che simbiotica del passionale sul giallo, viene fuori una messa in scena che, fatte salvo alcune fasi dello spettacolo, risulta  carente di ritmo e   di potenzialità sceniche. Elementi positivi del lavoro di Sepe sono, invece, alcune geometrie di corpi e di prestazioni sceniche molto suggestive  e ben costruite, che regalano allo spettatore un forte e riuscito impatto visivo.
Non ci si spiega, inoltre, l’utilizzo per due terzi dello spettacolo del francese, per un quarto dello spagnolo e per il rimanente quarto dell’italiano. Il tutto risulta, per un mancato cosmopolita o per uno scontato cittadino italiano medio, uno spettacolo ancora più enigmatico e frastagliato, di una iper-trama da comprendere stavolta non per il suo senso logico, ma per il suo significato linguistico. Per intenderci, Sepe poteva tranquillamente portare in scena uno spettacolo con tre diverse lingue, ma avrebbe quantomeno potuto inserire dei sottotitoli per far comprendere cosa gli attori stavano dicendo.
L’ultimo appunto da fare è l’eccessiva presenza di nudi sul palcoscenico, all’inizio legittimati ma via via, sempre più poco coerenti con l’esecuzione, fino a risultare persino fastidiosi nella conclusione dello spettacolo. Il nudo teatrale si rispetta e si legittima solo per determinati segmenti scenici, ma risulta ingiustificato se più momenti della realizzazione stessa diventano mera esecuzione di corpi “nudi” fisicamente, che non necessiterebbero di essere tali in virtù del fatto che questi, per scelta registica, sono già stati  svuotati sul piano della caratterizzazione del personaggio.
Resta ad ogni modo una buona interpretazione da parte degli attori della Compagnia del Teatro la Comunità (Lucia Bianchi, Federico Citracca, Valerio Marinaro, Gianluca Spatti, Federica Stefanelli e Guido Targetti), con la partecipazione speciale di Pino Tufillaro.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
 
 

Commenti