LA MORTE E LA FANCIULLA di Ariel Dorfman regia di Elio de Capitani – aiuto regia Nadia Baldi
Campania Teatro Festival - cortile della Reggia di Capodimonte
Servizio di Rita Felerico
Da subito
La banalità del male di Hannah Arendt,
il rapporto vittima carnefice così come descritto da Sàndor Ferenczi e quel ser
Ciappelletto del Boccaccio passato ad essere da gran peccatore osannato santo, mi
hanno accompagnato nella messa in scena de La
morte e la fanciulla. Scritto
dal cileno
Ariel Dorfman nel 1991, fu
rappresentato nel 1998 al Teatro dell’Elfo per la regia di Elio De Capitani, il quale ritorna
ad affrontare il testo in occasione dell’inaugurazione - all’interno del
Cortile della Reggia di Capodimonte- del Campania Teatro Festival. Per Dorfman
- 80 anni di vita - è una missione raccontare cosa sia successo dal
colpo di Stato cileno dell’11 settembre 1973, quando lavorava al Palazzo de La
Moneda con Salvador Allende prima del golpe di Pinochet. Ma il giorno
dell’attentato non era lì. Per questo si salvò. E forse non è un caso. “Ecco perché in tutti questi anni non ho fatto
altro che scrivere: saggi, romanzi, testi teatrali, poesie, articoli di giornali,
memorie, sceneggiature. Ho denunciato le atrocità che si celano dietro le dittature,
i morti, le violenze”.
L’atmosfera
segnata dal dolore, dalle ferite dei soprusi, dal sospetto, dall’ipocrisia
della realtà, dall’incertezza che attraversa l’esistenza dei personaggi di
questo dramma che è personale e collettivo, viene come in contrastato rilievo
descritta nell’allestimento del Festival dal bianco dei vestiti dei protagonisti, da quel
loro bisogno di identità ricercata. La nuova democrazia è segnata da rapporti
sociali ‘inficiati’ dalla paura e dal sospetto. Il tono a volte acuto, quasi gridato di Paulina
– la vittima – , il volto disincantato e a tratti incredulo del marito –
l’avvocato Gerardo – e la perfetta maschera di nascondimento del presunto ( o
vero ? ) aguzzino, il dottor Miranda, come in un surreale svolgersi dei fatti
mettono dinanzi allo spettatore il dramma del tema del perdono, della
dimenticanza che nasconde la verità, della ‘ malattia’ causata dalla violenza
dalla quale la vittima sembra non riuscire a liberarsi. Siamo in Cile, o in un
altro Paese del sud America, o in un Paese qualunque uscito da poco dalla
dittatura, un Paese ancora in cerca di se stesso dopo la storia di libertà
spezzata dall’oscurità del potere. Il coraggio di Paulina - il silenzio della
non denuncia aldilà di ogni vessazione -
salva Gerardo, nominato dal nuovo
Governo democratico membro di una presunta Commissione di indagine per crimini
di guerra e rivela, nella confusione della mente della donna soffocata nella
sua più intima dignità e nel suo essere donna, le tracce di un amore che non ha
mai voluto perdere e che è riuscito a mantenerla in vita nonostante tutto.
Ed è
proprio quell’intelligenza intuitiva e amorosa a mettere a nudo il carnefice –
lo riconosce dall’odore non avendolo mai visto perché bendata - che nega fino
alla fine la sua colpevolezza. Rinunciando a cadere nella spirale del male,
Paulina desiste – benché impugni più volte la pistola e raccolga indizi di
colpevolezza– a divenire carnefice, lasciando sospeso ogni giudizio su quel
dottor Miranda in cerca di una strada da percorrere oltre il male fatto, pur ammettendo
di camuffare l’ascolto del grido di paura e dolore della vittima sovrapponendo
le note di quel quartetto schubertiano che accompagna il famoso Lied nel quale
la morte sussurra ad una terrorizzata fanciulla, per tranquillizzarla : “Non
sono cattiva. Dolcemente dormirai fra le mie braccia!”. Sulle
stesse note del quartetto, La morte e la
fanciulla, si incontreranno di nuovo, Paulina, Gerardo, il dott. Miranda all’interno di un teatro, più in là
nel tempo, in una acclarata e riconosciuta presunta democrazia, nascondendo
agli altri e a se stessi chi veramente sono, fingendo di non conoscersi.
Notevole il gioco delle luci, il cambio di scena a ritmare i passaggi della
storia affidato ai pochi gesti degli stessi attori, bravi nel caratterizzare e
trasmettere la miriade di emozioni in una ora e 50 min. trascorsi velocemente. Marina Sorrenti, Claudio Di Palma, Enzo
Curcurù si narrano andando fin dentro se stessi per portare alla luce quell’oscura
parte di noi sconosciuta e straripante, fuori dai normali confini del nostro
esserci.
LA MORTE E LA FANCIULLA
DI ARIEL DORFMAN
TRADUZIONE ALESSANDRA SERRA
REGIA ELIO DE CAPITANI
AIUTO REGIA NADIA BALDI
CON ENZO CURCURÙ, CLAUDIO DI PALMA, MARINA SORRENTI
SCENE E COSTUMI CARLO SALA
LIGHT DESIGNER NANDO FRIGERIO
SOUND DESIGNER IVO PARLATI
DATORE LUCI ENZO GUIDA
MACCHINISTA GIULIANO GARGIULO
FONICO RAFFAELE FIGLIOLIA
SARTA PAOLA DE LUCA
DIRETTORE DI SCENA ERRICO QUAGLIOZZI
PRODUZIONE FONDAZIONE CAMPANIA DEI FESTIVAL – CAMPANIA TEATRO
FESTIVAL, TEATRO DI NAPOLI – TEATRO NAZIONALE, TEATRO DELL’ELFO
CAPODIMONTE – CORTILE DELLA REGGIA (PORTA
GRANDE)
12, 13 GIUGNO ORE 21.00 DURATA 1H+50MIN
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